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La mia Gloria

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Poesia della fede, nella creazione di luce iscritta nella naturale declinazione della famiglia e dell'amore, è questo il dettato in cui gioiosamente si iscrive l'esordio di Mauro Di Fabrizio, quarantenne autore della provincia di Roma. Così il canto che è sempre un canto di vita in costruzione- e partecipazione- del mondo non può che avere nella figura della sposa che ha scelto di condividere con lui il cammino fulcro e centro della sua irradiazione. E c'è qualcosa di autenticamente candido in questi versi a sorreggere il bene del tempo infinito delle generazioni che non si disperde ma si rinnova nel passaggio dei suoi valori. Un candore che viene dalla forza di un' interrogazione che non si piega all' azione oscura del dolore,"nella paura di mangiare il buio", e che dunque sa rinascere nella gioia di un accompagnamento dato nell'umiltà della passione e del servizio. La letizia è infatti la consonanza in cui Di Fabrizio consegna la sua scrittura nella lode della donna da cui avuto pienezza, chiamati insieme a una fecondità che se ha la sua incarnazione nei figli ha pure nella sua quotidiana presenza voce di una naturale e chiamata espansione. Ecco allora i tanti richiami ai colori, ai fiori, alle stesse montagne d'Abruzzo delle origini, nella radice di una promessa che si va mantenendo (vedi i riferimenti al padre, ai cari dei diversi affetti) nella perseveranza faticosa del seme . Pure così ha tratti del genere cavalleresco questa tensione che ha nella casa, nella protezione della donna e dei figli il cuore dei suoi motivi. Ed è, ripetiamo, proprio questo sapersi parte di un orizzonte in cui si è chiamati il bene di un testo che però per lunghi tratti rischia di rivelarsi fragile. Infatti la tensione da sola non basta a sorreggere un dettato la cui sostanza spesso si svuota entro una parola irretita nella cadenza di immagini prive di forza perché retoriche e in un armamentario abusato e dunque oggi niente più che lezioso. Ma non sempre è così, per fortuna, e per questo il termine autentico ancora vale se Di Fabrizio riuscisse a coltivare movimenti e giri di senso che ha pure in sé e gli appartengono. Ci riferiamo a un risolversi secco della voce entro risonanze che bene sanno riportare nell'interrogazione di vita da cui muovono lo spazio di un compimento che viene dal riconoscimento dell'ombra ("quello che hai visto passare nel silenzio"), di una mancanza dalla cui frattura passa il riconoscimento dell'altro. A conferma di un lavoro dunque che ha bisogno di soffermarsi meglio sul proprio materiale espressivo nel legame con il suo dettato- che c'è e preme con forza- per imporsi e restare. Con un caro augurio, in conclusione, riportiamo un passaggio riferito all'amata che ha un che di orientale, particolarmente felice:" "Anima lieve./Sereno nella casa del padre".

 

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