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I Canti territoriali di Pier Luigi Bacchini

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Una poesia come etologia quella che Pier Luigi Bacchini propone nella sua raccolta Canti territoriali (Mondadori, 2009, pp. 99, euro 14). In una nota riportata a margine dell’omonimo componimento, è lo stesso Bacchini ad offrire una fondamentale direzione di lettura dei suoi versi: in ambito etologico si definiscono «territoriali» i canti d’amore e di guerra degli uccelli. Ma «territoriale» è forse l’aggettivo di cui l’autore si serve innanzitutto per dichiarare il suo radicamento alla terra, proprio quando l’età che avanza suggerisce la transitorietà di quest’ appartenenza, l’inevitabile ritornare all’humus, da cui faticosamente l’uomo si è messo in cammino verso la storia, fatta di posture erette, evoluzioni, ma anche di rovinose ricadute. Così, neppure il poeta può sottrarsi alla gittata di una legge che scandisce gli eventi in sequenze di corsi e di ricorsi, e il suo compito non può essere quello di chi tenta l’apertura di varchi nella metastoria. Qui abbiamo dalla nostra parte tutta la Scienza nuova di Vico, e la più antica lezione di Lucrezio, tanto apprezzato dal filosofo, e alla cui fonte anche Bacchini dichiara di abbeverarsi.

 

 Dunque non c’è nulla fuori della storia, perché essa è la stessa natura, ed è la terra con tutti i suoi abitanti. Un gioco di interferenze definisce la «tremenda concretezza del mondo», nel bel mezzo della quale sta il poeta, come clinico e diagnosta di uno stato di cose che, fuor di idillio, per essere descritto abbisogna della complessità di tutti i linguaggi possibili, di tutte le esperienze possibili: «Ho tolto l’abito/ alla serena e tumultuante bellezza/ per investigare le impalcature» (cfr. Il legame). La scienza della natura assorbe l’antropologia come una fra le sue branche, smascherando l’illusione umanistica che all’uomo soltanto spetti la misura del reale: anche «l’amorosa erba/ striscia sputando veleno» (cfr. Iniziazione), persino il goffo caudato pavone «grida miti, sottratti/ alla buia sordità» (cfr. Disposizioni per flauto), ed ogni elemento, ed ogni creatura si scoprono parte di un’intricata lotta, «che il dolore ci svela lungo gli anni».

Il poeta non può che riattrezzare il suo strumentario, e confidare in un’alleanza collaborativa di sensibilità e pensiero, di mano e psiche («Questo arto, la mano/ è la mia psiche dalle cinque dita» - cfr. Il mio strumentario), secondo quella lezione dell’embriologia che descrive come tessuto nervoso e tessuto muscolare abbiano origine e struttura comune. E proprio grazie agli studi giovanili presso la facoltà Medicina Bacchini ha maturato un linguaggio dalla precisione chirurgica e una personalissima visione poetica, in cui il mondo appare come un grande corpo anatomico («I rametti in alto paiono dendriti/ e l’insieme ricorda un effettore» - cfr. Studio di paesaggio con anatomia), un organismo in cui ogni elemento svolge funzionalmente la sua parte, rispondendo ad un determinismo sempre compromesso col caso, con la variabilità, con l’ulteriorità di fantasiosi scenari.

 

 La partitura del cosmo si rinnova in ogni momento lungo andamenti imprevedibili. Ed ecco allora che quel canto, a cui si allude nel titolo della raccolta, non può essere compreso semplicemente come un’allegoria etologica del canto del poeta. La poesia che Bacchini ci offre vuole intercettare il discorso musicale della creazione, una creazione continua, in cui divino, umano, vegetale, animale si fondono nel ritmo evolutivo, in un rigoroso armonium, che non esclude clamorose stonature, e in cui nessun suono sembra prevalere sugli altri. Solo «l’apparizione improvvisa di una voce di contralto» (cfr. Discorso musicale) adombra una gerarchia possibile di suoni, e segnala il riemergere di un minimo-lirico del poeta a cui torna da lontano, nell’epifania del ricordo, la voce antica e materna di un canto familiare - (si riniva alla raccolta Canti familiari del 1968, con la quale i Canti territoriali qui presentati si pongono in un dialogo a distanza, definendo la singolare parabola poetica di Bacchini nel panorama della poesia contemporanea). 

 

Martina Dell'Annunziata

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