Sei qui perché la rosa ti ha fatto
da madre riducendo gli aculei
con le mattane di marzo. Riccio
così a riva, crespo, infine filando
dagli sguardi possibilmente altro,
che so io, risacca sulla madre perla.
Levighi il volume che ti richiama,
voce di chi la voce non hai preso:
voce attraente dell’assente cui rispondi
al largo abbraccio con uno stretto dialetto
familiare, che so io, tipicamente
della regione del padre e seguenti.
Stai su questa terra nel modo che il maggese
interroga semi analfabeti scoprendo
che la loro preparazione frutta
l’altezza e la resistenza. E per via
loro ti muovi nel turno degli amici
o, che so io, vai tra la folla spampanando
i passi a mola, limando uno stabile
ufficio oppure riformulando i sogni
per impieghi migliori. Ricordi l’universo
in apparenza fermo e mellifluo, benché
da poco in giro si dica mosso e terribile.
Temo l’idea che al di fuori di me
chi ti coltiva venga con la falce.
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