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Rime inutili


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Pubblicato il 11/05/2015 12:00:00

 

MAZINGA E L’UOMO RAGNO

(D’un carnevale antico, e nuovo)

 

Passare la domenica allo specchio,

estrarre la sequenza delle rughe                    

per farne perno, fingersi più vecchio,

rimpiangere il passato fra le fughe

delle piastrelle sorde ad ogni passo.

Così si sfoglia l’album di famiglia

convinti che ci possa dar la sveglia

con rapidi rintocchi di memoria,

rivedi poi la maschera di Zorro,

lo scudo di Mazinga, l’uomo ragno

gettare la sua tela in bianco e nero

sul volto imbalsamato di chi resta

e in controluce sai, si fa straniero.

 

E’ vita trattenuta sulle labbra,

riavvolta sulla spola il lunedì

nella promessa nuova del mattino,

resistere alle code in tangenziale,

fuggire il cannocchiale del vicino,

indovinare il titolo al giornale

espedienti tutti, e ali di fortuna,

sopravvivenza spiccia, da manuale.

Il cellulare piatto sotto petto,

la giacca abbottonata, la cravatta

fanno scordar l’azzurro del costume,

la chiazza di colore, dozzinale.

E’ tempo d’oggi, d’attizzare il lume

del quotidiano giogo al carnevale.

 

 

 

PREGHIERA PER L’ANNO NUOVO

 

Le torme anima od ombra che s’aggirano

per accecanti bolge in questo spazio

ne rovistano il dorso cavo d’aria

truppe devote, a saldo o d’occasione

rincorrono il festone d’amuleti

sottratti al chiaro sporgersi degli occhi

s’incuneano agli scheletri di grucce

predate con la furia degli sguardi

s’ingannano alla smania delle dita

perplesse al vuoto tocco delle nocche.

 

Sgomitanti negli angoli riposti

a cardini di luce più sonora

che squillino prodigi a tersi vetri

rincasano fagotti d’altrui spoglie

o un asso smanicato sotto banco

strappati a denti, a colpi di stiletto

li posano alla quiete di credenze

cassetti madie scatole ed armadi

catalogo dei giorni da scontare

a prossima scadenza indifferibile.

                                                    

Avvinta nella nuvola d’incenso

dei re veggenti assurti alla tua grotta

Cuna reduce da remoti secoli             

d’un fiato limpido spazzane le orme,

Neonato prediletto alla cometa

confondile in un turbine di cenere,

Streghetta di Gennaio, fanne polvere.

 

 

 

IL SENSO DELLA NEVE

 

L’inverno è l’indugiare del pensiero

il perdersi nel vuoto delle stanze

fuggendo l’aria succube nel gelo

raccogliere le gocce della brina

stillarne fiato a pelo delle labbra

e reggere al tranello del già detto

all’esile lusinga del cantabile:

donzelletta passero assiolo, questa

bella d’erbe famiglia e d’animali

nonna Speranza e ogni caro poetico

vecchiume di lune e favole belle

il pio bove, i cipressi del Carducci.

 

Altro il timbro degno del nostro tempo

col pollice alle nocche un Vanni Fucci

che uncina, che flagella, che dà strazio

Pluto, Minòs ch’avvinghia alla sua coda

Flegiàs, Semiramìs lussurïosa     

e serve una parola rattrappita

potata come un pesco di febbraio

quando sferza le guance tramontana.

Serve un torsolo minimo di voce

senza ravvedimenti, mediazione

stanar l’arpeggio nello sciabordio

delle stoviglie, frugare le pieghe

remote della polvere, scoprire

la chiave del durare in ciò che è breve

lo spazio dove resta illeso il bianco

allo svanire certo della neve.

 

 

Poesie quinte classificate nella prima edizione (2015) del Premio Letterario Nazionale indetto da LaRecherche.it: Il Giardino di Babuk - Proust en Italie

 

Leggi l'eBook del Premio


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