:: Pagina iniziale | Autenticati | Registrati | Tutti gli autori | Biografie | Ricerca | Altri siti ::  :: Chi siamo | Contatti ::
:: Poesia | Aforismi | Prosa/Narrativa | Pensieri | Articoli | Saggi | Eventi | Autori proposti | 4 mani  ::
:: Poesia della settimana | Recensioni | Interviste | Libri liberi [eBook] | I libri vagabondi [book crossing] ::  :: Commenti dei lettori ::
 

Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

Sei nella sezione Recensioni
gli ultimi 15 titoli pubblicati in questa sezione
Pagina aperta 1700 volte, esclusa la tua visita
Ultima visita il Tue Apr 23 09:47:00 UTC+0200 2024
Moderatore »
se ti autentichi puoi inserire un segnalibro in questa pagina

L’amore addosso

Poesia

Grazia Fresu
Bastogi

Recensione di Franca Alaimo
[ biografia | pagina personale | scrivi all'autore ]


[ Raccogli tutte le recensioni scritte dall'autore in una sola pagina ]

« indietro | stampa | invia ad un amico »
# 0 commenti: Leggi | Commenta » | commenta con il testo a fronte »




Pubblicato il 07/04/2017 12:00:00

 

Rimbaud, il poeta fanciullo, l’angelo ribelle della poesia francese, affermava che il giorno in cui le donne avrebbero cantato in poesia l’eros con la stessa libertà degli uomini, senza alcuna censura, allora avrebbero davvero raggiunto la parità con l’altro sesso, se è vero che è l’uso del linguaggio a misurare il potere.

Nella poesia italiana hanno fatto da apripista, nel secolo scorso, operando una rottura all’interno della lingua “muta” delle donne nell’ambito della sessualità, la compianta Maria Grazia Lenisa, di origine friulana, ma ternana d’adozione, che non per nulla si auto-definì “la ragazza di Arthur”; e Patrizia Valduga con Medicamenta. E, tuttavia, la prima ha dato vita ad una poesia segnata da un erotismo di natura simbolico-intellettuale; la seconda ha azzardato lo scandalo della nominazione fino al limite dell’impoeticità e della gratuità. Molto più aperto e libero appare l’eros della Fresu che, con molta sincerità, dice: io canto il mio piacere di donna (pag. 31).

Non so se Grazia Fresu abbia un qualche debito debito nei confronti delle poetesse italiane citate. A me sembra piuttosto che, volendo cercare le fonti ispirative di questa poesia, bisognerà rintracciarle nella tradizione lirica in lingua spagnola, rappresentata da Lorca, Neruda, Alberti, per nominare i più noti, che rappresentano ormai i poeti classici della poesia erotica. Ma esiste anche una notevole consonanza fra la Fresu e una poeta contemporanea (ancora poco conosciuta in Italia), anche lei di lingua spagnola, che è Juana Rosa Pita, di origini cubane. Eppure le due poetesse affermano di non conoscersi e, dunque, con ogni probabilità tale risonanza va attribuita ad un medesimo retroterra culturale, e, appunto, a quella libertà nell’uso del linguaggio erotico finalmente concessa anche alla donna-poeta e che non fa più scandalo (ma non in tutte le nazioni, cosa che non bisogna dimenticare).

Per la Fresu, tuttavia, prendere a maestri i poeti di lingua spagnola è stata una strada obbligata, in quanto l’autrice, pur essendo nata a La Maddalena, in Sardegna, vive da moltissimi anni in Argentina, e, per essere precisi, a partire da 2008, a Mendoza, dove insegna lingua, cultura e letteratura italiana presso l’Università.

Dalla poesia erotica in lingua ispana, ed in particolare dagli autori poco fa nominati derivano a Grazia la vitalità del sentimento, la sovrabbondanza metaforica del linguaggio, la forza delle percezioni sensoriali, il vivido cromatismo.

Ma di questi aspetti si parlerà tra breve, portando a testimonianza i suoi versi. Quello che mi preme sottolineare, adesso, è la presenza quasi ossessiva del mare nei testi di questa silloge. Esso potrebbe essere indicato, prendendo a prestito una celebre definizione di Cristina Campo, come l’ eletta figura del mondo poetico della Fresu.

Infatti, non solo non c’è un solo testo poetico in cui il mare non sia presente (sia che faccia da sfondo reale alla voce della poeta, sia che alimenti un’ invenzione retorica), ma tutto il linguaggio della silloge ne è condizionato, intriso, illuminato.

Ho perfino provato, man mano che avanzavo nella lettura dei testi, a costruire un campo semantico con tutte le parole relative al mare, finché ho dovuto constatare che esso si andava allargando tanto a dismisura da combaciare quasi con l’interezza del vocabolario usato dalla Fresu in questa silloge.

Basterebbe leggere un testo quale I mari che navigammo ( pag.26) per rendersi conto che non c’è verso che non evochi il mare: distese azzurre, creste di spuma, coste, porti, rive, nave, polena, pennoni, venti, bussole, sartie, marinai, sirene, pirati, capitano e così via: un inventario interminabile, probabilmente legato alla lettura di libri d’avventura e diari di viaggio, e, soprattutto alla biografia dell’autrice ed agli ambienti geografici in cui è vissuta e che hanno fatto la loro irruzione nel territorio immaginario e nel vocabolario personale, mai come in questo caso tanto consoni alla volontà di celebrare l’uomo amato, a cui la silloge è dedicata con queste parole: Al mio Capitano.

Dagli stessi versi della Fresu apprendiamo la storia: Nella mia vita segreta sei tornato/ bruciando lontananze…mentre mi invade il tempo che hai trascinato fino a me/ nella tua rete di ricordi; e ancora, in un altro testo: ma nella mia memoria/ ci amiamo appena adolescenti/ sui bordi caldi del mare. Dunque, il libro della Fresu canta un amore sbocciato nel periodo dell’adolescenza, silente per così tanti anni da sembrare perduto, e però di nuovo riaccesosi nell’età matura, tanto inaspettatamente quanto prodigiosamente, così che l’autrice può dire: separarci fu il dramma della vita e trovarci oggi/ l’ultima sfida al destino.

E, da quando di nuovo l’amore è esploso come una fiamma inconsumabile fra i due amanti, la distanza dello spazio non è solo solitudine e attesa talvolta angosciante, ma anche collana preziosa di memorie con cui adornare l’assenza, e, ancora, desiderio, spazio di fantasticherie, ma soprattutto premessa alla gioia dei rinnovati incontri.

L’incontenibilità del trasporto amoroso trova espressione attraverso un linguaggio ardito, che non ha pudore di nominare i luoghi intimi del corpo, di raccontare le notti di passione, di svelare pensieri, desideri, emozioni. “Quell’amore addosso”, così come è definito nel titolo della silloge, vuole sottolineare la forza della passione: l’amore addosso che scardina/ il freddo e l’abbandono…una parola sola suggellata tra le labbra riarse, e il miracolo dell’unione carnale: …l’amore addosso sei tu,/ non altro da me, la stessa pelle lo stesso nome/ la stessa vita che unisce e commuove, come si legge nella poesia che dà titolo alla silloge.

L’impeto dei sentimenti mette le ali all’immaginazione poetica, affidandosi, innanzitutto alle metafore, la cui sovrabbondanza corrisponde all’eccitazione dei sensi vivificati, le cui percezioni delle cose reali si fanno vivide di colori, profumi, sapori, sebbene il dominio appartenga alla vista e al tatto, com’è naturale che sia. Ecco qualche bellissimo esempio: Ho raccolto il tuo amore/ anemone spuntato tra gli scogli (pag.15); la tua lingua petalo di viola mi profuma; la tua lingua è… una canoa ansimante (pag.30); i nostri corpi sono tutti gli Adami/ e le Eve che si scoprono/ nudi e amanti fuori dell’Eden (pag.31); le tue rose sono i nostri respiri (pag. 65); nel tuo petto zattera che porta lontano (pag.18); e mi fermo perché, in sostanza, è il linguaggio stesso di questa silloge a somigliare ad un’interrotta metafora.

La Fresu, ben consapevole del valore letterario della sua scrittura e delle sue caratteristiche tecniche, fa della metafora perfino l’oggetto di un testo (“Metafore”, pag. 25) in cui ripete: “Cerco metafore per raccontarti”, per concludere che “nessuna metafora, mio amato,/ ha la tua bellezza d’amante”, quasi a ricordarci che la realtà di un sentimento supera la finzione della letteratura.

Abbondano anche le similitudini che hanno il compito di guidare l’eccesso del sentire verso l’accostamento di realtà parallele fino al raggiungimento di un’unità cosmica fra gli amanti ed il tutto: una sorta di giustificazione, di benedizione che rende sacro il congiungimento amoroso, svelando gli arcani legami fra le cose del cielo e della terra: ti darò i miei versi/ come uccelli notturni/ per proiettare il volo su nei cieli (pag. 16); ci possediamo come Salomone/ e la Regina di Saba, / regali e potenti come il desiderio/ come l’eternità, come l’amore (pag. 18).

Non mancano i testi del dolore: quelli in cui l’attesa si fa straziante, e la paura di un nuovo allontanamento, se non addirittura, di possibili tradimenti sconvolge l’autrice, che non riesce a colmare il senso di vuoto che l’opprime. La cosa significativa è che, in questo caso, la parola sembra scarnificarsi, rapprendersi in brevi coaguli di sensazioni ed emozioni, quasi che il dolore la spogli d’ogni volontà; quando, invece, quanto più è animata dalla gioia, tanto più si espande e dilata ed esplode.

Mi sembra che proprio questa docilità, questa duttilità della versificazione possa essere considerata la più appropriata testimonianza di un poetare di natura emotivo-sentimentale, ma perfettamente dominato da una tecnica sicura e complessa.

Infatti, un’ultima cosa da dire, ma non per questo meno importante (piuttosto è il contrario) è quella della presenza della meta-poesia nella versificazione della Fresu: se è vero che tutta la silloge è dedicata ad una persona in carne ed ossa, è anche vero che, mentre scrive, l’autrice tira in ballo la poesia stessa (o il libro), facendone la figura per eccellenza all’interno delle figure retoriche di cui si adorna: son l’epopea, la speranza il libro/ che la mia mano ha scritto in stanze segrete/ con penne di pavone, di acquemarine, / la visione del nostro incontro in una coppa di rime (pag. 27); amarti somiglia alla mia mano/ che ti scompiglia il cuore/ e scrive versi per consegnarti/ a un tempo di bellezza (pag. 22); e i traguardi sono solo ricami del dire (pag.56); noi che abbiamo il mare dentro/ eternamente viaggiamo/ al bordo della parola e del silenzio (pag. 60).

A questo punto, dando una seconda occhiata alla copertina del libro, ci si rende conto del fatto che essa riassume tutti gli elementi dei vari testi qui raccolti: il mare (la distanza, il viaggio, il canto), la rosa (l’amore, il sesso), il berretto da capitano (il mestiere dell’uomo amato); i gabbiani (angeli di libertà e nostalgia) e un libro (questo libro) che sta volando verso l’amato, oltre la finestra.

Sentimenti, immagini, sogni, oggetti, luoghi, sono tutti immersi in un ritmo che inizialmente potrebbe non essere avvertito, perché l’autrice si affida raramente alle rime, ma piuttosto a consonanze, assonanze e figure di suono come allitterazioni e reiterazioni.

Talvolta, invece, il ritmo nasce dal potere evocativo determinato dall’originale accostamento delle parole, che dilata lo spazio-tempo della lettura, così come della vicenda raccontata.

Questo della Fresu, che oggi ho avuto il piacere di presentare, è insomma, uno dei più convincenti ed affascinanti libri d’amore che mi sia capitato di leggere recentemente: appassionato e delicato, lavoratissimo dal punto di vista stilistico e però immediato e sincero nell’emozione, trasbordante negli effetti retorici e insieme sorvegliato nella resa comunicativa; è soprattutto il canto dell’amore senza pregiudizi e steccati etici: carne e spirito, cuore e sesso, fusi nel miracolo che è ogni essere umano, quando tutto si consegna, come direbbe Dante, all’ ‘Amor che move il sole e le altre stelle’.

 


« indietro | stampa | invia ad un amico »
# 0 commenti: Leggi | Commenta » | commenta con il testo a fronte »