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L’anomalia italiana

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La crisi economica che stiamo attraversando ebbe inizio negli Stati Uniti alla fine del 2007 con lo scoppio della bolla del mercato immobiliare. Dall’anno successivo, trasformatasi in crisi finanziaria, si trasferì in Europa e quindi nel resto del pianeta.

Dal 2008 ad oggi, in Italia, si sono alternati 5 Governi: Prodi sino a maggio 2008, poi Berlusconi sino al novembre 2011, quindi il tecnico Monti fino all’aprile 2013 per passare al Governo Letta (eletto a seguito delle elezioni politiche) restato in carica sino al febbraio di quest’anno, quando è stato sostituito dal Governo Renzi, alternanza decisa dalla maggioranza del Partito Democratico, principale forza della maggioranza governativa.

Nello stesso periodo (2008-2014) il Regno Unito ha visto 2 Primi Ministri, dal giugno 2007 Gordon Brown e dal maggio 2010 David Cameron, tuttora in carica. La Germania ha il medesimo Cancelliere dal novembre 2005, Angela Merkel. In Francia si sono alternati due Presidenti: dal maggio 2007 Nicolas Sarkozy e dal maggio 2012 François Hollande, ancora in carica. Anche la Spagna ha visto due Primi Ministri: dall’aprile 2004 José Luis Rodríguez Zapatero e dal dicembre 2011 Mariano Rajoy. Negli Stati Uniti infine la crisi è stata tutta gestita dal Presidente Obama in carica dal gennaio 2009.

Sarà un caso che tutti i Paesi citati, ad eccezione del nostro, abbiano affrontato la crisi economica e ne stiano uscendo, di fatto, prima e con migliori prospettive, dell’Italia?

Certamente uno dei pregi (o dei difetti?) di noi italiani è quello di avere la memoria corta e di dimenticare presto tutte le promesse, non mantenute, dei nostri leader politici. Ma è anche vero che un Paese che vuole gestire una crisi economica mondiale come quella che stiamo attraversando, non può cambiare 5 Governi in 7 anni.

Come si possono prendere decisioni strategiche nei vari ambiti della vita pubblica senza poi avere il tempo di vederle attuate e soprattutto il tempo per verificare se le scelte effettuate abbiano portato i benefici previsti?

Prendiamo ad esempio la riforma del mercato del lavoro (c.d. Jobs Act) che l’attuale Governo Renzi ha deciso di portare avanti. Nel dicembre 2011, il Governo Monti, dopo solo un mese dal suo insediamento, fece approvare dal Parlamento la c.d. legge Fornero, una pesante riforma che colpì sia il mercato del lavoro sia il settore previdenziale. Ebbene a distanza di neanche tre anni si pensa di ricominciare tutto da capo e nel farlo, non si modificano solamente quelle parti della precedente riforma che si è già visto non funzionare (ad esempio l’allungamento dell’età pensionabile che ha di fatto creato un blocco all’assunzione dei giovani), ma si decide di partire da zero, rinnovando tutto il settore del mercato del lavoro.

Ma siamo così sicuri che questo modo di procedere sia quello giusto?

E’ vero, oggi il mondo corre ad una velocità non immaginabile anche solo cinque anni fa, ma scelte così importanti per la vita di un Paese, come quelle in materia economica e sociale, dovrebbero essere prese non sull’onda del “fare qualcosa purché si faccia presto e subito”.

Certamente la situazione è grave e la mancanza di lavoro, soprattutto per i giovani, è una delle cause che contribuisce al perdurare della situazione di crisi, creando di fatto uno stallo economico-sociale nel Paese. Ma è proprio per questo che le scelte prese oggi dovrebbero essere ben ponderate e condivise il più possibile con tutte le parti in causa: associazioni di categoria, lavoratori, imprenditori, sindacati.

Solo così si può ottenere che il Paese remi tutto dalla stessa parte, altrimenti la navicella Italia resta ferma mentre tutte le altre imbarcazioni stanno già uscendo dalla secca.

L’anomalia della vita pubblica italiana dipende da noi stessi: non abbiamo ancora compreso come la ricerca del bene comune debba essere anteposta all’ottenimento di benefici personali, per la mia famiglia, il mio gruppo, il mio partito.

Se non impariamo, in questo caso sì in fretta, questa lezione, tra pochi mesi avremo un nuovo Governo, una nuova riforma e un Paese ormai impantanato nelle sabbie mobili che lentamente lo cancelleranno dal panorama mondiale delle nazioni più industrializzate. E per l'Italia non parleremo più di crisi economica, ma di declino economico...

E’ questo che vogliamo?

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