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Sangue e lacrime a Detroit

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Le luci erano ormai tutte accese all’Overall Motors ma, nel Worthiness Laboratory, nessuno ci faceva caso. I fari illuminavano a giorno tutta l’area.

 

L’uomo era seduto alla sua postazione, in una cabina a vetri che gli permetteva di avere una visuale piena dell’intero spazio di lavoro. Malgrado ciò, gli occhi erano concentrati sui monitor e passavano dall’uno all’altro, fissando i diversi fermo immagine che baluginavano sul nitore degli schermi.

 

All’improvviso, dall’auricolare in ear, irruppe una voce preoccupata a frantumare la sua concentrazione.

 

“Capo, abbiamo un problema!”

 

“Che problema? I miei dati sono perfetti.”

 

“Sid sta sanguinando.”

 

L’ingegnere trasalì. Per un attimo pensò di aver avuto un’allucinazione uditiva.

 

“Phil, fammi il sacrosanto piacere di non sparare cazzate: non è aria. Sono le otto di sera e c’è una donna da favola che, fra un’ora, starà per sedersi ad un tavolo dell’Hilton Garden Inn a Downtown. Sai che, in questi fottutissimi sei anni qui a Detroit, è la prima volta che riesco a prenotare lì? Sai quanto mi costa e cosa mi farà quella delicata signora se non mi faccio trovare lì? Chiederà al maître, con soave raffinatezza, il mio capo  su di un piatto d’argento. Quindi ora, Phil, tu mi dici che sei un brutto bastardo e che era solo uno scherzo.”

 

Un minuto di risentito e denso silenzio.

 

“Christian, vorrei potertelo dire. Scendi dall’Olimpo e vieni a vedere con i tuoi occhi: Sid cola sangue. E sbrigati perché, ai piani alti, c’è qualcuno molto più pericoloso della tua bambola che mozzerà  la tua brutta testa di legno!”

 

Ma di che diavolo stava parlando! Scendere per vedere cosa? … il suo caposquadra che stava dando di matto? Avrebbe chiamato la neuro, ecco cosa avrebbe fatto. Ma Phil non era uno qualunque. Sei anni prima, li avevano prelevati da New York e deportati a Detroit per questo progetto; ci stavano dentro insieme ed, insieme, gestivano quel manicomio.

 

Addolcì i toni.

 

“Phil, dai. Avrai inalato qualcosa. Guarda bene: sarà vernice oppure qualche maledetto cretino avrà ordinato hot dog trasbordanti ketchup.

 

Mentre lo diceva, la bocca dello stomaco gli si chiudeva per il disgusto. Aborriva i pasti fast e furiosamente grassi, grondanti ignominiose salse e puzzolenti come un pollo morto.

 

Questa volta, in cuffia, la voce di Phil si fece dura.

 

“Senti, yuppie di merda. Non sono un geniale fighettino di trentasei anni che spende la fortuna che guadagna in scarpe italiane. Ho quasi cinquant’anni e tre figli maschi.: ad ognuna delle loro bravate, di sangue ne ho visto uscire a fiotti e ti assicuro che questo non è pomodoro. Quindi, alza il tuo palestrato culo e scendi!”

 

Bestemmiando, uscì dal suo ufficio-palafitta postmoderna, prese l’ascensore e pigiò sul pulsante “ground” con una tale violenza da incastrarlo.

 

Quando le porte automatiche si spalancarono, la squadra ne vide uscire un Achille, ben intenzionato a farsi una collana con le budella del nemico. Una ciocca di capelli biondi era sfuggita al rigido controllo imposto dall’invisible gel e sbatteva, ritmica, sulla fronte corrugata. Gli occhi grigi erano divenuti due feroci fessure ed i muscoli, ai lati della mascella squadrata, guizzavano pulsanti.

 

Si faceva avanti urlando.

 

“Se la mia prozia Teresa, che ha novantatre anni, nel cuore della notte, mi telefona dall’Italia per confidarmi che la cugina Carmela, durante la Messa, ha visto la statua della Madonna buttare sangue, le rispondo che prenderò il primo volo per vedere il miracolo. Ma, se trenta fra i migliori tecnici e uomini di scienza degli States mi spifferano che Sid sanguina, gli dico che sono dei maledetti tossici!”

 

Lo staff si aprì, come il Mar Rosso di fronte a Mosè, formando due ali di svolazzanti camici bianchi.

 

Chris, l’ingegnere più pagato di Detroit, si avvicinò all’auto, spalancò la portiera e si chinò sul passeggero alla guida per, poi, ritrarsi come avesse visto un mamba nero.

 

La situazione avrebbe richiesto una roboante quanto vendicativa sghignazzata ma il silenzio assoluto continuò ad aleggiare nel laboratorio.

 

Phil gli si rivolse pietoso: “Allora?”

 

“Cristo, Philip, non sanguina e basta: ora sta piangendo!”

 

Mentre tutti, in processione, si affacciavano sull’abitacolo per contemplare il fenomeno, i due erano già con gli occhi fissi sullo schermo gigante che, quasi, sostituiva la parete di destra e rivedevano ogni singolo fotogramma della ripresa. Niente di niente. Il protocollo era stato eseguito alla perfezione, i dati elaborati erano, a dir poco, esaltanti per la loro precisione ed, apparentemente, nulla, di umano e non, aveva interferito con le procedure standard.

 

La melodia di “Fix You” li fece sobbalzare. Il cellulare di Christian suonava già da un po’, senza che se ne avvedessero.

 

“Pronto, Johanna…”

 

“Sei un bastardo!” la voce sconvolta e rotta dal pianto “Tre ore, tre ore da sola ad un tavolo per due…”

 

“Johanna, abbiamo avuto un grosso problema.”

 

“Non parlarmi di problemi: ho continuato a chiamarti incessantemente.” – Singhiozzi. – “Ti immaginavo con la faccia sfracellata contro il parabrezza, come uno dei tuoi maledetti manichini e già vedevo gli scagnozzi della Motors imbrattare del tuo sangue i loro asettici guanti candidi. Ah, un’opportunità del genere non se la sarebbero persa per nulla al mondo. Il primo crash test della storia con un essere umano, vivo e vegeto, alla guida!”.

 

“Johanna, tesoro, senti…”.

 

“NO, SENTI TU! Tre ore circondata da elegantoni occupati a guardare una strafica in abito da sera che grondava mascara nero, al solo pensiero di cosa ti fosse accaduto. Quindi, ora, prendi una delle tue Sid II e portatela a letto, perché è certo che non sarò più io a scaldarlo” La brusca interruzione della chiamata sembrò un tuono.

 

Chris incontrò lo sguardo di un preoccupatissimo Phil e scoppiò in una fragorosa, isterica, risata:

 

”Phil, ci è sfuggito un particolare: alla guida c’era Sid II!”.

 

“E con questo?”

 

“Crabi era accanto a lei, idiota. Uno squallido youppie deve spiegare ad un integerrimo padre di famiglia cosa succede ad una donna che vede il suo neonato di sei mesi spiaccicarsi contro il parabrezza? L’avevo detto a quei geni del settantatreesimo piano che dovevamo fermarci al prototipo maschile!”.

 

 mareaperto - 18/10/2013 15:27:00 [ leggi altri commenti di mareaperto » ]

Non so che farci: mi piaci anche così coinvolta nel mistero, ma godibile e sagace.

 Emanuele Di Marco - 01/10/2013 18:30:00 [ leggi altri commenti di Emanuele Di Marco » ]

un’atmosfera criptica e fantascientifica ’virata’ da un paio di colpi d’ala decisamente più ’classici’.
un bel pastiche, per così dire, che, in crescendo, trova l’acme nell’originale chiusa.
bello, davvero, e molto coinvolgente.
complimenti.

 wolf - 30/09/2013 19:00:00 [ leggi altri commenti di wolf » ]

Direi piuttosto duro e metallico... ironia alla "bastarda" ed atmosfera alla P. Dick ... cosa ti passa per il cuore?

 Luciana Riommi Baldaccini - 30/09/2013 07:49:00 [ leggi altri commenti di Luciana Riommi Baldaccini » ]

Un pugno nello stomaco! questa sovrapposizione/confusione tra umano e manichino, oltre il limite della pietà, in una scenografia avveniristica, dove accadono anche cose tutt’altro che moderne (la strafiga da portare al ristorante extralusso...) ... dove risuona, silenzioso, il pianto di una madre per la violenza che tutto questo esercita sulla sua creatura, e sul futuro stesso...

 Maria Musik - 28/09/2013 18:00:00 [ leggi altri commenti di Maria Musik » ]

Grazie, Emilio, della lettura e dell’apprezzamento. Quanto al finale, la morale non è che i padri non piangono la morte dei figli... diciamo che, essendo un racconto al femminile, la questione è un po’ più intricata, sottile e, se vuoi, cervellotica. Ma non la svelo... altrimenti come faccio a correggere la mia tendenza ad essere un po’ troppo criptica? Comunque, se vuoi tradurmi in portoghese, ne sarò onorata... forse, si capisce meglio. rsrsr... come scriveresti tu.

 Alessandra Ponticelli Conti - 28/09/2013 17:57:00 [ leggi altri commenti di Alessandra Ponticelli Conti » ]

Un racconto straordinario che ricorda Jeffery Deaver, ma anche la narrativa fantastica americana del ’900. Molto belli i dialoghi, il registro linguistico e soprattutto la storia. Una madre è sempre una madre. Davvero complimenti!

 Emilio Capaccio - 28/09/2013 15:44:00 [ leggi altri commenti di Emilio Capaccio » ]

L’ho letto 2 volte non riuscendo a capire il finale, poi ho avuto un’illuminazione e devo dire che ho apprezzato in pieno questo bellissimo racconto "al femminile" che si conclude come una sorte di miracolo attraverso il quale possiamo intendere come anche una mamma-manichino di un crash test può piangere alla vista del figlio-manichino che si sfracella al suo fianco, dopo l’impatto.

Sembra l’incipit di un romanzo di Dan Brown, parlerò con il tuo agente, proponendomi di tradurre in spagnolo e portoghese le tue opere. Che ne pensi?..rsrsr!!!

Ho apprezzato molto questo racconto, soprattutto per questo finale davvero bellissimo, però non sono d’accordo con l’ultima affermazione di Chris: anche un padre-manichino piange la morte del figlio-manichino, non dimenticarlo!

Un grande abbraccio.

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