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Attimi e Infinito. Moments and Infinite

Poesia

Caterina Trombetti (Biografia)
thedotcompany

Recensione di Adele Desideri
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Pubblicato il 11/05/2018 12:00:00

 

Caterina Trombetti è nata e vive a Firenze. Insegnante di lettere e pedagogista, si è laureata all’Università degli Studi di Firenze e vi ha conseguito il diploma di perfezionamento di Traduzione letteraria. Da lungo tempo è attiva nelle scuole per sensibilizzare gli studenti nei confronti della poesia. Ha curato l’antologia Dal cielo cascò una rosa. Voci poetiche dal carcere (Comune di Firenze, 2008), che raccoglie i frutti del laboratorio di poesia da lei tenuto presso il carcere di Firenze. Nel 2001, nel 2005 e nel 2006 è stata invitata a Tunisi, a Mosca e ad Algeri, per la Settimana della Lingua e Cultura Italiana. Ha fatto parte del Consiglio di Amministrazione di Scandicci Cultura ed è socio onorario del Centro d’arte Modigliani. Amica e collaboratrice di Mario Luzi, dopo la nomina di senatore a vita, è statasua assistente al Senato.

L’ultima raccolta di poesie di Trombetti, Attimi e Infinito - pubblicata nel 2017 per i tipi di thedotcompany s.r.l., in versione bilingue, con la traduzione in inglese e un’accurata nota critica di David Tammaro - presenta una folta e preziosa selezione di testi risalenti agli anni che scorrono dal 1986 al 2016. Mi pare opportuno, perciò, lasciare ad altri esperti una pur necessaria recensione riguardante gli scritti di Tammaro, e procedere a commentare, tout court, le differenti sezioni, stese in origine, in italiano, da Trombetti.

 

Ne Il pesce nero (Lalli editore, Siena 1990) emerge intenso il dolore, mentre i versi sussurrano scuri, evocati in un intimo, meditato colloquio. La poeta attraversa le strade del mondo, leggera, e tuttavia incagliata in una solitudinepriva di requie: “Nelle strade cammino/ frustata dalla pioggia,/ e ogni tanto il lampo/ incendia, col suo bagliore/ violaceo, la terra.//”.

La nera visitatrice, la morte, ha infatti impresso un segno indelebile - resta solo il ricordo dell’incedere lento,ma inesorabile, lungo il nulla: “e lentamente sono scivolata/ nel suo mondo di silenzio,/ sono entrata nella sua pelle/ e anch’io ho guizzato/ leggera e sospesa.// (…)// Ora è morto, e con lui/ quel mio angolo di pace.//”.

 

L’obliqua magia del tempo (Polistampa, Firenze 1996) è introdotta da un’affettuosa prefazione di Mario Luzi, il quale sottolinea come Trombetti esprime “Le indignazioni per l’ingiustizia, le ribellioni alle iniquità e agli affetti, le devozioni, gli incantesimi della natura, le estasi amorose (…) nella più pura aderenza alla prova quotidiana, senza mediazioni presuntuose e tuttavia nel meditato avvertimento della sua durezza”.

Trombetti scrive qui con sapienza e umiltà, e tesse unamelodia dai toni alti, commossi, eppure misurati: “Natale dolente/ (…)// Ed è un filo spinato/ che circonda la fronte/ al Bambino beato/ che gli angeli osannano.// Riviviamo nel rito/ ogni volta la morte,/ ripetendo da sempre/ gesti sacri e solenni.// Ma perdura la notte/ per il cieco che arranca/ e non trova spiraglio/ che rischiari la mente./”.

Altrove, la natura, controfigura del divino, offre bellezza e chiede tributi di rispetto, anche nelle circostanze più tristi: “Testimone rimani,/ pietra d’amore preziosa.//”.

Aggiunge ancora Luzi: “l’identificazione di poesia con atto vitale ritmico (…) pare senza variabili; senza variabili è anche il conseguente rasserenarsi o incupirsi del senso, come accade ai mezzogiorni solcati da nuvole che si apprestano a diventare pomeriggi”. Ed è mezzogiorno arsodal fuoco e dalla passione - presago, però, del senso della fine - quando Trombetti intona il suo amorosocantico, che da una parte richiama quello indimenticabile della Bibbia, e dall’altra non scorda il dualismo, di freudiana lezione, dell’inconscio: “Come non sentire il radioso incanto/ che di me provi e ti pervade tanto./ Come sottrarsi a tanto forte ardore/ che parte dai sensi e diventa amore.// L’istinto di morte porta lontano/ e spinge i passi dove non vorrei.// Stillo così la vita, fra i continui assalti/ di Eros e Thanatos il confine rasentando.//”.

Risalta, così, un femminile seducente e mite, misterioso e tenero, lambito da tersadolcezza, incastonato in cangianti affreschi caratterizzati da sfumatureimpressioniste: “Vieni, intrecciamo vele di sogni./”.

E non v’è mai, d’altronde, in questi versi di Trombetti, una concessione nei confronti della banalità - né un accenno aspro o sproporzionato.

 

È ancora Luzi a introdurre Fiori sulla muraglia (Passigli, Firenze 2000), un’opera nella quale l’uomo e Dio si incontrano, assieme danzano dialogando - si fondono quasi,per poi ritrovare, ognuno, la propria autonoma identità: “Ruotano intorno ad un unico centro/ dervisci uniti, le braccia alte al cielo.//”.

Le immagini di Trombetti rimembrano i battiti lievi e incessanti di un tamburo, i lampi fulminei di luce, i grigiori ondosi di certe nubi, le sorgive acque della lietezza: “Per noi bisbiglia il sole/ (…)/ Abbracciamo la Terra/ e ce la porgiamo con una mano.//”.

Sensualità e delicatezza, dunque, celebrano l’armonia di un movimento semantico e timbrico tanto semplice quanto complesso, e donano, Mario Luzi lo conferma, “a chi (…) legge o (… ) ascolta il timbro e la vibrazione, appunto, della irrefutabile poesia”.

Nella poesia-preghiera rivolta al figlio, Trombetti rivela, poi, uno dei momenti più significativi di quell’originale e sinuosa euritmia di senso e suono che segna molti dei suoi bei versi: “Come ognimadre/ vorrei per te/ una ghirlanda di luce,/ vorrei donarti ali potenti/ che ti portassero oltre il dolore/ al di là dalle ingiurie del mondo.// Come ogni madre/ vorrei per te/ occhi sempre splendenti/ e un piede leggero/ anche tra gli irti roveti.// Ma so che non posso/ costruire un mondo irreale/ e l’unico bene/ che mi è dato mostrarti/ è ciò che si vive,/ noi tanto imperfetti.// Affidare al tuo cuore/ la comprensione sapiente,/ cadendo e rialzandoti,/ nel percorso di tutti.//”.

 

In Dentro al fuoco (Passigli, Firenze 2004) e in Montalcinello: i tuoi cieli, i tuoi ruscelli (Edizioni Il Bracconiere, Milano 2001) vari sono i temi trattati e medesima,ma ancor più precisa e affinata, la cifra stilistica, intrisa di genuina, lirica eleganza: lo stesso Luzi, d’altronde, nella prefazione a Dentro al fuoco, equipara la vis artistica di Trombetti alla “scioltezza di un pittore che usi con disinvoltura e maestria oltre che il pennello anche la spatola”.

Attraverso il colloquio di Trombetti con Emily Dickinson - donna votata a una riservatezza pressoché claustrale - si delinea, in primis, l’assunto del silenzio: “Perché Emily mi hai così colpita?/ (…)/ (…) È la clausura/ che ti ha aperta al mondo,/ (…)// Non stavi come me ore ai fornelli./ Tuo era il tempo, per i tuoi pensieri.// (…)/ e in due viviamo la poesia e le cose.//”. Un desiderato silenzio - quello di Caterina e di Emily - non motivato, però, da una ritrosia individualistica, bensì da un intenso sentimento della vita, esperito in modo così abissale, da doversene quasi preservare. Un silenzio, appunto,chesi fa dialogocon l’altro, con il mondo, nel tentativo, diurno e notturno, di dare una temporanea e incompleta risposta alle più profonde domande di senso del dettato esistenziale: “Rasente ai muri passo/ quasi con gli occhi chiusi/ per non essere vista,/ per occultarmi agli altri/ nel mio non vedere.// Dal mio passo spigliato/ nulla trapela,/ si muove disinvolto/ anche fra tanta gente.// Ma io rasento i muri/ per farmi trasparente,/ non incontrar nessuno,/ dimenticarmi io stessa/ lasciandomi cadere/ nel buio preliminare.//”.

Vi sono poi pagine di incisiva poesia civile. Luzi in proposito evidenzia, in Trombetti, il “dono naturale di sensibilità”, “la freschezza e diretta affezione per il mondo nei suoi eventi minimi o gravi, esaltanti o luttuosi e nei suoi aspetti soliti e insoliti dove ordinario e straordinario si confondono: gli uni gli altri vissuti come prove e destino, sofferti anche quando sono pensati e meditati”.

E torna, allora, l’incubo delle due colossali, genesiache, Torri di New York, infuocate da menti davvero malefiche. Nel disastro che ha annientato, insieme alle Torri, quasi tremila innocenti vittime, l’Occidente ha visto incenerire le sue irrisorie illusioni, derivanti da un sistema economico e politico che non porta pace, né tantomeno giustizia distributiva: “E dunque c’ero anch’io su quelle torri!// Nella vampa di quella fiamma/ che infiammava gli occhi/ e brandelli di carne/ e torce umane,/ qualcuno nel suo estremo, ultimo volo.// Lo sguardo alla cima delle Twin Towers,/ gigantesche e fiere della loro potenza.// Troppo/ troppo in alto portate/ le emule torri di Babele/ crollate per l’insostenibile contrasto/ dell’uomo contro l’uomo.// Lo schianto ci schianta,/ la vampa ci incendia,/ e nello shock dell’incredibile scenario/ c’è chi in modo perverso gode/ dell’emozione violenta,/ fanatico di un gioco virtuale,/ di una roulette che non osa tentare.// Per quanto ancora/ l’uomo vivrà della morte dell’uomo?//”.

L’umanesimo di Trombetti sembra ispirato all’etica dellabenevolenza, intesa in senso buddhista, e alla tenerezza di Dio -la medesima tenerezza chepapa Francesco ci insegna a riconoscere, a coltivare, a diffondere, come seme fecondo di convivenza e di rispettofragli uomini: “Potesse questa terra essere culla/ per le tante voci/ che dicono le gioie ed i dolori.// Che dicono il diritto all’esistenza,/ a stare dentro il cuore/ di Europa la dea/ benevola e violenta,/ tornata dall’Olimpo sulla Terra/ a generare figli,/ ad essere grande nella sua accoglienza.// (…)// Il canto scorre e la fiaba si snoda,/ viene da spazi e tempi sconosciuti./ (…)// Sembra parli di uno soltanto/ e invece dice/ che noi tutti siamo una voce sola.//”.

Ma il rifugio di Trombetti, lasua terra di origine, è Montalcinello, frazione medievale del Comune di Chiusdino, in provincia di Siena,“(…) dove meditare è respiro,/”, dove “è pronto ad esplodere/ incontenibile/ il crosciante concerto dei grilli.//”. Qui Trombetti ritrova se stessa. Qui torna,per elaborare conforti e tribolazioni, perattutire i crucci inflitti dalla sorte,chepunta a caso, e nessuno risparmia: “Curve, curve a non finire,/ e finalmente la macchina,/ giunta al quadrivio,/ si è tuffata nella strada/ che porta al paese. L’unica/ che non ha sbocco/ e che ci lascia proprio nel cuore/ di questo gruppo minuscolo/ di case di pietra.// Sono tornata.// Ancora una volta sono tornata/ a respirare l’aria dell’infanzia,/ che solo qui ritrovo./ Ancora una volta me ne andrò,/ sola,/ per i chiassi/ a ricercar me stessa/ e nei vicoli l’odore del pane.// È cambiato il paese/ come io sono cambiata/ e inutilmente cerco.//”.

 

Generosa, infine, è la sezione Poesie inedite, nella quale il pensiero va ai tanti bimbi migranti, alle loro traversie, alla loro capacità di resistere alla fame, alla sete, al freddo, alle ingiurie degli adultichene sfruttano l’ingenuità, alle onde inclementi del Mediterraneo, quando impazza tenebroso e pare volere allontanare sempre di più, se possibile, l’uomo africano da quello europeo. E Trombetti plasma, allora, la tenerezza di Dio in una soffusa, aerea poetica, dolorante come un corpo martoriato da reiterate ferite, eppure esposto alla speranza, all’accoglienza, all’amore universale: “Sono tanti - guarda bene -/ ecco i nostri nuovi bimbi./ Hanno stretto il cuore in mano/ per attraversare il mare/ e nei loro pochi anni/ c’è una storia primordiale.// Cosa sognano all’arrivo/ fin dal loro primo approdo?/ Essere bambini tra i bambini/ e giocare tutti insieme/ intrecciando mani e cuori/ per poter dimenticare/ la paura che li ha spinti.// Questi sono tempi oscuri,/ ma quegli occhi grandi e inquieti/ vanno incontro al mondo nuovo./ Si intravedono scintille/ per un tempo che sarà.//”.

È legittimo ipotizzare, forse, che il corpo offeso di ogni bimbo migrante sia l’immagine di Cristo appeso alla Croce, poco prima di morire - poco prima di risorgere.

 


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