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Ttip e Loi Travail

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Che cosa collega il negoziato in corso tra Europa e Stati Uniti, noto con il nome di Ttip, e la riforma del lavoro francese, voluta dal Governo e fortemente osteggiata dai sindacati dei lavoratori?

In apparenza poco o niente.

Il Ttip, acronimo di Transatlantic Trade and Investment Partnership, vuole creare tra Stati Uniti ed Europa la più vasta area del mondo dove si possa commerciare in beni e servizi il più liberamente possibile, riducendo dazi e tariffe che ne rallentano la circolazione e unificando il più possibile le regole del libero scambio. Questo accordo, se andasse in porto, coinvolgerebbe centinaia di milioni di famiglie residenti nella parte più ricca del pianeta. Il massimo dell’omologazione immaginabile, dal punto di vista dei produttori di questi beni e servizi. Il vecchio sogno di David Rockefeller che nel luglio 1973 con alcuni amici fondò la Commissione Trilaterale con lo scopo dichiarato di sostenere e diffondere il libero scambio mondiale di beni e servizi con meccanismi flessibili di circolazione della moneta. Dopo poco più di quarant’anni quel sogno è sul punto di realizzarsi.
(Leggi anche: http://lorenzorobertoquaglia.blogspot.it/2013/03/ttip-nuovo-cavallo-di-troia.html)

La riforma del lavoro varata nelle settimane scorse in Francia, viceversa, riguarda unicamente il popolo francese e tenta di rendere il mercato del lavoro più flessibile e dinamico, dal punto di vista dei datori di lavoro. Ma non solo. Tutte le novità che vengono introdotte dalla riforma, all’insegna della maggiore flessibilità del lavoratore, in entrata e in uscita dal mercato, possono essere normate da una contrattazione integrativa aziendale che va a sostituire quella nazionale in vigore sino ad ora. Cosa significa? Banalmente che il lavoratore vedrà tutelati i propri diritti dai sindacati (se presenti) dell’azienda in cui lavora, i quali sindacati non avranno alle spalle una legislazione nazionale cui far riferimento e da usare come argine alle richieste della proprietà. Tutta la contrattazione sindacale potrà essere effettuata all’interno delle singole aziende; così facendo si avranno contratti diversi da azienda ad azienda, con minori tutele in generale e con possibili disparità di trattamenti tra lavoratori. Si azzera quel minimo sindacale in tema di diritti basilari del lavoratore conquistato dai francesi in decenni di lotte sindacali e che ora viene eliminato di colpo.

Ma tutto ciò come si collega al Ttip?

In modo molto semplice. La filosofia che sostiene entrambi i tentativi e i provvedimenti in corso è la medesima e viene portata avanti dai medesimi soggetti: si possono chiamare Multinazionali, Corporations o con nomi similari. Esse rappresentano nel mondo realtà più importanti e potenti degli Stati nazionali medesimi e con i profitti accumulati negli ultimi decenni, con il potere delle lobby che sono al loro servizio in ogni Stato e nelle istituzioni politiche sovranazionali, riescono sempre di più a condizionare le scelte politiche generali a loro favore per un unico scopo: fare più business.

Ecco che allora appare chiaro come da un’area comune di libero scambio, nella zona più ricca del pianeta, a guadagnarci maggiormente non sarà l’artigiano del mobile della Brianza, che potrà esportare i suoi divani nel Texas senza pagare dazi, ma la multinazionale americana di mobili per ufficio che potrà vendere i suoi prodotti in tutta Europa a prezzi più competitivi addirittura dei produttori europei.

Abbiamo volutamente toccato nell’esempio un settore non core business per noi italiani. Pensate cosa potrebbe succedere, se entrasse in vigore questa mega area di libero scambio, ai prodotti alimentari italiani che verrebbero invasi da prodotti similari a prezzi più che concorrenziali. Sarebbe il disastro di interi distretti e filiere alimentari del nostro Paese.

La stessa filosofia è contenuta nella nuova legge sul lavoro approvata in Francia. La possibilità di chiudere la contrattazione con il lavoratore in casa, senza dover più sottostare a contratti quadro di natura pubblicistica, giova sicuramente più alle multinazionali presenti sul territorio, piuttosto che ad un artigiano che con il suo praticante non ha problemi a trovare un accordo.

E quindi? Cosa fare di fronte a questi fenomeni? Ma soprattutto, posto che il mondo non sta mai fermo, il futuro che ci aspetta sarà sempre più omologato e con meno regole? Meno pubblico e più multinazionale? E in un mondo governato da Big Company che cercheranno sempre di più di sottrarre la propria responsabilità allo Stato nazionale e riconosceranno come referente unicamente il proprio Stakeholder, come saranno regolati i rapporti tra quest’ultimo e i cittadini?

Chi tutelerà i diritti dei singoli, dei consumatori, delle persone, di fronte all’invadenza delle Corporations?

Domande al momento senza risposta, che generano inquietudine.

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