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Intervista a Matteo Bona, parte 1

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Intervista per l’associazione Unicamilano.

~ Matteo Bona

  1. Un poeta od un artista poliedrico. Come preferisci essere definito?

    Preferisco essere definito un provocatore.
    Amo le provocazioni, e tutto il processo dialettico ad esse connesso: la Poesia, e l’Arte parimenti, sono il significato ultimo di un continuo processo inter-relazionale che nasce dalla comunità umana.
    Lo shock intellettuale, tutto ciò che va al di là dell’umana interpretazione, è il pane che nutre le mie opere: quando scrivo, o creo un dipinto, penso a quanto questo possa essere non capito; e più questo risulta essere critico ed ostico, più risulta essere efficace nel suo scopo.
    Scrivendo la mia seconda opera -
    Dalla palingenesi alla Poetica del Vuoto, ovvero L’ultimo Romantico - ho scoperto l’inter-connesione ontologica fra ciò che scrivo e ciò che visualizzo: sembra essere una prerogativa scontata della prassi scritturale, eppure ha - perlomeno per me - qualcosa di misterioso e mistico; attraverso la definizione ontologica, ovvero mediante segni precisi e linguisticamente definiti, mi sono reso conto che la Poesia diviene Arte se la si priva della sua componente arbitraria.
    Fare Arte significa fare possedere il senso della Poesia pura.
    Per parlare di me, anche nelle mie opere, cito spesso una parte del famoso
    Childe Harold Pilgrimage di Lord George Gordon Byron, il quale recita:

    Ma ben presto si sentì il più inadatto
    Fra gli uomini per aggregarsi all’Uomo; con ciò aveva
    Poco in comune; inadatto a corrispondere
    I suoi pensieri con altri, perciò la sua anima divenne repressa,
    In gioventù dai suoi stessi pensieri […].

    Proprio per questo non so classificarmi: odio le classificazioni, od ogni altra forma di categorizzazione; vivisezionare significa togliere senso estetico, poiché si ragiona in un campo più logico che letterario.
    In generale, preferisco essere considerato un essere umano qualunque, scevro da una categoria specifica e specializzante: sono un ermeneuta, un mezzo attraverso la quale la storia e la poesia si manifestano.

  2. Nell’ode Bimba, racconta la vita oramai scomparsa. Perché?

    In questa piccola lirica cerco di esprimere il senso di solitudine della Morte.
    Questo esperimento esistenziale è un tentativo analitico nei confronti dell’essere umano, messo in stretto contatto con l’esilio assoluto, idealizzato come una stanza dalle ombre bianche ed oblunghe. Quest’immagine vuole richiamare la figura del mattatoio, un microcosmo dove si consuma la decisione assoluta: questa aperta critica verso la classe medica è un’accusa a tutta l’umanità, oramai talmente abituata alla morte da non rispettarla nemmeno.
    Queste figure, più manichini che umani, accolgono la notizia del decesso della piccina e si dirigono alla stanza successiva: la fredda inconsapevolezza, unita all’agghiacciante conclusione temporale (
    Era una bimba/E si chiamava Vita), cerca di esprimere l’intima solitudine della cessazione e dell’abbandono eterno.
    L’estrema mancanza di spazialità, l’assenza della condizione temporale, sono indicatori efficaci di questo momento focale: la solitudine diventa la condizione pregnante del contingente, ottenebrando la forza di volontà dell’essere umano.

  3. In Selene, vi è l’utilizzo di una metrica particolare. Si è ispirato a qualche autore in particolare?

    All’epoca, la mia metrica tendeva a simulare la metrica romantica italiana e tedesca: i riverberi intellettuali della succitata lirica tendono ad un’estetica tipicamente leopardiana, dalle note malinconiche e pensierose, ambientate in una notte ch’è più buio dello spirito che buio naturale. Questa poesia ha una duplice interpretazione: quando la scrissi mi ero appena allontanato da una persona a cui tenevo, ed il dolore mi stava lentamente assorbendo in una continua condizione di accidia; il mio spirito era entrato in una sorta di sopore esistenziale, e la luna - luce positiva della notte - era lo scorcio ameno, la via d’uscita da quella trappola emotiva.
    Ma la luna era anche l’amata stessa, la tanto agognata
    Selene: il cielo era ricolmo di stelle, ma mancava ciò che mi rendeva felice, la più luminosa fra la creature del firmamento. Questa sorta di affettazione perpetua era un topos della mia passata era stilistica, ma all’epoca era la via più efficace e consapevole per descrivere il tumulto d’un animo in costante evoluzione emotiva ed estetica.

  4. Come classificherebbe la sua tecnica figurativa?

    La mia tecnica figurativa cerca di individuare la vena grottesca della fenomenologia umana, unendo ad essa una forte vena dissacrante: odio fortemente i luoghi comuni ed i cliché artistici, e proprio per questo - sempre tenendo in conto quanto detto nel punto I dell’intervista - adoro provocare e shoccare lo spettatore della mia arte.
    Mi ispiro spesso alle tematiche trattate da Brian Hugh Warner, tenendo sempre un occhio allo stile DADA ed al surrealismo: nelle mi opere si possono trovare citazioni palesi di Füssli e le tecniche richiamano moltissimo i stili di automazione di Andy Warhol.
    Nel saggio
    What about Industrial Art?, pubblicato sulla rivista digitale La Recherche, spiego esplicitamente la mia posizione ai riguardi delle prassi artistiche:

    Now you’ll understand the reason why I want to shock the witness: without a real trauma - obviously intellectual - the beholder couldn’t react with a personal idea[…].
    {Ora capirete la ragione per cui io voglio shoccare il testimone: senza un trauma reale - intellettuale, ovviamente - lo spettatore non potrebbe reagire con un’idea personale […].}

    Mi ricordo quando ho finito l’opera Portraits of an European Artist, pubblicata tramite LULU nel novembre del 2016: era una ricerca molto personale, gotica e suggestiva; in quel momento ho messo realmente in atto la mia volontà di stupire, rendendo me stesso l’opera d’arte in analisi. Lo so: può risultare molto egocentrica e presuntuosa quest’affermazione, rendermi opera d’Arte - come avevano fatto Oscar Wilde e Marilyn Manson, icone del dandismo - rischia di diventare una sorta di idolatria pagana: eppure non lo è!
    Ciò che v’è di folle e dissacrante nell’uomo è la base del mio interesse artistico, il fondamento della mia ricerca intellettuale e spirituale: la vena più nascosta, quella più oscura ed oppressa dalla morale è il fulcro della mia analisi.
    Ai riguardi della mera tecnica, sono in continua ricerca per una vera e completa automazione dell’immagine: attraverso i nuovi software di lavorazione delle immagini si riescono ad ottenere effetti sempre più precisi e corrispondenti alle esigenze degli artisti industriali, come me.

  5. A quali progetti futuri sta lavorando?

    Ci sono moltissimi progetti futuri in ballo.
    Probabilmente a fine anno, oppure nei primi mesi del 2018, pubblicherò la mia seconda silloge in maniera cartacea. L’opera porta il nome di
    Il senso del nulla: questa particolare raccolta di poesie e racconti cerca di analizzare la forza del nichilismo attivo, contestualizzato alla vita intellettuale di ogni essere umano. All’interno di questa raccolta verranno trattate tematiche molto importanti, come il suicidio, il femminicidio e la depressione. Una delle prose interne all’opera ha suscitato un ampio interesse della critica e dei lettori. Questo racconto narra le vicende e le dinamiche psicologiche all’interno del femminicidio, cercando di comprendere le motivazioni che portano al crimine. Questa ricerca porta il nome di La stagione dei crisantemi rossi: sulla base di questo scritto, nell’ottobre 2017, verrà girato un piccolo cortometraggio dal titolo (per ora non certo) di Margaret, grazie alla collaborazione col regista astigiano Andrea Gambino.
    Dal punto di vista delle Arti Figurative, sto organizzando una mostra di Digital Canvas, ovvero tele non realizzate manualmente ma mediante tecniche digitali. Questa mostra avrà sede in Asti e porterà il nome di
    RebelAction, una chiara citazione della rivelazione dell’Arte Industriale.
    Ho finito da poco di redigere la mia prima trilogia, avente il nome di
    I Silloge Totale ~ Il Divenire, composta dalle opere:
    -
    Oltre la Poesia;
    - Dalla Palingenesi alla Poetica del Vuoto, ovvero L’Ultimo Romantico;
    - Syllogo Gignonomicon;
    Ora, pubblicando Il senso del nulla, edito Montedit, do l’avvio alla stesura della II Silloge Totale ~ L’indolenza, composta dalla prima opera: Il senso del nulla; i titoli delle altre due opere si sapranno successivamente anche se sono già in fase di lavoro. Non vorrei mai togliervi il gusto di scoprirle col tempo.

  6. Milano le tributa un prestigioso riconoscimento. Cosa pensa di questa città?

    Arrivando da una piccola cittadina di provincia, come d’altronde è Asti, la città di Milano vieni circonfusa da un’aura di fascino metropolitano: gente in costante movimento, sempre affaccendata e di corsa, una città delle visioni cosmopolite ed aperte; una città completamente diversa dalla mia. Proprio per questo, proprio a causa della mia città, spesso cito la lentezza come un fattore di noia esistenziale. Milano, per quanto poco io ci sia stato, non mi dà l'impressione di una città ferma - sorvolando sul senso cinetico della parola, ma considerando l'attività intellettuale.

©Matteo Bona & ©UNICAMILANO (di Alessandra Corbetta): ogni violazione della proprietà intellettuale verrà perseguita legalmente.

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