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Dialogo del poeta e dell’angelo Il poeta: Notte, fanale, stelle, comete. Ardono i fuochi dalle azzurre sete. Un’ombra brilla al raggio lunare. Il nero cavaliere, il vento, il lupanare. Cerco il santo Graal, la gotica azzurrità. Il cavaliere, il santo, il trovatore errante nel bosco frondoso. Il Graal illude la mia oscurità. Io vado per l’azzurrità che affiora dalla tenebra, nel vento per oscure vie a salutare con rossi fazzoletti la nostra malasorte. Addio stella, sorte sgualdrina, io vo per oscuri fanali a rammentare notte lunare, stelle, lupanare. L’angelo: Insinuo nel tuo orecchio semi di girasole, gelosia e mercantile sapienza. Il timpano è il luogo della misologia, l’occhio sfera dell’ozio, padiglione dell’irrealtà. Essere essenza, vaticinare, battere il dito della concordia e premere il mantice della lealtà. La superbia ti ha reciso le vene con un taglio secco dietro le chele. A te la superbia e il girasole, nato nel ventre di un pesce nella città di Dedalo dormendo. L’angelo rosso Un angelo è presente qui nel mio bosco, si spolvera le scarpe, scuote le vesti. Io sono Tobia, sono senza parola. Lui sta in silenzio, accovacciato ai miei piedi. Non mi riconosci? io sono l’uccellino cne portavi sulla spalla, sono il tuono del colpo di cannone - Ed io sono il soldato di guardia alla tomba del Cristo caduto in letargo quand’egli resuscitò, io sono il carnefice senza colpe che ha eseguito gli ordini del Tribunale, sono la vittima innocente che accetta il destino perché Allah è grande ed impetuosa è la sua ira e magnifica la sua clemenza. io sono Filottete abbandonato dai compagni sull’isola deserta e mi strazio e bestemmio il nome del Signore... E tu sei un piccolo rosso angelo che guarda le sue scarpe sporche... Asraele I Asraele è l’angelo gobbo, scende dal cielo scuotendo nere ali e depone la discordia tra gli uomini. Di lui null’altro si sa, invisibile è il suo operare e nere nubi lascia come un nastro funebre dietro gli spalti delle stelle. Asraele parla come un principe. Avvolto in candidi panni nasconde nel fondo del cuore il disprezzo. Asraele parla alle stelle e disdegna gli argomenti sublimi. Un eloquio forbito fiorisce sulle sue labbra ed il sorriso fluisce dal suo volto. L’inquisito di rango volge le spalle all’angelo, osserva la sua retroesistenza. L’angelo dalle vele spiegate interroga i morti e nasconde nell’ampio panneggio il volto. II Dal pallore della sua sfericità vola il candido Asraele. Vieni qua oh alterità, informulabile presenza! Il sonno abita le cordigliere delle sue ali strappate al vortice della Storia: Fessure di infinite brughiere solcate da invernali stormi di capinere, gli occhi lividi. L’Angelo brandisce una spada ed i colpi cadono su un minuscolo diavolo dalle ali cartilaginose ingrommato di pece. Asraele è impresso nel vento immateriale. Immobile, esegue un passo di danza. Il dèmone, inquieto, ad ogni scarto sprofonda la nella tenebra. III La soprastante felicità di Asraele parla senza parole. Il suo corpo ignudo dalle ali spiegate mostra eburnea chiarità. La sfericità della Storia conosce la morte e il sangue. - Vola Asraele! attimo fermati non sei bello quanto impossibile. Fra gli angeli il più superbo, candido di giovinezza e melancholia il vento non scuote le sue ali. Le nottole del tramonto sul pallore del suo volto volteggiano. Interrogatorio del morto Quando il morto scese nella tomba due angeli si recarono ad interrogarlo. E Dio gli rese la vita, dalla testa dendroide alla cintola. Il morto sollevarono e a sedere lo misero e lo interrogarono sul muso i due angeli inquisitori Munkar e Nakir, dei quali disse il profeta: “Il loro calamo è la tua lingua e la tua saliva il loro inchiostro.” Esortazione degli angeli al poeta Munkar: Come l’argilla è nella mano del vasaio io ti ricopro d’un saio ardente e d’uno scudiscio, ti inoltro nel deserto monaco derviscio a predicare la gentilezza. Come un angelo cui rimanga mezza mano da te m’allontano e l’Albero mi accoglie fedele così come lo lascio. La tua porzione è scritta, ti serve altro? Così come prescritto si compia il tuo viaggio. Nakir: Così egli ha messo l’eternità nel tuo cuore. La stoltezza, l’errore e la saggezza. I tuoi segreti si rivelano alla Sua carezza. Ad ogni corda che tu pizzichi, tu gemi come un’arpa e una brezza. Se con un filo tu fai cento nodi, il filo è sempre un filo. Il Poeta: È notte. Mentre le fiamme lingueggiano ascolto il crepiti o delle mie pupille. Io sono l’amico del vasaio che soffia nella coppa di vetro, sono l’amico del vetro spezzato che si può incollare, io sono il fratello del tuono benigno che porta la pioggia risanatrice, sono il bottaio che nei barili conserva il vino prezioso, io sono il tappeto di preghiera, perché tu possa prosternarti, sono sapiente perché ho scelto di essere erba e prendo appunti sul taccuino degli uccelli, io sono il responso del giudizio quando la sorte benigna tocca l’imputato, sono l’immagine che un dio ignoto ha impresso nella creta e, pentito, l’ha rimodellata in altra forma, per altra guisa, io sono la mano che obbedisce al libero arbitrio e che serba il ricordo della carezza, io sono il pugnale che attecchisce sul tuo petto che rammenta la brezza marina e i pesci del mare… [ Poesie tratte da Paradiso, Edizioni Libreria Croce, 2000 ] |
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