Alloggiamo in un intermezzo infinito che scorre
da un terminale all'altro
un corpo tenue eroso dal vento
molteplici gesti e un riflesso acqueo sopre le foglie
il tormento dell'aria e dell'acqua nel vorticoso fiume. E rammendiamo facce
con decadenti linee nell'erba che ondeggia dietro ordini complicati
dove si avanza lenti.
Resistiamo in questa inesorabile accortezza mentre
attraversiamo pozzanghere ai bordi del marciapiede
come se tutto s'immobilizzasse nel fotogramma
dove ogni cellula che rimane impressa sfugge
e si disperde nelle direzioni tra il blu cobalto che fuoriesce dalle pietre
portando fiori, portando sibili
andature lievi.
Siamo dentro le cose come dentro cappotti
seduti sulle panchine a vedere la pioggia cadere
superfici lucide per ogni stagione che si ripete
impaginati sulle pellicole opache quasi come teoremi irrisolti e si vorrebbe
anche se non si può svanire
nel leggero tremore di una goccia sul ramo sfiorato dal vento
come il pallore festivo quando attenuato
scende.
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