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Mattiangelo Forgione nell’amministrazione reale

Argomento: Storia

di Luigi Russo
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Pubblicato il 02/09/2010 07:45:10

MATTIANGELO FORGIONE: UN CASERTANO
NELL’AMMINISTRAZIONE REALE DI CASERTA

Introduzione
Mattiangelo Forgione fu uno dei primi borghesi casertani a raggiungere alte cariche nell’Amministrazione Reale di Caserta, entrando, in sostituzione del padre Antonio, prima come commissario, poi divenendo tesoriere per circa 40 anni, ricoprendo anche le cariche di amministratore delle Reali Delizie di S. Leucio, di ministro della Giunta di Economia dello Stato di Caserta e di presidente onorario della Regia Camera della Sommaria.
Con la sua figura la sua famiglia raggiunse le più alte cariche e la massima potenza, acquistando un bellissimo palazzo e trasferendosi anche dalla villa di Sala di Caserta, alla Strada Vico della Torre di Caserta, divenuta il centro della città dopo la costruzione del Palazzo Reale.
Prima di lui la famiglia aveva vantato due canonici e suo padre era stato impiegato come commissario nell’Amministrazione Reale di Caserta.
Dopo di lui anche il fratello minore Pietro Saverio raggiunse la carica di tesoriere dell’Amministrazione Reale di Caserta per pochi anni e fu anche consigliere provinciale di Terra di Lavoro nel 1820.

1. La famiglia di Mattiangelo in Sala di Caserta
Mattiangelo nacque il 5 settembre del 1738 da Antonio Forgione e da Nicoletta Forgione nel palazzo di famiglia, situato nella villa di Sala di Caserta alla Strada delle botteghe [oggi via S. Donato].
Antonio era nato in Sala di Caserta il 1719 circa da Mattia e da Vittoria Masiello; mentre la moglie Nicoletta Forgione era figlia di Marcello di Caiazzo, proveniente da Casolla di Caserta, e di Isabella Pelosi (1).
I genitori di Mattiangelo si erano sposati in Caiazzo nel 1737; il contratto dei capitoli matrimoniali era stato stipulato in Caiazzo dal notaio Vito Pezzella di Caserta il 17 settembre 1737 (2). Nicoletta possedeva in comune con la zia Dorotea Forgione i seguenti beni: un edificio di case di 11 membri inferiori e superiori nel Vico de’ Forgioni o del Cetrangolo, confinante con altri beni di Marzio Forgione da settentrione; 26 moggia con casa di 2 membri nella località Ogni Santo, 2 moggia in Cesarano, 12 moggia ad Agna, 2 moggia olivate ne’ La Cerrara, 10 moggia lavorandine con vigna al Belvedere, moggia 15½ in Biancano di Limatola e diversi capitali con relative annualità (3). La zia Dorotea, rimasta nubile, aveva cresciuto la nipote Nicoletta dall’infanzia con amore ed affetto, pertanto in occasione del suo matrimonio le donò la sua porzione, mantenendo l’usufrutto dell’abitazione e delle entrate dei suoi beni fino alla sua morte, riservandosi di poter disporre di 100 ducati e di un vitalizio di 5 ducati annui all’altro nipote Renato Forgione, fratello di Nicoletta. Inoltre Gaetano, un altro fratello di Nicoletta era religioso nel monastero di S. Giovanni a Carbonara di Napoli.
Nell’ottobre dello stesso anno don Giuseppe Forgione, monaco dei minori francescani nel monastero della Pietra Santa in Napoli, mosso da amore ed affetto per la nipote Nicoletta, le fece un ulteriore donazione di molti territori: in Limatola: moggia 43½ seminatorie e lavorandine all’Isolella e 6 moggia alle Paduli; in Caiazzo: moggia 3½ alla Limatella, moggia 5 all’Annunziata; in Squille: moggia 9 alle Prese. La predetta donazione era effettuata a condizione che Nicoletta pagasse ducati 10 annui allo zio dalle suddette rendite; inoltre, nel caso che Nicoletta morisse senza figli, i suddetti territori dovevano essere ereditati da Giuseppe de Simone, figlio di Candida Forgione (sorella di Giuseppe) e Nicola de Simone, già designato erede dallo stesso Giuseppe Forgione dei beni ereditari di Marzio Forgione (padre di Giuseppe Forgione e nonno di Giuseppe de Simone) (4).
Nell’anno 1749 il “magnifico” Antonio Forgione, dichiarava di “vivere civilmente” e di possedere in comune con il fratello Matteo Forgione, lo zio Francesco Forgione, entrambi canonici, una casa “palaziata” con giardino e un “trappeto” in Sala. I Forgione avevano anche una bottega nel casale della Torre della città di Caserta, diversi territori in Sala e altri nel casale di Sarzano: 5 moggia di terreno nella località Monticello; 2 moggia di terreno olivato, censuate alla Chiesa Parrocchiale di Sala nel luogo detto Monticello; 1 moggio di terreno nella località Quaranta; 50 passi di terreno e altri 55 passi, confinante coi beni della chiesa parrocchiale di Sala; 3 moggia di terreno arbustato e olivato dietro al Montano [ovvero dietro al “trappeto” o frantoio]; altri 40 passi di terreno, censuato alla chiesa parrocchiale di Sala; 5 moggia di montagna con olive; 2 moggia nella località chiamata Gradillo. I terreni posseduti in Sarzano erano stimati 100 ducati annui.
Nella casa “palaziata” di Sala abitavano: Antonio Forgione, di 30 anni, Nicoletta Forgione, moglie di 34 anni, Mattiangelo, figlio di 10 anni, Berardino, figlio di 8 anni, Domenico, figlio di 4 anni, Giuseppe, figlio di 2 anni, Vittoria Masiello, madre di Antonio di 73 anni, Francesco, canonico di 81 anni, Matteo, fratello canonico di 40 anni (5), Beatrice di Blasio, serva di 72 anni, Maria Savastano, serva di 34 anni, Francesco Giaquinto della Torre, servo di 40 anni (6).
Antonio Forgione aveva anche delle proprietà nella città di Caiazzo: un comprensorio di case di più membri nel Vico delli Forgioni, confinante con la casa di Dorotea Forgione; 4 moggia di terreno seminatorio e vigneto nel luogo chiamato Belvedere; 11 moggia di terreno arbustato nella località Agna e altre 23 moggia di terreno arbustato con masseria nel luogo chiamato Ogni Santo. Inoltre, aveva altre rendite annue: 12 ducati per un capitale di 300 ducati e 15 carlini per un capitale di 25 ducati (7).
Nell’anno 1752 Antonio Forgione entrò a far parte dell’Amministrazione Reale di Caserta a richiesta firmata dal marchese Fogliani e dall’Intendente don Lorenzo Maria Neroni (8). Egli fu impiegato come commissario addetto al mantenimento delle scuderie e ai lavori dell’acquedotto (9).
Antonio Forgione fece il suo testamento nel suo palazzo della “Villa” di Sala con il notaio Vito Pezzella lasciando suoi eredi i figli Mattiangelo, Berardino, Domenico, Giuseppe, Gaetano e Pietro Saverio, dando facoltà alla moglie Nicoletta e al fratello canonico Matteo di accrescere le porzioni ereditarie a ciascun figlio. Inoltre, nominò la moglie tutrice e curatrice dei figli minori. Egli dispose che il suo cadavere doveva essere trasportato nella sepoltura di famiglia della chiesa di S. Simeone di Sala (10).
Prima della morte di Antonio era stato stabilito che Mattiangelo e Berardino dovevano prendere gli ordini minori: infatti nell’ottobre 1756 presso il notaio Vito Pezzella fu costituito il patrimonio sacro per Mattiangelo e Berardino con la donazione da parte del padre dei territori di Limatola (11).
Nell’aprile del 1758 i fratelli Neroni (uno era cavaliere e l’altro canonico) di Firenze, ma abitanti da più tempo in Caserta, davanti al notaio Vito Pezzella, affermarono che l’acquisto fatto il 15 luglio dell’anno precedente da Tomaso Vitelli di Caserta del territorio di 5 moggia, 4 passi e passatelli 2½ denominato Terra Grande nella villa di Sala per 1623 ducati era stato fatto da loro a nome e col denaro del fu Antonio Forgione, da poco tempo morto; pertanto ora il suddetto territorio era ereditario dei figli di Antonio (12).
Ma dopo la morte del padre, nel mese di maggio del 1759 Mattiangelo si ritrovò ad essere capofamiglia e rinunciò al patrimonio sacro precedentemente costituito. Infatti davanti al notaio Vito Pezzella, alla presenza della madre Nicoletta Forgione fu sancita la rinuncia di Mattiangelo al patrimonio costituito in favore del fratello Domenico; si trattava dei seguenti territori di Limatola: 3½ moggia in località La Limatella, 5 moggia in La Nunziata, 9 moggia a Le Prese e 6 moggia alle Padule (13).
In occasione del sacerdozio di Domenico anche lo zio canonico Matteo Forgione gli fece una donazione di 5 moggia di territorio situato in Sala nella località al Ponticello, sempre per il suo patrimonio sacro (14).
Nicoletta Forgione nata intorno al 1715, vedova di Antonio, fece il suo testamento nel suo palazzo della villa di Sala il 17 marzo del 1775 davanti al notaio Domenico Antonio Giaquinto di Caserta, dichiarando di voler essere seppellita nella cappella della famiglia nella chiesa parrocchiale di S. Simeone di Sala e nominando eredi universali e particolari i figli Mattiangelo, Giuseppe e Pietro Saverio (15).
Il suddiacono Domenico Forgione morì nel novembre 1778 nel palazzo Forgione della villa di Sala. Il 21 novembre del 1778 a richiesta dei fratelli Mattiangelo, Giuseppe e Pietro Saverio si aprì il suo testamento, rogato presso il notaio Domenico Antonio Giaquinto nel maggio 1772. Domenico dichiarò di voler essere seppellito anch’egli nella cappella di famiglia nella chiesa parrocchiale di S. Simeone di Sala. Egli aveva nominato erede particolare la “dilettissima” madre, che tuttavia era morta prima di lui. Pertanto i suoi eredi universali e particolari furono i tre fratelli, lasciando diversi legati (16).

2. Ascesa di Mattiangelo e trasferimento della famiglia a Caserta Torre
Mattiangelo, dopo la morte del padre Antonio, si ritrovò a fare da padre ai fratelli minori, avendo rinunciato alla carriera ecclesiastica, e grazie alle conoscenze e alle amicizie familiari, fu proposto il suo ingresso nell’Amministrazione Reale di Caserta al posto del padre come commissario. La richiesta fu firmata dall’intendente Lorenzo Maria Neroni e autorizzata da Bernardo Tanucci (17).
Il 5 maggio del 1764 fu nominato tesoriere della Reale Amministrazione del Real Sito di Caserta, sostituendo il canonico Antonio Marotta (18).
Il regio tesoriere Mattiangelo nel mese di aprile 1767 comprò un territorio di 40 passi nella villa di Sala, nella località allo Montano, da Nicola Giuseppe ed Antonio della Valle, zio e nipote della villa di Coccagna per il prezzo convenuto tra le parti di 390 ducati (19).
Nel mese di novembre del 1767 il Forgione comprò un comprensorio di case da Vincenzo Scognamiglio e Palma di Grauso, coniugi di Sala, per il prezzo totale di 165 ducati. Il comprensorio era costituito da un membro inferiore, uno superiore e un altro inferiore scoperto con cortile murato di 5 passi e 10 passitelli, metà cisterna ed altre comodità, era confinante con altri beni della famiglia Forgione. L’apprezzo fu fatto da Giovanni Maggi, capo mastro delle Reali Fabbriche di Caserta e dal muratore locale Simeone Zebella (o Zibella) (20).
Nel mese di marzo del 1769 presso il palazzo Forgione di Sala Mattiangelo e lo zio canonico casertano Matteo Forgione, fratello del padre, stabilirono di erigere una cappella presso il proprio palazzo, dedicata a S. Maria degli Angeli e ai SS. Pietro e Paolo con un altare con un quadro raffigurante la Madonna e i santi protettori, chiedendo di potervi far celebrare messa. Il canonico don Matteo stabilì di dotare la cappella di 6 ducati annui dalle proprie rendite, in particolare da un terreno di 2 moggia nella villa di S. Benedetto di Caserta, nel luogo detto allo Vuttaro (21).
Seguì la richiesta di Mattiangelo del regio assenso sulla fondazione presentata il 16 marzo 1769 e firmata a Napoli il 25 novembre dello stesso anno da Carlo de Marco, governatore di Caserta. L’approvazione della Diocesi casertana, a firma del vescovo Filomarino e del canonico cancelliere Francesco Biscardi, giunse nel mese di luglio 1770 (22).
Nel 1770 troviamo alcune concessioni di mutui a cittadini di Briano di Caserta: non si trattava di grosse cifre, ma gli interessi richiesti erano del 6% (23).
Nel novembre del 1774 il Forgione acquistò dai fratelli don Giuseppe Mazzarella, il canonico don Giovanni, don Nicola e i dottori Donato ed Antonio un territorio arbustato di più moggia con un edificio di case, situato accanto alla casa “palaziata” dei Forgione, per un prezzo totale di 483,33 1/3 come stabilito dal “regio tavolario” Giacomo Tartaglione di Caserta. Ma per avere l’accesso a questo nuovo comprensorio di case occorreva fare una nuova vinella a spese dei Forgione (24).
Mattiangelo Forgione nel marzo del 1775 chiese un mutuo di 300 ducati a Pasquale di Lillo di Caserta e Gioacchino di Lillo di Mataloni [Maddaloni], eredi del quondam Domenico Antonio di Lillo. Il contratto fu fatto presso il Palazzo Reale di Caserta e il Forgione si impegnò a restituire 15 ducati annui (25).
In seguito ricoprì anche le cariche di Amministratore delle Reali Delizie di S. Leucio e di Ministro della Giunta di Economia dello Stato di Caserta. Nel marzo del 1775 diventò Presidente onorario della Regia Camera della Sommaria (26).
Nel 1778 Mattiangelo comprò il palazzo di Strada Vico da Agostino Borgognoni, insieme ad un altro edificio di case più piccolo di fronte a tale palazzo per la somma di 7800 ducati. Quindi la famiglia, costituita dai fratelli Mattiangelo, Giuseppe e Pietro Saverio, poté trasferirsi in Caserta Torre (27).
Nel marzo del 1784 il presidente onorario della Camera della Sommaria Mattiangelo comprò da Domenico Vitale di Casanova una cesina di 10 passi nella montagna detta Cognolillo, confinante con altri territori cesinali di Mattiangelo Forgione per una somma di 5 ducati (28).
Nel marzo del 1787 fu stipulato il contratto dei “capitoli matrimoniali” tra il fratello Pietro Saverio e Maria Giuseppa Fusco di Casanova, figlia del fu Andrea Fusco, un altro importante benestante della provincia, e di Marianna Poerio, appartenente ad una famiglia della “nobiltà provinciale calabrese”, con una dote di 10000 ducati. Mattiangelo affermò di aver amato Pietro Saverio e “trattato con amor filiale”; egli gli donò 1000 ducati annui per sostenere i pesi del matrimonio, finché non avesse ottenuto l’eredità del fu Giuseppe de Simone di Caiazzo (29). Inoltre, donò 144 ducati annui a Maria Giuseppa Fusco per “lazzi e spille” fino all’ottenimento della predetta eredità. Infine si stabiliva che l’abitazione dei futuri sposi sarebbe stata quella del palazzo Forgione di Strada Vico (30).
Nell’agosto del 1786 l’archtetto don Carlo Vanvitelli, figlio del più famoso architetto Luigi, propose in giunta di affittare la casa “palaziata” dei fratelli Forgione di Sala al giardiniere del Giardino Inglese del Palazzo Reale Andrea Graefer, col consenso del presidente Mattiangelo, tesoriere della Reale Amministrazione e con il gradimento del Graefer, in quanto luogo idoneo e vicino al detto Giardino. Il palazzo consisteva in un appartamento superiore di 8 stanze con alcuni camerini e altre comodità, al quale si accedeva attraverso delle scale di fabbrica coperte; 4 bassi, una stalla grande, una rimessa ed altre comodità (31).
Il Forgione nel mese di settembre 1789 comprò dai fratelli reverendo don Angelo e Giacomo Antonio Razzano, eredi dello zio paterno reverendo don Domenico Razzano, un altro territorio seminatorio e parte montuoso di 5 moggia e 20 passi in Sarzano, nella località La Fontana del Fico al prezzo complessivo di 525 ducati (32).
Nel maggio del 1790 i coniugi Pietro Saverio e Maria Giuseppa Fusco si accordarono con Mattiangelo e Giuseppe Forgione per la corresponsione di 3000 ducati, a 120 ducati l’anno con l’interesse del 4%, derivanti dalle doti di Maria Giuseppa, stabilite in forza ai “capitoli matrimoniali” del 25 marzo 1787. Mattiangelo e Giuseppe ipotecarono il loro palazzo di Strada Vico, comprato nel 1778 e in seguito ristrutturato con molti lavori. A richiesta di Mattiangelo era stato fatto l’apprezzo da Domenico Brunelli, architetto delle Reali Opere di Caserta, e Carlo Patturelli, capo mastro delle Reali Fabbriche: il palazzo fu valutato per la somma di 15000 ducati (33).
Il presidente Forgione entrò sempre più spesso in società con altri benestanti affittando dei terreni e poi subaffittandoli ad altri. Nel 1790 Giuseppe Paradiso e il capitano don Francesco Domenici, regio economo, presero in affitto una masseria con territori in Formicola, nelle località Grieci e Iovinella [dovrebbe trattarsi di territori di Pontelatone] dal marchese di Pontelatone e duca di Tolve [Carafa Colobrano] per dieci anni per un “estaglio” di 578,95 annui; successivamente il Paradiso concesse un mutuo di 3000 ducati al marchese di Pontelatone per anni 10, con l’interesse del 6% e l’ipoteca sui predetti territori; il Domenici sborsò 1500 ducati al Paradiso per avere la metà di tale credito. Mattiangelo pagò 750 ducati al Domenici per avere la quarta parte del mutuo di 3000 ducati (34).
Nel novembre 1790 il Forgione sciolse un’altra società, costituita nel novembre del 1782, con l’avvocato don Gennaro Sarnelli di Napoli, il solito Francesco Domenici e don Francesco Laudando. Essi avevano affittato i terreni del feudo di Marane dal fu barone Annibale Vulcano nel periodo dal settembre 1784 al settembre 1789 (35).
Nel 1796 Mattiangelo comprò un’altra casa di abitazione in Sala dai fratelli Nicola, Pietro e Lorenzo Cicala, coeredi con Angelo e Simone Cicala, fratelli e figli della quondam Vittoria Passaro di Sala, per una somma totale di 170 ducati. L’apprezzo della casa fu effettuato dai mastri muratori Antonio Casapulla e Domenico Fiorentino di Sala. L’abitazione era formata da 2 case, cucinella, cortile murato, aia, cisterna, lavabo e forno (36).
Negli anni 1798 e 1799 il presidente Mattiangelo Forgione, dopo aver contratto molti mutui con diversi benestanti e commercianti di Caserta, Napoli e altri luoghi, comprò molti territori dalla Regia Corte prima appartenenti a Benefici ecclesiastici: alla Badia dei Ss. Stefano e Leucio (6 moggia in Casanova, 10,13 moggia in Macerata, 11 moggia in Portico, 15,20 moggia in San Prisco, 5 moggia in Catorano, 6 moggia in Sarzano), che già aveva avuto in affitto; alla Rettoria di S. Giovanni Apostolo nel casale di Airola di Marcianise (32,06 moggia in Marcianise) (37).
Fra i mutui contratti dal Forgione negli anni precedenti presso notai di Caserta, Napoli e altri luoghi vi erano: 1000 ducati al capitano don Francesco Domenici presso il notaio Antonio Spezzacatena di Napoli il 18 gennaio 1793, con l’interesse del 5%; 1400 ducati dall’avvocato don Gennaro Sarnelli di Napoli, presso il notaio Nicola Rauchi di Napoli nel 1793, con l’interesse del 6%; 772 ducati da Giovan Paolo Esperti di Briano di Caserta presso il notaio Carlo Giaquinto, con l’interesse del 5%; 4600 ducati da Donato Fiorillo di Caserta, presso il notaio Antonio Castellani di Napoli il 1° gennaio 1794, con l’interesse del 4,5%; altri 450 ducati al medesimo Donato Fiorillo il 16 febbraio dello stesso anno; 1400 ducati a don Francesco Quintavalle di Mataloni [Maddaloni], con l’interesse del 4%; 5180 ducati al reverendo parroco don Michele e Gaetano Bernasconi, fratelli di Caserta, presso il notaio Salvatore Pezzella di Caserta il 14 maggio 1798, con l’interesse del 6% e altri 870 ducati, sempre con gli interessi al 6% presso il medesimo notaio; 6000 ducati al magnifico Davide Perillo di Santa Maria la Fossa, presso il notaio Salvatore Pezzella, con l’interesse del 5%; 9000 ducati al mercante di Napoli don Gennaro Valletta, presso il notaio Gaetano Grimaldi di Napoli nel 1798; 200 ducati a donna Laura de Simone di Caiazzo, presso il notaio Fabio Marocco di Caiazzo l’11 aprile 1798 (38).

3. Gli ultimi anni di Mattiangelo: il matrimonio e la sua eredità
Nel febbraio del 1802 il presidente Forgione contrasse un mutuo con Giuseppe Paradiso per una somma di 500 ducati da restituire in 3 anni con l’interesse di 30 ducati. Mattiangelo per tale mutuo obbligò il suo palazzo di Strada Vico (39).
Con una scrittura privata davanti al notaio Domenico Antonio Giaquinto, il 26 febbraio del 1802 il Forgione aveva promesso 1500 ducati ad Eugenia Baratta, figlia del suo “cocchiero” Aniello, per il suo matrimonio, oltre “l’equipaggio corredale”.
Mattiangelo ed Eugenia si sposarono nel marzo del 1802 (a tale data il Forgione aveva 64 anni). Tale matrimonio fece nascere diversi contrasti fra i coniugi e i fratelli Giuseppe e Pietro Saverio; poco dopo Mattiangelo si ammalò e nel giugno del 1802 stipulò due testamenti nei quali nominò suoi eredi i fratelli Giuseppe e Pietro Saverio, lasciando 20000 ducati in eredità a Luisa, figlia di Pietro Saverio, se si fosse sposata con figli, che avrebbero dovuto assumere il cognome Forgione, per “far conservare il casato Forgione”. Ma la predetta somma doveva entrare in possesso di Maria Luisa dopo la morte del padre Pietro Saverio.
Mattiangelo morì fra il 29 giugno e il 7 di luglio 1802 nel suo palazzo di Strada Vico. Tra le varie disposizioni testamentarie Mattiangelo lasciò 150 ducati ai poveri di Caserta e Sala (100 per Caserta e 50 per Sala), consegnate da Pietro Saverio al parroco di Caserta Bartolomeo Varrone il 10 luglio del 1803, come disposto da Mattiangelo nel suo testamento.
Nel primo testamento nominò suoi eredi universali e particolari i fratelli Giuseppe e Pietro Saverio in egual misura. Ma nel caso che Giuseppe non si sposasse e non avesse figli doveva divenire usufruttuario della metà dei suoi beni, che alla sua morte dovevano confluire nel patrimonio di Pietro Saverio. Siccome quest’ultimo non aveva figli maschi alla sua morte l’intera rendita doveva essere ereditata dalla figlia Luisa nel caso che si sposasse e facesse “decente matrimonio” [cioè con figli] alla condizione di far assumere ai figli nascituri il cognome Forgione; alle altre figlie di Pietro Saverio sarebbe spettata la somma di 3000 ducati. Nel caso che Luisa non si sposasse o non avesse figli, avrebbe dovuto sostituirla Rosa e ad essa poteva subentrare con le stesse condizioni Laura.
Mattiangelo lasciò vari legati: alla “dilettissima” cognata Maria Giuseppa Fusco, moglie di Pietro Saverio, 10 ducati al mese, 6 per suo uso e 4 per far celebrare una messa alla settimana e se rimaneva qualcosa doveva erogarlo in elemosine ai poveri; 150 ducati ai poveri di Caserta (100 ducati) e Sala (50 ducati), da dispensare alle persone veramente bisognose su designazione dei rispettivi parroci ad un anno dalla sua morte; 300 ducati per la celebrazione di messe per l’anima del testatore e quella del canonico Matteo Forgione, fratello del padre Antonio; vari legati di messe nella Cappella delle Anime del Purgatorio di S. Nicola la Strada, secondo il libro conservato dal testatore; 25 ducati alla Cappella eremitale della Beatissima Vergine di Alvignanello in Raiano per la formazione di una pianeta, come già promesso ai governatori della medesima Cappella; 7 ducati al mese ad Aniello Baratta, suo “cocchiero” e padre della moglie Eugenia; 30 carlini al mese a Sebastiano di Lucca, suo cameriere e 20 carlini mensili ciascuno a tutti gli altri uomini addetti al servizio del casa e dei beni del presidente Forgione; 20 ducati mensili alla moglie Eugenia, più le spese di un monastero, nel caso acconsentisse ad entrarvi; nel caso che la moglie volesse risposarsi col consenso e piacere degli eredi, lasciava 1500 ducati quale dote, a condizione di “passare in seconde nozze” dopo almeno due anni dalla sua morte, con 300 ducati per il corredo, se quello proprio fosse consumato. Nel caso che Eugenia contraesse un matrimonio “svantaggioso” o contro la volontà degli eredi, la medesima dovesse restituire brillanti e gioie regalatele in occasione del matrimonio. In ultima ipotesi Eugenia poteva rimanere nella casa degli eredi Forgione e convivere con essi sotto la loro tutela e patrocinio; ad Anna Baratta, sorella di Eugenia e altra figlia di Aniello, prometteva 100 ducati in occasione del suo matrimonio e 40 ducati per il suo corredo; infine raccomandava di mantenere la tradizione di far celebrare una messa tutti i giorni festivi, tutti i venerdì dell’anno e in tutto “l’ottavario de’ defunti” nella cappella gentilizia annessa alla casa “palaziata” di Sala.
Nel secondo testamento ribadì la sua intenzione di dichiarare suoi eredi universali e particolari i fratelli Giuseppe e Pietro Saverio, con le stesse condizioni del precedente atto, ma soltanto per la somma di 6000 ducati di eredità. Allo stesso tempo lasciava in eredità a Luisa, figlia di Pietro Saverio, se si fosse maritata col consenso paterno, la somma di 20000 ducati se si maritasse “decentemente”; l’eredità doveva poi transitare al figlio primogenito a condizione di assumere il cognome Forgione oltre a quello di nascita. Nel caso che Rosa e Laura Forgione si ritirassero come monache, concedeva loro un vitalizio di 80 ducati annui dall’eredità del padre Pietro Saverio.
Egli dichiarava di aver sposato nel mese di marzo 1802 “di pieno suo genio ed amore Eugenia Baratta, con la promessa di dotarla di 1500 ducati e subito dopo il matrimonio gli sopravvenne una indisposizione molto seria e che tuttavia persiste”; pertanto disponeva che dopo 5 anni dalla sua morte i suoi eredi dovevano corrispondere a quella tale somma con l’interesse del 5%; nel frattempo Eugenia doveva percepire 20 ducati al mese come interesse e spese.
Mattiangelo ribadì i legati fatti nel precedente atto e fissò la condizione che i suoi fratelli si riconciliassero con la sua amata moglie, sperando che incontrassero la loro soddisfazione e allontanassero per sempre i rancori e i litigi; altrimenti non accettando le predette condizioni, egli revocava le disposizioni fatte a favore dei fratelli.
L’8 luglio 1802 Giuseppe e Pietro Saverio Forgione consegnarono l’equipaggio corredale promesso dal fu Mattiangelo alla cognata Eugenia Baratta.
Il 20 luglio del medesimo anno con decreto di preambolo della Gran Corte della Vicaria di Napoli Giuseppe e Pietro Saverio Forgione furono dichiarati eredi universali e particolari del fratello Mattiangelo con la condizione di rispettare tutte le disposizioni testamentarie di Mattiangelo, comprese quelle relative alla cognata Eugenia Baratta.
Il 6 ottobre del 1802 in Caserta davanti alla chiesa di S. Sebastiano, a richiesta di Giuseppe e Pietro Saverio Forgione, fu fatto l’inventario dei beni del fu Mattiangelo Forgione alla presenza del notaio Domenico Antonio Giaquinto e del giudice a contratti Nicola Tartaglione.
Nell’eredita di Mattiangelo erano compresi: il palazzo con giardino nella Strada del Vico in Caserta, con sette botteghe sulla strada; altri 2 bassi con giardinetto di fronte al predetto palazzo; 2 moggia di territorio nel casale di San Nicola la Strada, nel luogo detto al Ponticello; 4,20 moggia di terreni nel casale di San Prisco; 4 moggia in Mataloni [Maddaloni] nella località alle cinque vie; le seguenti proprietà in Sala: un giardino murato di 6 moggia vicino al palazzo; 33 passi di territori nel casale di Sala o Briano nel luogo denominato Quarantola; 5 moggia di terreno nella località Terra grande; altre 6,25 moggia nel luogo chiamato Monticello; 2 moggia di terreni nella località Parmentiello; 1,20 moggia di territorio fruttiferato ad uso di “pastino” nel luogo denominato Il Pastiniello; 10 moggia di terreni, comprendenti un “pastino di cerase”, un palazzo con giardino e cappella gentilizia sotto a detto palazzo con vari bassi affittati per uso di fabbrica di ricami; un’altra casetta di fronte la loggia del palazzo grande; una vigna e diverse piante di olivo nella località detta Monticello di Cognolillo; 3 moggia di terreni nel luogo denominato le Lenze di Gradillo; una masseria di fabbrica con 68 moggia di terreni [situata fra San Leucio e la Vaccheria]; un edificio nella città di Caserta Vecchia di più membri inferiori e superiori e varie annualità per alcune somme prestate.
Altri beni erano venuti dall’eredità della madre Nicoletta Forgione: 13 moggia nella località Ad Agna nella Piana di Caiazzo; 15,15 moggia di territori in Biancano al di là del monticello, verso il fiume e vicino alla masseria del signor Fusco di Caiazzo; 6 moggia di terreni di palude in Limatola; una masseria di fabbrica con territori di 26 moggia in Cajazzo nelle località Donne Sante e Catenaccio; 10 moggia di vigna detta di Belvedere; una casa di 11 camere inferiori e superiori in Cajazzo, confinante coi beni del quondam Marzio Forgione e vari capitali e annualità da diverse persone.
Infine, oltre ai debiti e mutui contratti prima del 1798, Mattiangelo aveva chiesto altre somme di denaro e aveva i seguenti debiti: 440 ducati a Elpidio Antonio Natale di Casapulla con scrittura privata; 448 ducati al magnifico Francesco Criscuoli, negoziante di panni, con scrittura privata; altri 106,65 ducati al medesimo Criscuoli; 400 ducati al notaio Domenico Antonio Giaquinto per vari atti, fra cui il testamento di don Domenico Forgione, fratello di Mattiangelo, e quelli dello stesso Mattiangelo; 133,33 ducati agli eredi del Pascale di Santa Maria di Capua per il subaffitto dei terreni dei Parchi di San Leucio; 112 ducati all’avvocato Sarnelli per varie spese legali sostenute; 500 ducati al semestre per il subaffitto dei Parchi della Badia dei Ss. Stefano e Leucio dal cardinale Carafa di Traetto; 10000 ducati alla cognata Maria Giuseppa Fusco, moglie di Pietro Saverio, ricevuti in occasione dei “capitoli matrimoniali”, presso il notaio Salvatore Pezzella nel 1787.
Pertanto Pietro Saverio dovette darsi molto da fare per far fronte a tutte le scadenze e alle richieste di pagamento che arrivavano frequentemente e dovette egli stesso contrarre nuovi mutui. Infatti il 6 ottobre il fratello Giuseppe lo nominò suo procuratore per tutti i contratti e gli atti riguardanti l’eredità di Mattiangelo (40).


Note:
(1) La data di nascita di Mattiangelo Forgione è stata desunta da una fede del sacerdote don Nicola Pezzella, parroco della Chiesa di San Simeone in Sala del 27 aprile del 1766 nell’Archivio Storico Diocesi di Caserta (ASDC), Sacra Ordinazione del sudiacono don Domenico Forgione, a. 1759. Altri dati relativi ad Antonio Forgione e i suoi genitori sono stato desunti da ASDC, Stati delle Anime, aa. 1716 e 1722 e Archivio di Stato di Napoli (ASN), Regia Camera della Sommaria, Patrimonio, Catasti Onciari, Caserta, n. 448, ff. 434-435.
(2) Archivio di Stato di Caserta (AS Ce), Atti del notaio Vito Pezzella, a. 1737, ff. 173-177v. L’atto fu stipulato in Caiazzo alla presenza di Angelo Vecchiarelli, giudice a contratti, e di numerosi testimoni: il dottor Nicola de Simone di Caiazzo, marito di Candida Forgiane, Giuseppe Favieri, cognato di Antonio perché aveva sposato la sorella Agnese, Carlo Pezzella, Francesco Ianniello e Carmine Ruggiero di Caserta. Nicoletta ed Antonio si impegnarono a sposarsi entro un mese.
(3) Ivi. I capitali e le annualità erano i seguenti: 300 ducati di capitale dagli eredi del fu Gio. Pietro di Grazia, 25 ducati e annualità da Carlo Russo, 20 ducati di capitale da Gennaro Civitella, 15 ducati di capitale da Domenico Antonio Rosella e 115 ducati da Domenico Paolino.
(4) AS Ce, Atti del notaio Vito Pezzella, a. 1737, ff. 200-203.L’atto fu rogato in Napoli nel monastero della Pietra Santa alla presenza del notaio Giuseppe Bruniti di Napoli e dei seguenti testimoni: Luca di Grauso, Gennaro Favieri e Francesco Frasso di Caserta e il clerico Giovanni Civitella di Piedimonte. Si ricorda che l’anno precedente don Giuseppe Forgione il 24 giugno aveva fatto il suo testamento “nuncupativo” in Napoli, presso il notaio Giuseppe Bruniti. In tale occasione egli aveva designato la sorella Candida come erede di gran parte dei beni provenienti da Marzio Forgione e, dopo la morte di quest’ultima aveva nominato il figlio Giuseppe de Simone.
(5) Matteo Forgione era canonico coadiutore e possedeva il beneficio di S. Nicolò Tolentino di Caserta nella Cattedrale di Caserta [l’attuale Casertavecchia] in AA.VV., I Catasti Onciari, Caserta e casali, Prata 2003, p. 29.
(6) AS Na, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio, Catasti Onciari, Caserta, n. 448, ff. 434-435v. Sottolineiamo il fatto che i Forgione non dichiararono il “trappeto”, ma la sua esistenza fu “appurata” dai deputati alla formazione del Catasto.
(7) AS Na, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio, Catasti Onciari, Caiazzo, vol. n. 1554, a. 1742, f. 972. La famiglia Forgione in questi anni possedeva il Beneficio di S. Maria delle Grazie nella Cattedrale di Caiazzo. Antonio Forgione aveva acquisito le predette rendite in Caiazzo in seguito al matrimonio con Nicoletta Forgione.
(8) Archivio Storico Soprintendenza Reggia di Caserta (ASSRC), Dispacci e Relazioni, vol. 1545, f. 331.
(9) ASSRC, Conti e Cautele, voll. n. 2, f. 283; n. 19, ff. 1488, 1505, 1513, 1550, 1565 e 1581; n. 24, ff. 1485, 1485, 1601, 1606, 1771, 1777, 1779, 1781 e 1784; n. 40, ff. 1902, 1946, 1989, 1993, 2016, 2068, 2071 e 2088.
(10) AS Ce, Atti del notaio Vito Pezzella, a. 1758. Testamento nuncupativo di D. Antonio Forgione del 12 marzo 1758. Il Forgione lasciò diversi legati: 50 ducati alla Cappella del SS.mo Rosario di Sala; 12 messe l’anno e altri 10 ducati da celebrare dopo la sua morte per la sua anima. L’atto fu stipulato alla presenza di Domenico Maria Pezzella, regio giudice a contratti, e dei seguenti testimoni: don Nicola Pezzella (parroco di Sala), don Giuseppe Viglione, don Crescenzo e Francesco Esperti di Briano, Francesco Zaccaria e suo cognato Giuseppe Favieri di Caserta.
(11) AS Ce, Atti del notaio Vito Pezzella, a. 1756. L’atto era stato rogato il 2 ottobre 1756.
(12) AS Ce, Atti del notaio Vito Pezzella, a. 1758, ff. 135v-136v. L’atto fu stipulato il 6 aprile 1758.
(13) AS Ce, Atti del notaio Vito Pezzella, a. 1759. ff. 200-204. L’istrumento di rinuncia e di costituzione del patrimonio sacro di don Domenico Forgione fu redatto il 23 maggio 1759 alla presenza di Nicoletta Forgione e dei figli Mattiangelo e Domenico Forgione.
(14) AS Ce, Atti del notaio Vito Pezzella, a. 1759, ff. 211v-213.
(15) AS Ce, Atti del Notaio Domenico Antonio Giaquinto, a. 1775. Nel suo testamento lasciò 150 ducati per far celebrare messe per la sua anima. Ribadì che era stato disposto che il figlio Pietro Saverio doveva sposarsi e diventare l’erede del fu Giuseppe de Simone, figlio di Nicola de Simone e Candida Forgione, come ordinato anche nel testamento dell’altro figlio Domenico [scritto nel maggio del 1772 e aperto nel 1778]. Essa dispose di far concedere 50 ducati l’anno a suo fratello Gaetano, provenienti dal “patrimonio sacro” costituito sui terreni di Limatola, che in precedenza era stato “secolarizzato”. Infine lasciò 10 ducati alla serva Mariantonia Savastano e nominò suo esecutore testamentario il cognato canonico Matteo Forgione.
(16) AS Ce, Atti del notaio Domenico Antonio Giaquinto, a. 1778. Domenico designò quale erede di Giuseppe de Simone, come sancito nel testamento di quest’ultimo, il fratello Pietro Saverio Forgione, essendo egli asceso al sacerdozio, sempre che questi accettasse le condizioni poste in tale testamento dal de Simone inoltre, egli inserì una clausola di sottoporre i beni dell’eredità ad un perpetuo ed infinito fedecommesso, non riscontrabile nei testamenti dei fratelli. Nel caso che Pietro Saverio avesse soltanto figlie femmine, esse dovevano sposarsi con famiglie decorose, col consenso del padre, e i loro figli dovevano assumere il cognome Forgione de Simone. Domenico istituì un legato di 500 ducati di messe da far celebrare per la sua anima e nominò esecutore del suo testamento il dottor Giulio Amato Giaquinto “della Torre di Caserta”. Per la questione dell’eredità di Giuseppe de Simone di chiazzo cfr. L. RUSSO, Proprietari e famiglie di Caiazzo, Studi sul Catasto Provvisorio, Napoli 2005.
(17) ASSRC, Dispacci e Relazioni, vol. 1549, f. 1453.
(18) ASSRC, Amministrazione Caserta e S. Leucio, vol. 2484, p. 114, 05.05.1764; op. cit. in D. A. IANNIELLO, L’Archivio della Reggia di Caserta, in “Narrazioni”, n. 1, Caserta 2003, pp. 55. L’autore scrive Mariangelo Forgione, benestante di Caserta, ma si riferisce senza alcun dubbio a Mattiangelo Forgione.
(19) AS Ce, Atti del notaio Domenico Antonio Giaquinto, n. 348/14, a. 1767, ff. 66-69. Il documento fu redatto nel palazzo Forgione della Villa di Sala il 14 aprile 1767 alla presenza del giudice a contratti Giuseppe Giaquinto e dei seguenti testimoni: Cesare di Guida, Donato Fiorillo e Domenico Antonio Battista di Caserta.
(20) AS Ce, Atti del notaio Domenico Antonio Giaquinto, n. 348/14, a. 1767, ff. 185-189v. L’atto di compra vendita fu stipulato nella Villa di Sala il 21 novembre 1767 alla presenza degli stessi testimoni intervenuti il 14 aprile.
(21) AS Ce, Atti del notaio Domenico Antonio Giaquinto, n. 348/16, a. 1769, ff. 25v-26. La convenzione fu fatta il 1° marzo 1769 nel palazzo Forgione di Sala alla presenza del giudice a contratti Andrea Giaquinto di Caserta e dei seguenti testimoni: Cesare di Guida, Giuseppe Favieri, Francesco di Guida e Carlo Giaquinto di Caserta.
(22) ASDC, Istituti e Affari Diversi, B. 21, f.lo 358, Sala 1769-70. Acta erectionis nove Ecclesie sub titulo S. M.a Angelorum e SS. Petri et Pauli pro Mathia Angelo Forgione. Con tale approvazione si stabilì che la cappella veniva tassata per 2 carlini ed era consentita la celebrazione della santa messa con alcune limitazioni: non era ammesso un sacerdote al di fuori della Diocesi; la messa domenicale non poteva essere officiata prima della messa parrocchiale di Sala e quella vespertina non doveva celebrarsi senza l’intervento o l’assenso del parroco di Sala.
(23) AS Ce, Atti del notaio Domenico Antonio Giaquinto, n. 348/17, a. 1770, ff. 179v-180v. Con tale mutuo il Forgione concesse 25 ducati a Bartolomeo Ragozzino della villa di Briano, da ridare in 2 anni al 6%. ID., ff. 182-183, Mattiangelo prestò 38 ducati a Giovanni Fiorillo, da restituire in 2 anni al 6%.
(24) AS Ce, Atti del notaio Domenico Antonio Giaquinto, n. 348/21, a. 1774, ff. 186-190v.
(25) AS Ce, Atti del notaio Domenico Antonio Giaquinto, n. 348/22, a. 1775, ff. 74-80v. Il documento di mutuo fu stipulato il 13 marzo 1813 alla presenza del giudice a contratti Carlo Giaquinto e dei seguenti testimoni: Paolo de Stefano, l’economo regio don Francesco Domenici, don Domenico Zaccaria e Sebastiano Minutolo di Caserta.
(26) AS Ce, Atti del notaio Domenico Antonio Giaquinto, n. 348/22, a. 1775, ff. 74-80v. Il documento di mutuo fu stipulato il 13 marzo 1813 alla presenza del giudice a contratti Carlo Giaquinto e dei seguenti testimoni: Paolo de Stefano, l’economo regio don Francesco Domenici, don Domenico Zaccaria e Sebastiano Minutolo di Caserta.
(27) AS Ce, Atti del notaio Aniello Tripaldelli, a. 1778, ff. 40-46v. Il palazzo era confinante con altri beni di Agostino Borgognoni, quelli dei Sig.ri Canfora, degli Appierto, del principe Pignatelli e strada pubblica [Strada Vico o Strada del Vico; in seguito via S. Giovanni]. Nell’atto notarile vi è la descrizione del palazzo e dell’altro edificio di case più piccolo, compreso il giardino murato. Della somma di 7800 ducati il Forgione ne pagò 1800 al momento della stipula del contratto e si impegnò a pagare i restanti 6000 ducati entro il mese di ottobre 1779.
(28) AS Ce, Atti del notaio Domenico Antonio Giaquinto, n. 348/31, a. 1784, ff. 29v-30. L’atto di vendita fu fatta nel palazzo Forgione di Strada Vico il 1° marzo del 1784 alla presenza del giudice a contratti Andrea Lagnese di Caserta e i seguenti testimoni: Francesco Landi, Nicola Tartaglione e Severino Rossano di S. Maria di Capua.
(29) Per la questione relativa all’eredità delle famiglie Forgione e de Simone di Caiazzo si veda L. RUSSO, Proprietari e famiglie di Caiazzo, Studi sul Catasto Provvisorio, Napoli 2005.
(30) AS Ce, Atti del notaio Salvatore Pezzella di Caserta, a. 1787, ff. 138-156v. Nel contratto, stipulato il 25 marzo del 1787, Marianna Poerio, nobile della città di Taverna in Calabria, madre e tutrice di Maria Giuseppa Fusco (insieme all’altro figlio Michele), promise a Pietro Saverio e ai fratelli Giuseppe e Mattiangelo, per il matrimonio della figlia, 10000 ducati come dote. Della somma promessa 3000 ducati furono consegnati il 19 aprile del 1787; i restanti 7000 ducati dovevano pagarsi entro due anni dal giorno del matrimonio. Particolarmente interessante è la lista dei beni corredali e dei gioielli consegnati il giorno del contratto a Pietro Saverio; in essa vi erano varie oggetti e gioie con rubini, smeraldi, diamanti, perle; un rosario di perle; inoltre, sono elencati diversi abiti di “nobiltà forestiera” e altri tipici napoletani; infine due comò con pietra di marmo brulé di Francia pieni di biancheria di lino e d’Olanda.
(31) ASSRC, Registri, vol. n. 2519, ff. 26-27. La proposta fu firmata il 7 agosto del 1786.
(32) AS Ce, Atti del notaio Domenico Antonio Giaquinto, n. 348/36, a. 1789, ff. 122-124. Il documento di compra vendita fu redatto il 7 settembre 1789 nel palazzo Forgione della Villa di Sala alla presenza del giudice a contratti Nicola Tartaglione.
(33) AS Ce, Atti del notaio Salvatore Pezzella, a. 1790. L’atto fu rogato in Caserta il 25 maggio 1790, mentre l’apprezzo fu firmato dal Brunelli e dal Patturelli il 24 maggio 1790.
(34) AS Ce, Atti del notaio Domenico Antonio Giaquinto, n. 348/37, a. 1790, ff. 93-99. La società con il Paradiso e il Domenici fu sciolta il 14 dicembre 1802 con atto del notaio Domenico Antonio Giaquinto; a rappresentare il fu Mattiangelo fu il fratello Pietro Saverio.
(35) AS Ce, Atti del notaio Domenico Antonio Giaquinto, n. 348/37, a. 1790, ff. 166 e segg. L’atto della costituzione della società era stato redatto il 10 novembre 1782. Marane dovrebbe essere l’attuale Comune in provincia di l’Aquila.
(36) AS Ce, Atti del notaio Domenico Antonio Giaquinto, n. 348/44, a. 1796, ff. 93v-94.
(37) AS Na, Regia Camera della Sommaria, Pandetta Seconda, Vendita Contro Argenti, B. 18, a. 1798.
(38) AS Ce, Atti del notaio Domenico Antonio Giaquinto, a. 1802., ff. 14-27. Il primo testamento di Mattiangelo fu stipulato il 19 giugno del 1802 e il secondo il 29 giugno del medesimo anno, entrambi nel suo palazzo di Strada Vico. Il testamento fu stipulato alla presenza del giudice a contratti Nicola Tartaglione di Caserta e dei seguenti testimoni: Geronimo Ferrari, Pietro Bologna, Giuseppe Rinaldo, Domenico Ricciardo, Giovanni Ianniello, Matteo Landolfo ed Arcangelo Lerro di Caserta. Mattiangelo nominò esecutore testamentario il parroco di Caserta Bartolomeo Varrone.
(39) AS Ce, Atti del notaio Domenico Antonio Giaquinto, a. 1802. L’atto fu rogato il 28 febbraio 1802. Luisa Forgione, figlia di Pietro Saverio e Maria Giuseppa Fusco, sposatasi nel 1820 con Matteo Adinolfi di S. Maria Maggiore, morì prematuramente senza figli lasciando solo il marito, dal quale si era già separata per tornare a vivere nel palazzo di famiglia di Strada Vico in L. RUSSO, Proprietari e famiglie di Caiazzo, Studi sul Catasto Provvisorio, Napoli 2005.
(40) AS Ce, Atti del notaio Domenico Antonio Giaquinto, a. 1802, ff. 14-27.

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