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al testo di Manuel Paolino
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Canzone della morte e degli organetti
Cominciando da qualunque più antica luce capace di accecare, caddi nel creato pozzo non d’acqua ma di vento come la chitarra di Diego.
Ed ecco fucilate di suoni:
sonoro osso grigio di corde dal tallone spuntato ai buchi d’un nero abissale, coi proiettili nel pugno pronto a lanciare lungo il cammino di Granada.
Soldati eseguono la guerra incivile; giallo giullare balla con gli occhi lontano, gli organetti cantano dall’eterne fessure; si chiude il sipario.
Burattinai muovono l’ultimo accordo; fili svenenti di corvo gitano.
Quello che Lorca non disse
Lo specchio si raccoglie come una conchiglia di luce nelle tenebre.
Chi sarai domani? Su quale acqua – nuovo – ti formerai? In quali riflessi si poseranno la tua anima, e il tuo cuore – se ne conservi uno? Cadrai come Narciso?... Oppure no?
(...)
Guarda, guarda quell’uccello giallo! Ay, ay. Lasciala stare! Ay, ay, ay. Lascia in pace – ay – la Poesia! Ay, ay attento!...
Lo specchio si desta come la piuma di un cigno sopra la radice di una rosa.
Canzone del fiume e dei semi d’arancia
Stavo sulla riva col vecchio, tra me e me un pesce morto a pancia in su con una rotonda capriola di luna spinse la corrente con la coda fino a tuffare le ali da una palpebra all’altra del chiarore di vino rosso al fondo nero dei nostri occhi in fila:
i miei e quelli di Mieses che come i suoi versi pareva dipinto con tinta di stelle, d’alghe, di una pena bianca che lassù nel cielo non era la luna;
sputavamo semi d’arancia nel fiume, il suo sorriso era dolce come quello dell’arcangelo bambina che voleva essere sirena salata e non si mangiava le unghie.
Quanto ho amato la cristalleria sorta da quelle labbra di raggi doloranti!
Sputavamo parole rotonde nell’acqua del fiume:
– mi insegnavi a costruire la statua di me stesso sul tempo.
La melodia del corvo
Flagellata col vento dalla gioia; noia veli il volto col fianco dell’odore nero, giunge fiero il solco del candore feroce in armatura.
Cela il mio braccio ch’apre l’ombra; gesto di fulmine, abbaglio vince ancora il lampo ammiccante dell’incappucciata falce;
scura piuma dipinta che cola in piume, corvo sbircia da uno spiraglio. Era sveglia del corvo, nel corpo melodia per chi non dorme mai, finchè non muore.
Quello delle donne pure
L’alito dei diavoli puzza di sangue, olive e cenere; quello dei draghi odora di fumo e lame di parole; quello dei guerrieri di olio, di formaggio e di vento; quello delle streghe di fiori viola e d’erba bruciata; quello dei poeti di sale e di fonti; quello delle donne pure odora del proprio riso.
Note
La poesia «Canzone della morte e degli organetti» si riferisce alla morte di Federico Garcia Lorca: rifiutatosi di lasciare la Spagna allo scoppio della guerra civile, Lorca si recò a Granada dove fu arrestato. Venne fucilato lungo la strada verso la vicina Viznar dalle milizie nazionaliste, all’alba del 18 o 19 agosto 1936. ‘Diego’ è Gerardo Diego, autore della lirica «Chitarra» e caro amico di Lorca. La poesia «Quello che Lorca non disse» si ispira alle liriche «Capriccio» e soprattutto «Narciso» di Garcia Lorca. Nella poesia «Canzone del fiume e dei semi d’arancia» ‘Mieses’ è Franklin Mieses Burgos, poeta dominicano appartenuto alla corrente della Poesia Sorprendida. La lirica si ricollega in particolar modo a due suoi componimenti: «Cancion de la niña que queria ser sirena» e «Cancion del sembrador de voces».
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