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Haiku alfabetici

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Elio Pecora su Haiku alfabetici

 

Quanto un libro deve alla sua veste editoriale? È l’involucro a promettere, attrarre, trattenere ed è la stanza in cui entrare per godere di un bene tutto da scoprire, di un luogo dove abitare per ripartirne forse un poco diversi, certo con un bagaglio di sensazioni, di percezioni. Pensiamo ai codici medievali, preziosamente miniaturati, pensiamo alle edizioni numerate di tanta poesia del Novecento, né va tralasciata la grazia di libri e librini che, all’occhio attento e amorevole, si mostrano – standosene in disparte e come in attesa – di là dai banchi stracolmi di librerie affollate.

Dunque, va salutata con gratitudine ed entusiasmo la nascita, a Roma, di una nuova casa editrice dalla gentile denominazione “Il ramo e la foglia” che peraltro si fregia di un inequivocabile progetto: «Per una visione unitaria e integrata della letteratura dell’arte della conoscenza». E tanto prova al meglio il libro, smilzo e flessuoso, che dà inizio a un tale proposito e che ha copertina indaco traversata da rami fioriti, disegni lievi e teneri di Graziano Dei, postfazione attenta e partecipe di Annamaria Vanalesti. Il titolo è Haiku alfabetici, l’autrice è Mariella Bettarini, fiorentina, con un folto numero di raccolte di poesie pubblicate, varie opere di narrativa oltre ad antologie e traduzioni. Mariella Bettarini è inoltre fra i rari poeti che si occupano della poesia altrui. Fondatrice e direttrice della rivista “Salvo Imprevisti”, a cui nell’ultimo ventennio è succeduta la rivista “L’area di Broca”, dal 1984 cura le edizioni “Gazebo”.

Ma stiamo al libro: che accoglie un numero considerevole di haiku: composizione dominante fin dal diciassettesimo secolo nella letteratura giapponese, consistente di tre versi (due di cinque e uno di sette sillabe) il cui tema obbligato sono le stagioni. Negli haiku della Bettarini resta della composizione originaria il numero dei versi e quello sillabico, ma i temi sono dei più disparati, anche dei più vivi e intriganti. La poetessa fiorentina, che, nella sua vasta opera poetica, è passata per molte forme, tutte messe a servizio di sostanze umane e vitali, qui – ignorando i temi d’obbligo – si fa condurre dall’alfabeto e s’inventa un glossario necessario e prezioso che arriva ad essere l’esito di un’intelligenza aperta e di una fruttuosa esperienza.

Dalla A di animali alla N di natura, da O di orizzonte a Z di zenit un pullulare di significanti e di significati, in cadenza netta e veloce, si palesa come per un’attesa rivelazione. Ne viene un’accolta di sapienze, un trattatello di pensieri musicanti, che apre porte nel lessico e abbatte inerzie e pregiudizi. Inoltre, ancora smentendo l’oggettività originaria, qui è l’io a protrarre le sue interrogazioni, a confidare paure e incertezze, a sciogliere malinconie, a scendere nelle proprie giornate e chiamare gli affetti e le assenze. Non mancano le inquietudini come all’I di “inizio” quando la domanda sa di non poter chiedere risposta e perviene a una pacificazione solo accogliendo il mistero.

Così, in questo singolare sillabario, l’intera esistenza si articola in un susseguirsi di brevi respiri, in un succedersi di gesti appena accennati, di parole che si cercano chiare ed esatte. Così la poesia si consegna perché il lettore se ne impossessi, ne faccia un nutrimento e una crescita, forse una gentile compagnia.

 

Elio Pecora

 

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