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La Rivoluzione russa: l’ultimo Zar

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Nicola II, ultimo zar di Russia, sale al trono a ventisei anni, nel 1894. All’età di tredici anni subì l’esperienza traumatica dell’omicidio del nonno, lo zar regnante Alessandro II, assassinato da un terrorista appartenente al gruppo “Volontà del popolo”. Da allora matura in lui la convinzione profonda della necessità di difendere sino alla morte l’irrinunciabile triade “ortodossia – autocrazia – popolo”.

Nicola II ha una natura mistica, una religiosità fervente ma pietistica e fatalista: è profondamente convinto che il popolo ami devotamente e incondizionatamente il suo zar, benedetto da Dio.
Questa posizione gli impedirà di comprendere fino in fondo la nuova epoca di cambiamenti sociali che si sta facendo strada nella società, convinto di aver ricevuto l’alta missione di trasportare intatta l’autocrazia nel nuovo secolo.

Il primo banco di prova che si presentò allo Zar, fu il conflitto russo – giapponese (gennaio 1904-agosto 1905). Il modo in cui fu affrontata la guerra da parte di Nicola II e del suo establishment dimostrò incompetenza politica e impreparazione militare. L’esercito russo subì tre pesanti sconfitte e il 23 agosto 1905 a Portsmouth, grazie alla mediazione del Presidente statunitense Roosevelt, russi e giapponesi siglarono un accordo di pace. Il danno per la Russia fu più morale che materiale: da quel momento trionfò la totale sfiducia nei confronti dei vertici militari e del governo e il seme rivoluzionario si radicò sempre di più anche nelle forze armate.

Sempre durante la guerra con i giapponesi, avvenne l’episodio che sancì il punto di non ritorno per la monarchia e la fiducia del popolo nei confronti di Nicola II. La carneficina passò alla storia come la domenica di sangue e distrusse per sempre l’immagine dello Zar come padre del popolo.

Il 9 gennaio 1905 a San Pietroburgo un corteo di 140.000 persone, vestite a festa, con famiglie intere, icone, stendardi professionali e ritratti di Nicola II si dirige verso la piazza del Palazzo d’inverno. Manifestano in modo pacifico, e guidate da un sacerdote, Georgij Gapon, intendono esporre direttamente al sovrano le necessità degli operai e delle classi meno abbienti. Nicola II però, avvertito dell’iniziativa che si stava preparando, il 6 gennaio lascia il Palazzo, affidando la gestione dell’ordine pubblico al governatore della città. Ad attendere Gapon in piazza ci sono i soldati e la polizia schierati con i fucili. All’ordine ricevuto, sparano contro la folla inerme: le vittime saranno tra le 1.000 e le 1.200 persone. “Non c’è più Dio, non c’è più uno Zar” urla padre Gapon in mezzo al caos.
La carneficina della domenica di sangue pose fine per sempre all’immagine del monarca cristiano che ha a cuore il bene del suo popolo, e un movimento di rivendicazione sociale che era prettamente operaio e democratico rifluì tra le file rivoluzionarie.

La reazione del Paese alla strage fu immediata, scioperi si organizzarono in tutte le fabbriche della Russia, e le agitazioni si trasferirono anche in campagna dove vennero saccheggiate e incendiate migliaia di tenute nobiliari.
Dieci giorni dopo la domenica di sangue, Nicola II consente a ricevere una delegazione di 35 operai selezionati da un elenco concordato. Lo zar legge un discorso nel quale dice tra l’altro: “È un delitto manifestare a Me le vostre necessità convenendo in folla sediziosa […] Io credo nei sentimenti onesti degli uomini del lavoro e nella loro incondizionata dedizione alla mia persona e per questo perdono la loro colpa”.

Con questo episodio, il vecchio regime arma la mano della rivoluzione, non permettendo di vedere alternative alla totale chiusura conservatrice, se non quella della violenza.

Nel biennio 1905-1907 saranno oltre 4.500 le vittime di attentati terroristici, tra funzionari pubblici, ufficiali e ministri; 2.180 le vittime tra semplici cittadini; nel 1906 vi fu anche l’attentato al Premier Stolypin, che fu poi ucciso nel 1911.

A nulla valse la concessione da parte dello zar della costituzione della Duma, la camera bassa del Parlamento, nell’ottobre 1905: essa rimarrà sempre in balia dell’arbitrio del sovrano che infatti la sciolse per ben due volte, nel luglio 1906 e nel giugno 1907.

La fine della monarchia dei Romanov era incominciata. Nel prossimo articolo analizzeremo la crisi in cui versava la Chiesa ortodossa.

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