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Metamorfosi dei morti

di Franca Alaimo
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Pubblicato il 02/11/2016 19:12:00

 

Noi non ci giacciamo, né riposiamo in pace

come lassù, nel mondo bello della luce,

la gente così stupidamente dice.

Noi ci sconfiniamo e ci camminiamo

gravidi di silenzi e sogni oscuri.

Siamo come bestie o come bambini

che giocano allegramente a nascondino

qui, tra i lombrichi rosa, sottoterra.

Nel buio fitto fitto che ci invade e serra

seminiamo umori, il vuoto della bocca,

le mani, il vestimento della pelle e

gli occhi come bulbi fertili e molli

sperando che scoppino in alto le corolle

di tanti giovanissimi fiori,

quando verrà la primavera.

Ah l’aria che li corteggia

ed il profumo sparso goccia a goccia:

sì, li ricordiamo in qualche punto

di noi, in qualche incorruttibile presente.

Dal nero, dalle trame delle radici,

dai minerali, dalle pietre, dalle fauci

del tempo sotterrato partoriamo esistenze

parallele  nei vuoti dell’ assenza

con un’ ancestrale devozione

alla macina perfetta della trasformazione,

fino a restare col bianco essenziale delle ossa.

Però, non siamo stanchi.

No. Non siamo stanchi.

Il bello della morte è essere vissuti.

E noi non siamo più remoti

di quelle stelle che rilucono ancora

dopo essersi disintegrate

in chissà quale remotissima era.

 


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