E' venuta già l'ora delle farfalle.
Si, dei lepidotteri in picchiata,
dei ronzii. E dello smielare.
L'ora che il mare avvampa
in cerchi di schiusa a riva,
e le gambe smettono l'inverno.
Tre o quattro volte ho sentito
già cambiarsi il cielo e le montagne,
con la faccia che hanno le cose
quando sanno arrivare un conto
diverso. E tutto respira senza affanno.
Dalla luna, invece, vengono tue notizie,
del tuo svernare, che un po' mi appartenne,
setaccio di un letargo strano, gelato
e lieve, lento e micidiale.
Ti ho immaginato incastrato fra due
rocce, un utero senza gentilezza,
a dormire i giorni che ci hanno
appaiati, noi venuti da un corredo opposto.
E poi, d'improvviso, svelato.
Un'agitazione di bozzolo,
una fermentazione primaverile.
Senza più una sola forzatura,
una catena.
Come quando alzi il bicchiere
sotto cui tenevi prigioniere
due ali, non importa la fattura.
E dall'apnea, campana di morte
momentanea, incubatrice inversa,
fai venire finalmente via
il battaglio/ Icaro
che hai provato a fare terrestre.
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