Da quando te ne sei andata,
io dormo
con le dita delle mie mani
rannicchiate nel loro palmo,
docili escavatrici
vivono di scatti involontari,
estenuate
ma instancabili
continuano a scavare,
certe di trovarti
nella linfa
del mio esistere ancora,
tra i miei arti
lo scheletro,
le ossa
e un vuoto intermediario innaturale.
Da quando te ne sei andata,
ogni movimento
è uno spasmo volontario,
un tentativo,
un altro ancora
di trovarti
al cospetto di un gesto quotidiano,
un ingenuo tentativo di riparo,
riarmo ontologico
dopo la disfatta,
preparare frettolosamente la bisaccia
per provare ancora ad andare,
ma ogni passo
senza te
è un inciampare,
nel caffé bollente sulle mie ginocchia,
nei piedi di una vecchia sedia che vuole fare rumore
nello scontrarsi della mia gamba con la testata del letto,
quella in ferro battuto
che continua a cigolare,
annaspando,
sola
mentre orfana, si domanda: quando sarà finalmente la mia ora?
e intanto respira,
inspira ed espira,
ed io le sono vicina,
accovacciata a terra,
sul pavimento di marmo gelido
con le mie amiche escavatrici
mentre ti cerco,
chiudo gli occhi
e immagino radici
isolotti a cui approdare,
siano pure pezzi sparsi,
frammenti erosi e senza un opinione
rispetto al fatto mio
che ancora sono qua,
e ti sto ad aspettare:
io le loro dita,
e per me,
loro il mio palmo.
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