Annalisa Scialpi
- 21/06/2023 09:46:00
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Carissimo, scusa se mi permetto ma, quando ho letto questa
poesia sono letteralmente sprofondata in stagno di cenere/
una città risorge. Dopo questi versi, ho sentito che la poesia
era magnificamente chiusa, perchè potente la profezia, per
proseguire. Potente in relazione con le immagini precedenti,
altrettanto forti. Grazie per questi versi.
Annalisa
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Darlene
- 01/11/2021 10:55:00
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L’attraversamento dell’esistenza nelle sue proiezioni più intime e indefinite, il ricorso a una scrittura dalla regia pulita, ben condotta, con una scelta del verso breve che meglio restituisce l’assenza di lirismo dell’opera. Un percorso che scorre onirico e visionario fino a una chiusa spiazzante, che capovolge le premesse stesse del testo. I primi distici sono descrittivi del senso ampio di tutta la poesia. La città che risorge potrebbe relazionarsi a luoghi ed esperienze di un tempo ormai remoto. C’è poi la parola, mezzo di fuga ma anche «verbo» e «lingua necessaria» di chi non crede ad un senso compiuto delle cose. Subentra, quindi, un sentimento profondo di «arte condivisa», passaggio di consegna generazionale e sincera ammissione di «un attaccamento taciuto al primo rivelarsi». Nelle «placide maree» si ravvisano invece riferimenti a forme di semplicità legate alla purezza del non sapere, non conoscere, in quel gioco di influenze che ci rende simili alla natura che ciclicamente muore, rinasce e si rigenera. Ma la contaminazione è anche inconscio millenario, origine che nega razionalmente una creazione, uomo attanagliato da anima e materia. Ci viene chiesto «di guarire in fretta», in una successione incalzante di immagini dove la figura retorica di un individuo religioso, certamente colto ma con «stivali da guerra», ci trascina nel precipizio finale. Non si crede più, ci si ribella, si avverte imminente la «fine di qualcosa». In un «tu», probabilmente idealizzato, la scenografia viene alterata da visoni torbide come «acqua ferrosa». Occorre allora tornare indietro, a quell’«alone dei lampioni», lì, dove i frammenti declinano e le parole si disperdono. Il principio era la fine, la libertà non esiste.
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