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Caos

Narrativa

Edmund White
Playground

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 02/02/2010 22:04:00

Una novella (come recita il titolo originale) e tre racconti compongono questo libro di Edmund White, ottimamente tradotto da Giorgio Testa.
Il caos suggerito dal titolo pare essere quello del non sapere più quale sia il proprio posto in quel pezzetto di mondo che consideriamo casa, qualcosa cambia e di colpo ci si sente fuori posto, immersi in un caos che apparentemente ha una sua vita spontanea ma in realtà è alimentato dalla nostra confusione, dal nostro straniamento dalla vita. Protagonista dei quattro brani è il solito professore, giunto in prossimità dell’età del riposo che si guarda attorno e scopre di non aver costruito granché; nel primo e più lungo racconto, veste i panni di uno scrittore ormai fuori moda, che tende a dimenticare le cose e fare confusioni tali da mettere in crisi la sua vita professionale, ma ciò è dovuto alla sua crisi personale in un mondo che fu il suo ma che ora vive all’insegna delle droghe di sintesi, dei muscoli e degli ormoni in eccesso. Lui che non usa droghe, non è mai andato in palestra e non dispone di quella caratteristica fisica tanto invocata dai più si vede costretto a pagare per avere un po’ di compagnia, e dall’incontro con Seth, un bel ventottenne mormone, nascono una serie di considerazioni sui desideri di dare e ricevere amore, e come spesso i soldi siano uno schermo dietro il quale ci si nasconde per non mettere a repentaglio i propri sentimenti. Le considerazioni di White su questo argomento sono sempre molto belle e partecipate, velate da quel sottile strato di ironia che riesce a porle nella prospettiva tale per cui riescono in modo efficace a far riflettere.
In questo lungo racconto entra anche una donna, amica del cuore del protagonista, anche per lei gli anni scorrono, e al maturo protagonista toccherà fronteggiare pure il declino di quella che pare essere l’unica persona che gli è rimasta accanto nel volgere della sua vita verso la vecchiaia. Amica che torna anche nel terzo racconto, “Buon viso a cattivo gioco”, come compagna di vecchiaia e dà lo spunto al protagonista per raccontare una divertente avventura occorsa ai due qualche anno prima in cui la donna forte del fatto di essere di sesso femminile e di bell’aspetto crede di avere conquistato il cuore di un gentile padrone di casa, ma la vita non va mai come previsto. Un giorno il padrone di casa presenta loro la promessa sposa creando forte imbarazzo alla donna infrangendole il sogno d’amore, ma la realtà non è neanche questa, ed al rassegnato protagonista non resta che lasciarsi andare a considerazioni sul valore dell’amicizia e su come sia difficile vivere in una società repressiva. Il secondo racconto è un'altra istantanea sulla vita di un uomo maturo che guarda cambiare il mondo intorno a lui, osserva il compagno andarsene e decide di farsi un regalo, che lo aiuterà a rassegnarsi ad affrontare con serenità la vecchiaia. Nell’ultimo racconto si va indietro nel tempo sino al 1953 nella cosiddetta “Epoca dei dischi” in cui assistiamo alla scoperta da parte dell’autore, da giovane, di quel mondo che gli permetterà di evadere dalla angusta provincia americana attraverso l’arte ed in particolare un film di Greta Garbo proiettato in una sperduta chiesa.
Il libro è, come sempre con White, molto bello, scritto in modo elegante ed efficace con spunti intimisti ed ampie pennellate da grande affresco, costruendo così la chiara sintesi tra la vita dell’individuo rapportata al mondo che lo circonda, alla serena rassegnazione di chi piano piano viene relegato alla parte del benefattore perché non più oggetto di desiderio, ma quasi oggetto che desidera. Il libro ci mostra come talvolta un ambiente ristretto possa mostrarsi spietato verso i suoi medesimi adepti quando questi cominciano a perdere le caratteristiche che i più desiderano, ma è altrettanto vero che basta un po’ di disincanto e un po’ di forza per continuare a trovare quell’amore che tutti paiono relegare in secondo piano ma in realtà desiderano.

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