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Il ’nuovo’ cinema italiano

Argomento: Cinema

Articolo di Gio-Ma 

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Pubblicato il 06/06/2018 04:04:15


In collaborazione con Cineuropa News

Il 'nuovo cinema italiano.

Damiano e Fabio D’Innocenzo • Registi
“Volevamo imparare dai più bravi”
di Vittoria Scarpa

31/05/2018 - I fratelli D’Innocenzo ci parlano del loro film d’esordio, La terra dell’abbastanza e del loro prossimo progetto selezionato al lab del Sundance Institute
Nuova, lanciatissima coppia di fratelli del cinema italiano, i gemelli Damiano e Fabio D’Innocenzo approdano in sala (il 7 giugno con Adler) con il loro primo film, La terra dell’abbastanza, lanciato in prima mondiale all’ultimo Festival di Berlino e ora candidato a tre Nastri d’argento, tra cui quello del miglior esordio.

Cineuropa: Dal debutto a Berlino alle candidature ai Nastri d’argento annunciate ieri. Come avete vissuto gli ultimi tre mesi?

Damiano D’Innocenzo: Tra tour promozionali e la scrittura del nostro nuovo film. Proprio oggi abbiamo saputo che il progetto è stato selezionato dal Sundance Institute per un workshop che ogni anno riunisce gli autori più interessanti d’Europa. Abbiamo scritto la sceneggiatura, le riprese cominceranno a gennaio. Sarà un western d’epoca al femminile, precisamente con sei donne e cinque uomini, ambientato nell’800, un film completamente diverso da La terra dell’abbastanza. Gli accostamenti che sono stati fatti per questo nostro primo film sono meravigliosi, ma non vogliamo passare per registi pasoliniani. A sostenerci saranno sempre Pepito Produzioni e Rai Cinema, il budget sarà di gran lunga superiore, si parleranno dialetti diversi e quanto agli interpreti, mischieremo nomi noti e non.

Non avete mai frequentato scuole di cinema, prima di questo lungometraggio non avevate mai girato neanche un corto. La terra dell’abbastanza, però, è tutt’altro che un film da dilettanti. Come ci siete riusciti?

Fabio D’Innocenzo: Abbiamo visto molti film nella nostra vita, i maestri sono stati tanti. Siamo passati ovviamente per diverse fasi, ma cronologicamente direi: Gus Van Sunt, Takeshi Kitano, John Cassavetes, John Ford, Billy Wilder, Chantal Akerman. Tra gli italiani Matteo Garrone, Ermanno Olmi, Pietro Germi, Nico D’Alessandria. Però non credo che nel nostro film si rintraccino queste influenze. Le nostre influenze sul set erano più di natura letteraria o artistico-figurativa, come pittura e fotografia, in particolare Nan Goldin, Francis Bacon…
D. D’I.: E poi ci siamo circondati di grandi capireparto. Spesso per un’opera prima i produttori ti dicono che è meglio lavorare con persone che crescano con te. Ma noi volevamo imparare dai più bravi. Fotografia, montaggio, scenografia, costumi… abbiamo scelto i nostri preferiti. Come abbiamo fatto a convincerli? Gli abbiamo fatto leggere la sceneggiatura, e li abbiamo abbracciati, come si fa con qualcuno che ami.

Il vostro film rientra in un filone molto prolifico del cinema italiano attuale, quello del cosiddetto neo-neorealismo, incentrato su storie di periferia e criminalità. Voi però, rispetto ad altri, non spettacolarizzate il crimine, di sangue se ne vede poco. Perché questa scelta?

D. D’I.: Ci piace l’idea della reticenza come mezzo drammaturgico. Come il coro del teatro greco, è lontano, non lo vedi, ma sai che c’è. Dà molta suspense e soprattutto una poetica diversa. Se hai una storia che funziona è importante non complicarla, non serve spettacolarizzare, è la storia a scegliere i propri ingredienti. Sapevamo di essere accostati ad altri film di questo filone neo-neorealista, e direi forse anche un po’ modaiolo. Noi abbiamo scritto questo film sei anni fa, poi arrivò Non essere cattivo e ci rallentò molto nel processo produttivo, perché l’associazione era immediata. La differenza rispetto ad altri film, forse, è che abbiamo un rigore estremo, proveniamo dal disegno e dalla fotografia, avevamo già un nostro codice benché non avessimo mai fatto corti o altro.

A proposito di Matteo Garrone, avete raccontato di averlo incontrato per caso al ristorante, di esservi “incollati” a lui, e di aver successivamente avuto l’opportunità di affiancarlo nella preparazione di Dogman. Che cosa avete imparato da questa esperienza?

F. D’I.: Abbiamo imparato che il cinema è un’arte estremamente materica e artigianale. L’audiovisivo è fatto di immagini e suoni, il modo in cui li usi può essere misterioso, conturbante e astratto, ma sono pur sempre elementi molto chiari. Matteo ci ha insegnato anche a vedere le cose come le vede un produttore, ha una forma mentis concreta. Ci ha insegnato poi a lavorare sulla scrittura, in una modalità completamente differente dalla nostra: noi scriviamo un copione in due settimane massimo, di getto, mentre Matteo scaletta tutto il film dall’inizio alla fine, ancor prima di scriverlo. Siamo stati dentro quel processo come collaboratori al copione, per noi è stato un training. L’obiettivo era imparare da uno dei migliori autori italiani contemporanei.

La terra dell’abbastanza esce il 7 giugno in Italia. Quali sono le sue prossime tappe, anche internazionali?

D. D’I.: Delle vendite internazionali si occupa The Match Factory, quindi siamo in buonissime mani. Il film è stato già venduto in tante parti del mondo, dalla Cina alla Francia, passando per i Paesi Bassi; nei prossimi giorni saremo a New York (nell'ambito di Open Roads: New Italian Cinema, ndr), in America è in corso una trattativa per un remake.
F. D’I.: Quello che più colpisce all’estero sono gli attori. Hanno detto che sembra che improvvisino, che è il complimento più grande che si possa fare a un interprete, mentre invece qui è tutto scritto. Noi pensiamo che l’improvvisazione sia indice di pigrizia da parte del regista, perché significa delegare la responsabilità artistica all’attore. E’ un approccio sfilacciato, può venir bene o venir male: una cosa che non fa per noi.

Tommaso Arrighi • Produttore
"Con l’Islanda per fare un film di respiro europeo"
di Camillo De Marco

01/06/2018 - Intervista con Tommaso Arrighi, il produttore per Mood Film della coproduzione Italia-Islanda Due piccoli italiani di Paolo Sassanelli, nelle sale italiane dal 14 giugno

Due piccoli italiani di Paolo Sassanelli, nelle sale italiane dal 14 giugno distribuito da Key Films, è una coproduzione Italia-Islanda, cosa piuttosto insolita, nata dall’incontro della Mood Film di Tommaso Arrighi e Gudrun Edda Thorhannesdottir di Duo Productions (con il supporto di Eurimages, MIBACT, Regione Puglia e Lazio). Arrighi, membro di ACE-Ateliers du Cinéma Européen e di EFA-European Film Academy, ha al suo attivo alcuni documentari e cortometraggi (due diretti da Paolo Sassanelli) e 3 lungometraggi. Il primo è stato Aquadro di Stefano Lodovichi (premiato in 3 festival) prodotto con Rai Cinema e IDM Sudtirol Alto Adige. Il secondo è Due piccoli italiani mentre il terzo, attualmente in post produzione, è L’ospite di Duccio Chiarini co-prodotto con Svizzera (Cinedokke) e Francia (House on Fire) con Rai Cinema e RSI e in associazione con Relief e Bravado e con il sostegno di Regione Lazio, MIBACT, Eurimages, UFC e TFL e sviluppato a Cinéfondation La Résidence e al TorinoFilmLab e presentato al Berlinale Co-Production Market.

Cineuropa: Due piccoli italiani nasce dalla precedente collaborazione con il regista?

Tommaso Arrighi: Il mio pallino di produttore è trovare nuovi talenti. Ero scettico su un attore che passa alla regia. Ma avevo visto sul set del cortometraggio Uerra quanto Paolo fosse bravo a dirigere i bambini, ho colto la sua sensibilità. Del resto da sempre dirige spettacoli teatrali, fino a Servo per due con Pierfrancesco Favino, campione d'incassi al botteghino nel 2014.

E l’Islanda come è entrata nel film?

La coproduzione è nata soprattutto dal progetto. Ho prodotto due cortometraggi di Paolo Sassanelli, dopo i quali decidemmo di iniziare un percorso verso il lungometraggio, e fin da subito per Paolo era chiara l’idea di voler fare un film di respiro europeo, in cui ci fosse un viaggio. L’Islanda era un suo “pallino”. Mi ha proposto diversi Paesi del nord Europa, ma alla fine l’Islanda ci è sembrata la più adatta, sia dal punto narrativo che della coproduzione.

L’Islanda ultimamente si presta molto ad attrarre le coproduzioni sul proprio territorio con gli incentivi.

Si, hanno questo cash rebate, che nel tempo è anche cresciuto al 25%, e questo era un aggancio piuttosto importante. E poi strategicamente ho sempre pensato che con quella tradizione musicale, avere un autore delle musiche locale potesse arricchire il progetto. Alla fine la colonna sonora è stata firmata sia da un italiano, Giorgio Giampà, che da una islandese, Gyda Valtýsdóttir, compositrice e cantante che ha fatto parte del gruppo múm. Come violoncellista, Gyda ha collaborato con altri registi internazionali, come la svedese Teresa Fabik, il franco-indiano Prashant Nair, lo statunitense Drake Doremus. Quelle sonorità erano importanti per Paolo per il contrasto con il sud dell’Italia. Inoltre nel mirino della coproduzione c’era Eurimages, importante per noi piccoli produttori che cerchiamo di crescere. Pensavo che una coproduzione Italia-Islanda potesse avere più potenziale di una con l’Olanda o la Danimarca.

L’Olanda è però presente anch’essa, con lo schema di incentivi per le coproduzioni internazionali.

Si. Sempre seguendo i nostri percorsi, insieme artistici e finanziari, avevamo in mente una tappa intermedia. Per il regista era inizialmente Amburgo, perché sua moglie è di quella città e Paolo la conosce bene, ma alla fine non siamo riusciti a finanziare il progetto in Germania. Ci siamo rivolti ad un Paese che potesse offrirci delle risorse. Anche l’Olanda ha un sistema di cash rebate fino al 35%. C’è stato qualche cambiamento nella sceneggiatura e con un bel lavoro di squadra abbiamo chiuso l’impianto produttivo del film.

Cosa consigli dunque ad un giovane produttore?

Viaggiare tanto, cercare di partecipare ai workshop europei, andare per mercati: io l’ho fatto per anni con Cannes e Berlino. Per Due piccoli italiani ho contattato tanti produttori islandesi, fino ad incontrare la persona giusta, Gudrun Edda Thorhannesdottir. Il core business dei produttori islandesi è fare da service, perché in tanti vanno a girare su quel territorio per via di quei paesaggi unici. Con Gudrun c’è stato un rapporto durato qualche anno, perché il partner tedesco non c’era più, e nonostante il budget non proprio faraonico abbiamo pensato che il film si dovesse fare comunque.

Le Regioni e le Film Commission che ruolo hanno avuto?

Un ruolo fondamentale per noi. Anche se Paolo è pugliese non era scontato il supporto da parte della Regione. Per tre quarti del film abbiamo girato a Bari, anche gli interni dell’Olanda, per sfruttare l’Apulia Film Fund e ottimizzare le risorse. In Puglia ci sono tantissime professionalità che valgono, girare lì non è un compromesso per avere i finanziamenti ma un’opportunità.

Vedi delle opportunità anche nella nuova Legge sul Cinema?

Dalla normativa appena varata si evince l’intenzione a dare più soldi alle opere prime e seconde e la ritengo una cosa sana. Per il film di Sassanelli la mia società ha avuto molto poco dal finanziamento pubblico, cosa che ci ha creato problemi nel mettere in piedi la produzione del film. In Italia puoi mettere assieme fondi regionali, Mibact e Rai Cinema, e non hai nient’altro. Anche con Rai Cinema si tratta di costruire un percorso di fiducia, che non è semplice e rapido. Per questo spesso è necessario cercare coproduzioni.

Andrea Carpenzano e Stefano Accorsi in Il campione
di Vittoria Scarpa

04/06/2018 - Cominciate a Roma le riprese dell’opera prima di Leonardo D’Agostini, prodotta da Groenlandia con Rai Cinema.
Sono cominciate a Roma le riprese di Il campione, il nuovo film prodotto da Groenlandia (Smetto quando voglio, Moglie e marito) con Rai Cinema, con protagonisti Stefano Accorsi e Andrea Carpenzano. A dirigerlo è Leonardo D’Agostini, che con questo firma il suo primo lungometraggio dopo una lunga esperienza come assistente alla regia e regista di seconda unità di note fiction tv (Rosy Abate e Solo, tra le più recenti).

Carpenzano (rivelatosi l’anno scorso in Tutto quello che vuoi, e apprezzatissimo in La terra dell’abbastanza, nelle sale da questo giovedì) è Christian Ferro, 'il campione', un giovane goleador pieno di talento, indisciplinato, ricco e viziato: una vera rockstar del calcio, tutta genio e sregolatezza, il nuovo idolo che ha addosso gli occhi dei tifosi di un’intera città e della serie A. Accorsi (miglior attore ai David di Donatello 2017 per Veloce come il vento, visto di recente in Made in Italy e A casa tutti bene) è Valerio Fioretti, il professore solitario e schivo, con problemi economici da gestire e un’ombra del passato che incombe sul presente, che viene affiancato al giovane goleador quando – dopo l’ennesima bravata – il presidente del club decide che è arrivato il momento di impartirgli un po’ di disciplina.

Tra i due all’inizio saranno scintille, ma presto, stando l’uno accanto all’altro, creeranno un legame che farà crescere e cambiare entrambi.
La sceneggiatura di Il campione è scritta dallo stesso regista con Giulia Steigerwalt (Babylon Sisters) e Antonella Lattanzi (2Night). Nel cast del film figurano anche Massimo Popolizio (Sono tornato), Anita Caprioli (Diva!) e Mario Sgueglia (Il padre d’Italia). Le riprese dureranno sette settimane e si svolgeranno a Roma.


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