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I bambini della ginestra

Argomento: Letteratura

di Giuseppina Bosco
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Pubblicato il 09/05/2015 12:21:28

I bambini della Ginestra”di Maria Rosa Cutrufelli è un romanzo d’impegno civile che rievoca la strage di Portella della Ginestra, ancora coperta dal Segreto di Stato.”

 

 

“I bambini della Ginestra” pubblicato nel 2005 è la storia di due ragazzi, Enza e Lillo, le cui esistenze sono segnate dalla tragedia di Portella della Ginestra, avvenimento centrale che determinerà nuovi  equilibri nella storia del Dopoguerra. Il romanzo presenta due piani di lettura: uno legato alla ricostruzione delle vicende storico-politiche del 1947, l’altro riferito alle storie parallele dei protagonisti. L’intreccio però,  tra verità e finzione si distacca dal tradizionale romanzo storico ottocentesco, caratterizzato da ampie scenografie descrittive nella ricostruzione di un’epoca, ma fa emergere tutta la drammaticità  della strage di matrice politico-mafiosa nell’essenzialità ed asciuttezza della narrazione. Difatti, nella nota dell’autrice a margine come postfazione del romanzo, si dice ”Raccontare storie è in ogni modo un’arte delicata che richiede un alto grado di responsabilità. Soprattutto quando, dietro i personaggi d’invenzione (come i protagonisti di questa storia), si muove la Grande Storia, con le sue questioni irrisolte, le sue menzogne e i suoi vicoli ciechi. E Portella della Ginestra è “un fatto storico di primaria importanza, perchè il giorno dopo niente fu più come prima ”Così afferma lo studioso che fu anche testimone della strage, Francesco Renda…Portella della Ginestra fu “la sanzione scritta col sangue, di un nuovo equilibrio dinamico destinato a durare nel tempo”(pag. 267).

Su questa strage, come su tante altre degli anni Settanta (periodo della strategia della tensione, quando per scongiurare un’avanzata della sinistra si voleva imporre uno stato forte, autoritario con lo stragismo) c’è ancora il segreto di stato per cui sarà difficile arrivare alla verità dei fatti. Se si vuole tentare poi un altro confronto si può affermare che  se la Lombardia del Seicento è lo scenario della storia de I Promessi sposi, la Sicilia del dopoguerra lo è per i  Bambini della Ginestra, non solo per i luoghi, che fanno da sfondo alle vicende narrate: Palermo, Sciacca, Piana degli Albanesi, ma anche per gli odori ,i sapori e la parlata tipica siciliana: “…dai canaloni arrivava un sentore di piante selvatiche, di pietra calda e sterco asciutto. Ancora non era il soffio abbruciante dell’estate, ma qualcosa di più sottile. Quasi intimo…”,”Succede a Palermo. Esci dalla cattedrale, fai duecento metri e sei fra le baracche del cortile Cascino(…) Esci dal Teatro Massimo, di nuovo fai duecento metri, svolti e ti ritrovi fra bambini nudi e vecchi chiusi dentro cancelletti a sbarre”(…) (pag.168).  Gradivo pure la tua parlata siciliana, l’accento, il ritmo ,(…)l’uso costante del passato remoto e lo sprezzo assoluto per il passato prossimo

La vita di Lillo ed Enza cambia quel giorno del 10 maggio 1947,quando molte famiglie di vari paesi vicini, San Giuseppe Jato, Piana dei Greci (Piana degli Albanesi), San Cipirello, Partinico , Belmonte Mezzagno, scesi a Portella della Ginestra per festeggiare l’occupazione delle terre e la vittoria della coalizione tra socialisti e comunisti sulla DC, nelle elezioni dell’Assemblea regionale, furono massacrate dal bandito Salvatore Giuliano dall’alto delle montagne della Pizzuta e del Kumeta.

Su  queste montagne circostanti erano appostati i suoi  complici, con fucili, lupare e mitragliette, che in poco tempo uccisero uomini, donne, bambini e animali, colorando di rosso tutta la piana. Quel rosso non era più il colore delle bandiere sventolanti per la festa dei lavoratori, ma il colore del sangue delle vittime.

 Lillo perde il padre, invece Enza arrivata tardi all’appuntamento vede in faccia i “picciotti” di Giuliano. La storia viene narrata attraverso un carteggio tra i  due protagonisti. Si costituisce così un sapiente equilibrio narrativo con l’alternanza tra i due punti di vista delle voci narranti: i due ragazzi sopravvissuti alla strage a cui si aggiungono, in una crescente  polifonia, le voci dei personaggi minori. Nell’incipit del romanzo gli eventi tragici di Portella della Ginestra  sono visti dall’ottica di entrambi i protagonisti : “Lui non si fermò per nessuno. Cercava sua madre. La trovò più o  meno nello stesso posto in cui l’aveva lasciata, al centro del pianoro.(…) E si  precipitò verso di lei. Ma proprio mentre si chinava per abbracciarla, si rese conto che il suo cuore era stato troppo partigiano. Perché davanti a loro, sbattuto sui cuscini pungenti delle ginestre, c’era un corpo, e quel corpo era di suo padre”. Il  punto divista di Lillo è presente  anche nella prima  lettera inviata da Roma il 10 ottobre 1972 ad Enza,  a distanza di circa trent’anni da quegli eventi  (sezione del libro che s’intitola “Andare ,-Tornare”, che  è anche il titolo dell’ultimo capitolo   nella circolarità narrativa del romanzo) in cui il giovane, a causa delle continue partenze e ritorni in Sicilia, cita i versi della poesia di Quasimodo “Lamento per il Sud”: “Il sud è stanco di trascinare morti… Anch’io ero stanco di trascinare i miei morti e quella sera, in una pensioncina di via Cavour, ripensai proprio alla poesia di Quasimodo e al momento in cui l’aveva scritta, poco prima della Ginestra come in una preveggenza. Pensai ai sentieri della Sicilia, alle sue piste nuovamente rosse, ancora rosse, ancora rosse… e con il viso contro il cuscino mormorai a fior di labbra: più nessuno mi porterà nel sud! Più nessuno: con le parole del poeta, mi stavo facendo una promessa”(pag.8).

La visione della protagonista femminile  emerge, invece,attraverso un lungo monologo, non solo nel racconto di quei tragici fatti, ma anche nel ricordo del primo incontro di Enza bambina con Lillo. Il giovane era amico di Giacomo, fratello  di lei,perciò frequentava quella casa ; Enza fin da allora cercava a tutti i costi di attirare la loro attenzione… “Vi ronzavo attorno come una piccola vespa arrabbiata”(pag.13). La ragazza, di origine piccolo-borghese, crebbe  accudita dalla governante Luchina, di cui si era innamorato Gjergj, un ragazzo greco, che si era stabilito a Piana degli Albanesi. ’’Forse è colpa del greco e delle sue misteriose manovre, se quell’anno ci spuntò la voglia di andare alla Ginestra  (…) E fu proprio con questo sentimento di fiducia che il primo maggio del quarantasette mi avviai verso lo stradale che passa sotto la pizzuta che conduce a portella della Ginestra (…) un terrore incontenibile mi soffocò e lottai per liberarmi (…) mentre una voce ordinava: ”non spostare i morti!” (…) e se il nostro maresciallo si comportava in quel modo, correndo per ogni pizzo e insistendo a dire: ”Lasciate i morti dove sono!”,(…) un qualche significato doveva pur esserci nelle sue parole (…), guardavo e davanti a me  si stendeva quella strada troppo nera (…) su cui si riversavano animali e cristiani, giumente sciolte senza padroni e bambini scalzi che singhiozzavano con la bocca aperta e le guance impastate di moccio”(pag.30)

Il trauma subìto innescherà un meccanismo evolutivo nella coscienza di Enza che da quel giorno  perderà la sua innocenza: “C’è un’immagine che non sopporto, mi dà dolore per quanto è ancora viva dentro di me…Ed è l’immagine della bambina che ero, tesa nello sforzo disperato di capire e di farsi capire.”(pag.143) .

 Dopo alcuni anni lei e la sua famiglia si trasferiranno a Palermo e lei andrà a lavorre nella farmacia di suo padre, e con il tempo apprenderanno la verità nascosta dietro a quei fatti anche attraverso i giornali: in realtà “non erano i contadini, era Li Causi in persona l’obiettivo dei mafiosi: nel’44 lo avevano azzoppato e alla Ginestra lo aspettavano per finire l’opera, perché credevano che fosse lui l’oratore ufficiale, mentre era quel giovane della Federterra che era arrivato in ritardo a causa delle ruote bucate della motocicletta.”(pag. 62)

Parallelamente si intreccia la storia di Lillo, il quale prenderà coscienza delle verità taciute,che offenderanno ancora di più la memoria delle  vittime con il processo di Viterbo. Questa è la parte più appassionata e rigorosamente documentata dall’autrice, in cui è meglio delineata la psicologia non solo del protagonista, ma anche di altri personaggi minori: i  familiari delle vittime. Essi sono quegli “umiliati ed offesi”, che tra innumerevoli disagi per i pochi mezzi  economici, lontani dalla loro terra, senza un alloggio , assisteranno ad un “processo farsa”, in cui prevarrà la ragion di stato e non si condanneranno né i mandanti  né gli esecutori materiali .

A narrare l’evoluzione e la maturazione di Lillo sarà sempre la protagonista femminile, attraverso i vari monologhi presenti nelle successive sequenze del romanzo : il ragazzo si era trasferito a Roma  dopo qualche anno da quei tragici fatti,  in seguito conseguirà la laurea  in Giurisprudenza   presso l’università La Sapienza .  Puntualmente tornava in Sicilia il primo maggio per la commemorazione  della strage di  Portella della Ginestra.

La tragedia unisce sentimentalmente i due giovani, ma le loro vite resteranno a lungo separate. In un altro passo del romanzo Enza ricorda attraverso un flashback un ritorno a Palermo di Lillo per il ventennale della strage e fu in quel momento che capisce  quanto si fosse  sentita da sempre legata a lui  “ Perché facevamo parte della stessa storia, perché avevamo nel cuore la stessa tirannia, come dice la tua canzone. Perché eravamo e saremmo stati per sempre i bambini della ginestra”(pag.201). Solo alla fine della narrazione, però,  il giovane, trovandosi  nuovamente a Palermo  e precisamente nella spiaggia di Mondello, manifesterà più liberamente i suoi sentimenti per lei: ”Il lido era deserto. C’eri solo tu ,accovacciata accanto ai raggi di un falò. Tracciavi segni sulla sabbia con un bastoncino annerito dalle fiamme(…) Il sole uscì per un attimo dalle nuvole (…). Ti guardai nella luce di quel tramonto senza colori, rischiarato dai raggi bassi e stanchi, stanchissimi, proprio come me, e mi chiesi per quale motivo non avessi mai visto quello che vedevo ora: la curva della nuca, la sottile dolcezza del collo…Magari ero troppo impegnato a scappare(…)E in un attimo accadde: il perenne senso di attesa in cui ero vissuto per oltre vent’anni(…) quella rabbia che mi dava l’essere orfano-orfano per volontà di qualcuno, non per disgrazia, quel livore si dissolse. Sparì. Forse sarebbe tornato, forse no, ma in quel momento allentò la stretta (…). Ti raggiunsi. Mi accucciai sulla rena cercando la tua mano e mentre ascoltavo la musica sottile ed intima dei tuoi orecchini, pensai che l’amore è un lavoro faticoso. Lungo e faticoso” (pag.259).

L’autrice alla fine immagina  una realizzazione di Lillo come storico il quale , una volta elaborato il lutto,  accetta il proprio destino e il dolore . Solo a questo punto è pronto a ricostruire la propria vita , e ad abbandonarsi all’amore. Difatti, nella lettera scritta ad Enza da Roma,il 25 ottobre 1972, annuncia  di voler ritornare definitivamente a Palermo e  le dà  appuntamento a Portella della Ginestra , nel luogo dove tutto aveva avuto inizio, sul sasso Barbato. Simbolo dell’impegno politico e sociale del medico socialista Nicola Barbato ,amico dei contadini ai quali ,un secolo fa ,parlava di libertà, di democrazia di pane e lavoro, ma anche di poesia  e su cui sono state  incise queste parole: “qui sulla pietra di Barbato…mentre il popolo celebrava la festa del lavoro e la vittoria del 20 aprile, qui si abbatté il piombo della mafia e degli agrari…” (pag.266).

In questo epilogo si può scorgere la volontà dell’autrice di legare la memoria di quei luoghi non solo ad eventi tragici,ma ad esempi di rinascita , di speranza e di riscatto.

Proporre la lettura di questo romanzo  ha un grande valore educativo, al fine  di indurre le  nuove generazioni  alla riflessione su un periodo della storia d’ Italia e della prima repubblica tutt’ora pieno di lati oscuri, su cui bisogna ancora  far luce.

Firmato  Giuseppina Bosco

 


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