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Anamorfosi del castello in aria con giunzioni esposte

di Ferdinando Giordano
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Pubblicato il 25/08/2020 13:45:23

 

 

Mi sembrava di volare. E, anzi: ero certo

di non poggiare i piedi a terra. Una egrette

walcottiana, un cognome senza tempo. E tanta aria

di colpo spezza la schiena come ad una fronda

il peso del maestrale. E  più 

la Terra faceva per avvicinarsi a me, 

più mi allontanavo

puntando il naso nell’unica direzione possibile:

l’azzurro inesistente di rayleigh spiegato da sè.

E, pure, ero fermo al modo in cui un orologio solare 

indica tra buio e luce il luogo in cui questi nascono 

mentre più lontano è esatto il suo definitivo abbandono. 

È un carassio dorato, l’abbandono,

con due sillabe caudali che rivelano

un sacco sgonfio. E fino alla fine

la mia meridiana ha un’ombra che funziona da freno.

E non sono per lei un pensiero.

E comunque volavo, finalmente volavo; sicuro: volavo!

e l’unico punto di vista per accorgermene

era guardare le palpebre che dall’oscuro si facevano grate.

E così ancora mi sveglio senza esserlo.

 

 


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