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Oltre lo smeriglio

Poesia

Antonio Spagnuolo (Biografia)
Kairós Edizioni

Recensione di Roberto Maggiani
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Pubblicato il 24/10/2014 12:00:00

 

“Oltre lo smeriglio” è la nuova raccolta poetica di Antonio Spagnuolo, prima edizione settembre 2014. Essa è divisa in due parti: “Ricomporre”, “Memorie”.

L’uscita di un libro di Spagnuolo è sempre un evento molto gradito, almeno da parte mia, per l’efficacia della sua scrittura. In che cosa consiste tale efficacia è presto detto se pensiamo alla poesia come a un luogo, situato in qualche parte dell’esistenza interiore dell’uomo, in cui vi è un’attività energetica potentissima ma silente, invisibile agli occhi ma solo perché sommersa-custodita in strati esistenziali inferiori (non in grado ma in posizione figurata), cioè in camere magmatiche la cui presenza si rivela, con chiarezza, a chi frequenta la poesia nelle sue varie manifestazioni laddove essa decide di emergere con forza e destrezza, come dalla lettura di un libro o di un blog, dall’ascolto di una voce che declama o legge, o altro.

Il “magma” interiore di ogni persona è una durezza rocciosa fusa da forze vigorose, resta lì quiescente nell’intimo finché, spinto in superficie, fuoriesce da tali silenziosità sotterranee e, come lava, scivola con decisione verso il mare dell’emozione e della ragione, portando con sé ogni sorta di minerali: elementi umani quali virtù nascoste, memorie segrete, passioni sopite, intelligenze inaspettate; spazzando via, nel fluido più o meno viscoso rossore, prassi, passività, pigrizia, torpore, indifferenza, insensibilità, inerzia, rassegnazione. Tale è l’effetto efficace della poesia di Spagnuolo, smuove, anche in un momento di apatia esistenziale. Si tratta di una scrittura forse non subito esplicita e chiara nei suoi intenti, così come non lo è un terremoto, che non si sa cosa annunci, da quale direzione arrivi e come o quando finirà, ma alla sua forza scuotente non si sfugge.

La poesia di Spagnuolo è dunque fluida e misurata nelle parole, scorre, ma talvolta, come lava a contatto col mare, sembra solidificarsi superficialmente in un simbolismo che solo in apparenza pare raffreddare il flusso poetico. Le parole, singolarmente prese all’interno del dettato poetico, così come talvolta anche i singoli versi, non sono sempre di immediata comprensione, non rispondono cioè a un logico accostamento di senso, talvolta vien da chiedersi: quale sarà l’intento del poeta? Se ci si ferma nel puntuale si può rimanere stupiti dalla scelta linguistica, da una sorta di inesattezza latente (la intendo qui nella sua accezione positiva, un po’ come il dubbio – leopardianamente parlando – è la strada verso la verità), ma seguendo il percorso di salita del magma si arriva nel luogo in cui le singole parole e i singoli versi si compongono in una meravigliosa eruzione di senso e significato compiuto, la montagna diventa spettacolare, infiammata e potente, bella, quasi sorridente, pur nella tragedia che mette in scena. Proprio in questo si evidenzia, a mio avviso, la grandezza del poeta Antonio Spagnuolo, nella sua capacità di trasmutare l’insieme delle parole, e dei versi da esse composte, in eccitante poesia, nonostante il simbolismo, più o meno marcato, tenda a criptare le informazioni. Volendo rimanere nell’analogia vulcanica, l’azione che compie il poeta Spagnuolo, è simile a ciò che avviene durante una eruzione, i singoli elementi che la compongono, lava, ceneri, gas, vapore, bombe, riescono a rendere l’insieme uno spettacolo ineguagliabile che dà al contempo timore e vigore.

 

In “Oltre lo smeriglio”, Spagnuolo, cammina nel solco di una sua personale esperienza, tra memoria e presente, nostalgia e proposito, dolore e gioia. Ma solo un poeta che vive senza menzogna, perché fermo nella verità della poesia, può, con la sua voce, in calibrate sottigliezze e lavorazioni attente sul verso, deviare l’attenzione del lettore dai suoi personalissimi dolori e gioie a quelli universali, coinvolgendo, in tal modo, il lettore stesso, nel gioco della poesia; caricandolo di fervore poetico esistenziale lo porta, per successive riflessioni, a scorrere i versi come una pista di decollo, un mantra o una preghiera che eleva a più importanti affari di quelli piccoli e corruttibili in cui normalmente sguazziamo.

 

Infine. Mi hanno colpito i titoli delle due già citate sezioni, Ricomporre e Memorie, a mio avviso azzeccati in relazione al titolo dell’opera: Oltre lo smeriglio. Lo smeriglio è un minerale che può essere utilizzato per smerigliare, appunto, il vetro, al fine di renderlo opaco. La sua opacità nasconde ciò che avviene nella stanza al di là del vetro, pur rimanendo visibili eventuali luci, colori, ombre. Il poeta cerca qui, probabilmente, di ricomporre un passato nella sua memoria, di guardare oltre lo smeriglio del tempo presente. Ma guardare nel passato, così come nel futuro, significa ravvivare il presente, e non invece allontanarsene, come si potrebbe facilmente pensare. Il poeta ricompone e prevede-precede i tempi del suo personale passato-futuro… ma anche del nostro, se il poeta è capace di universalizzare la sua voce, e Spagnuolo lo è grazie alla sua maestria, affinata in anni di ricerca poetica, di osservare ombre e luci oltre lo smeriglio.

 

Propongo qui in lettura tre poesie.

 

Da “Ricomporre”:

 

 

VI

 

Rispondi l’orlo

slombato a perdere distanze.

Sparita al crepuscolo

quando gli sguardi attoniti

tornano a recitare

lentamente minuti.

Eccoti nuda come sogni

scalcati all’impazzata:

rimani interdetta negativa

declinando bisbigli,

consumandoci rincula la vecchiezza.

Quasi scopri paura

a colonne di menzogne:

giri la tana

da oltre cinquant’anni.

 

 

VIII

 

Altre figure hanno violenze col remoto,

scompaiono a carpire le improvvise

ambrosie,

troppo lontane per questo infinito,

riavvolgi occasioni

impre/disposta.

Regole d’ossa

trascino mezza tacca,

dispensa schisi d’intervento

finché bocco/ni

rugo moti a macchie.

Ormai piaga d’un giogo

trapana la rena.

Non sapremo nome

mediando la scena,

brandi gavatta,

alle finzioni inoculi

meridiano logorio.

 

 

Da “Memorie”:

 

Talvolta

 

Così, attendo talvolta nel tramonto

il riflesso leggero di un colore

che mi stupisca,

come allora il bisbiglio

delle tue labbra rosate, nelle sere.

Ora potrei contare le tue ossa

e inorridire al buio della bara.

Immagino i tasselli della notte

che ripetono il volto nel tormento,

piegato ad invocare l’infinito.

Non posseggo memorie di parole

e svanisco giocando contro il tempo.

 


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