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A tu per tu con: Alberto Bonfanti

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Incontriamo oggi il Prof. Alberto Bonfanti, docente di Storia e Filosofia alle scuole superiori e Presidente dell’Associazione Portofranco Milano onlus, un centro di aiuto allo studio rivolto agli studenti delle scuole medie superiori che offre assistenza didattica gratuita nello svolgimento dei compiti, nel recupero dei debiti formativi e delle conoscenze disciplinari.

D.: Ci racconti cos’è Portofranco e come nasce questa realtà?
R.: Portofranco è un luogo dove alcuni volontari (adulti e studenti universitari) aiutano i ragazzi più giovani a studiare.
Nasce dall’idea di un grande educatore, Don Giorgio Pontiggia, una vita passata in mezzo ai ragazzi, a scuola e all’oratorio, che a sua volta è partito dalla necessità di soddisfare la domanda di significato, di senso di compagnia dei ragazzi di fronte alla vita. Per rispondere a questo bisogno, Don Giorgio è partito dalla vita quotidiana dei ragazzi e dai loro bisogni. Un bisogno che hanno tutti i ragazzi che frequentano la scuola è quello di fare i compiti e di essere aiutati in quelle materie più “impegnative”, mi viene in mente la matematica per capirci. Così è iniziata l'avventura di Portofranco Milano nel novembre 2000. Da quel momento un crescendo di iscrizioni. Ora abbiamo ogni giorno oltre 100 ragazzi che vengono aiutati singolarmente nelle più diverse materie da una cinquantina di volontari (40 universitari e 10 adulti) al giorno... Facendo un calcolo sono passati da Portofranco dal 2000 ad oggi oltre 20.000 ragazzi per oltre 8000 volontari per circa 100.000 ore di ripetizioni.

D.: Il bisogno educativo è uno dei grandi bisogni che la nostra società mostra drammaticamente di avere, a tutti i livelli, quello degli educatori e quello degli educati. Come educatore cosa si può fare per rispondere a questo bisogno oggi nella scuola italiana?
R.: Oggi a scuola, come nella vita i giovani sfuggono il rapporto con la realtà. Proprio questo sembra il problema. I ragazzi hanno paura della realtà e questo si documenta nel disimpegno, nel terrore della fatica, nella paura del futuro, nel non poter concepire qualcosa che non riescono ad immaginare. Magari hanno interessi, ma hanno paura di qualcosa d'altro, della realtà.
Portofranco da questo punto di vista è una grande provocazione per me, sia come insegnante che come Responsabile, perché in qualche modo mi richiama al mio stesso bisogno di significato. Può succedere che i ragazzi di oggi lo nascondano con un apparente disinteresse, o con la difficoltà a prendere sul serio la realtà e l’impegno con essa, ma al fondo hanno lo stesso bisogno di verità, di senso e di gusto che ho anch’io. Il compito di noi educatori consiste proprio in questo: trasmettere ai ragazzi il desiderio di verità, di bellezza che alberga in noi. Perché senza significato la realtà perde il suo interesse!

D.: Uno dei più grandi educatori contemporanei, Luigi Giussani, ha scritto nel Rischio Educativo: "Educare vuol dire sviluppare la coscienza, cioè il sentimento di sé come responsabilità verso qualcosa di più grande di sé". In base alla tua esperienza di insegnante di Liceo, cosa chiedono i giovani di oggi ai propri insegnanti?
R.: Sulle scale di Portofranco, salendo abbiamo scritto questa frase di Plutarco: "I ragazzi non sono vasi da riempire ma fuochi da accendere". I ragazzi desiderano essere introdotti alla realtà, ma da soli non ce la fanno. Il significato non è qualcosa di astratto ma una presenza affettiva, una presenza amorevole alla loro vita, alla nostra vita! Quid est veritas? Vir qui adest!
Ecco, io penso che la grande forza di questo mare di gratuità che è Portofranco sia questa: il gesto di gratuità che ciascuno dei ragazzi ha ricevuto lo ha introdotto alla positività dell'essere, gli ha fatto percepire che la realtà non è qualcosa di noioso, di lontano. Introduzione alla realtà: questo è Portofranco. E quando dico Portofranco penso ai volontari che hanno aiutato i ragazzi ad introdursi alla realtà attraverso una presenza amorosa, a non fuggirla cercando in devianze più o meno gravi quella realizzazione che la frustrazione scolastica impediva loro. Si perché per i ragazzi è un'ingiustizia, è una frustrazione andare male a scuola tanto che devono compensarla primeggiando in qualcosa d'altro. L'insuccesso scolastico è la prima sconfitta, è una delle prime circostanze dopo gli affetti familiari e personali in cui possono percepire la negatività, l'ottusità del reale o la sua positività. Per questo è stato così geniale partire dall'affronto del loro bisogno, del primo loro approcciarsi al reale. Infatti Il problema non è la scuola, ma la realtà.

D.: Cosa ti ha insegnato in questi anni l'esperienza di Portofranco e cosa ti aspetti per il futuro della scuola in Italia?
R.: Moltissimo. La sfida educativa è entrare in rapporto con l’altra persona, incontrarla e accoglierla per quello che è, ma senza rinnegare le proprie origini. Per esempio Portofranco è diventato un luogo ecumenico senza nessuna progettualità di volerlo diventare! Quando abbiamo iniziato non pensavamo questo.Ma già dal terzo anno sono aumentati gli stranieri che ora rappresentano più del 30% degli iscritti provenienti da oltre 30 Paesi, i più numerosi da Egitto, Marocco, Ecuador, Filippine e Perù e tra l'altro gli stranieri sono i frequentanti più assidui, quelli che, spesso per condizioni familiari particolari, vivono Portofranco come una loro seconda casa. Questo fatto mi ha insegnato molto. Si incontra l'altro non rinnegando la propria identità, il proprio volto ma in forza di essa e l'identità cattolica proprio in quanto cattolica è universale e quando è vissuta come esperienza di pienezza dell'umano e quindi apertura all'umano, è in grado di abbracciare e incontrare chiunque! Noi non nascondiamo la nostra identità, organizziamo feste di Natale e Pasqua a cui partecipano ragazzi atei o di altre religioni...
Partendo da un approccio non ideologico, ma dalla persona, attraverso il suo bisogno si può incontrare chiunque perché il cuore dell'uomo desidera la stessa cosa!! Questo l'ho proprio visto a Portofranco. Si diventa amici tra egiziani musulmani ed egiziani copti, ci si rispetta tra marocchini e latinos.. Non ci mai stato un episodio di intolleranza.Il dialogo che tra culture diverse appare così difficile, risulta possibile tra persone perché il cuore dell'uomo desidera la stessa cosa, la felicità.

Tra l'altro Portofranco non è diventato solo un luogo di integrazione tra gruppi etnici e religiosi diversi ma anche tra persone di estrazioni culturali diverse ( tra i nostri volontari adulti diversi non sono cristiani ma sposano il nostro progetto educativo) ma anche un luogo di convivenza multi generazionale (convivono 4 generazioni). Quando passando per le aule vedo lo sguardo tra un volontario di 80 anni ed un ragazzino di 16 mi chiedo: ma dove esistono i conflitti generazionali?

Per concludere penso che partendo da esperienze come quella di Portofranco si possa ripensare anche al modo di come immaginare la scuola del futuro. E’ un lavoro sfidante, ma la vera riforma della scuola deve partire da esperienze come queste o sarà solo una riforma giuridica e amministrativa, non educativa.

Un ultimo pensiero: per tanti Portofranco è stata una casa, una famiglia e ora ha bisogno di aiuto perché i contributi pubblici coprono solo il 10% delle spese che superano € 300.000. Portofranco lancia una campagna: acquistare un’azione simbolica della Onlus chiedendo a chi ci conosce e a chi desidera, di essere parte del patrimonio dell’associazione. Vogliamo che Portofranco rimanga gratuito per i ragazzi.

Grazie Alberto.


per info: direzione@portofranco.org / www.portofranco.org

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