Venni per ucciderti,
per farti uccidere da lui,
di cui ora non ricordo più
il nome;
lui che era principe,
lui col sole negli occhi,
lui che era biondo
e aveva le unghie pulite.
L’incendio di te mi espropriava,
feroce,
ma io non sapevo
verso quale mare
stavo precipitando.
Prevedibile era il viaggio
di Teseo
-ah, ora ricordo!-
Quasi certo.
Salda, così mi sembrava,
la nave.
La notte prima del misfatto
mi tappai le orecchie
per non sentire i tuoi ruggiti.
E non osai chiamarti fratello
o amato
non osai confessare
di quali inenarrabili incendi
si ustionava il mio corpo
sull’effige nelle carni
scolpita dal tuo odore.
Bestia, ti chiamavano,
ingorda e assassina.
Ed io stessa vidi il sangue
sulla tua insaziata bocca.
E colma di spavento,
mi unì
a chi ti urlava contro.
Immondo, cosi ti dicevano,
sputando sul tuo nome.
Ed io selsi Teseo,
il delitto maggiore.
Ma non potei mai
cancellare l’arena.
Il labirinto
era la nostra arena,
mio amato
ed io acqua che danza,
ininterrotta,
colma di segreti.
Colma di te.
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