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al testo di Salvatore Solinas
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Per giorni e giorni sotto le finestre
Udimmo le laboriose betoniere, I caterpillar, il rullo compressore. Nelle brumose sere d’inverno, il vociare, i fischi, i richiami degli operai sulle impalcature: Si lastricavano le strade, Si restauravano le facce dei palazzi, Si faceva cosmesi delle chiese. Il Comune sparse a primavera Uno spray fino, inodore. Nessuno se n’accorse. Le prime a morire furono le mosche: Atterravano sui marmi di cucina Sui pavimenti, pesanti, sonnolente Spirando dopo breve agonia. Poi morirono i ragni e le formiche Che abitavano i vasi dei balconi. Un lunedì mattina, Sul marciapiede di Via D’Azeglio, Morì la prima rondine, Le ali conserte al ventre gonfio. Un negoziante sull’uscio di bottega L’indicava ai passanti: gli occhi fissi, Immobile, a tutti indifferente. Morì come le mosche. Dopo tre giorni, sulle strade, Giacevano i corpi cenerini D’innumerevoli rondini. Camminammo sul soffice tappeto Delle loro piume. Il quarto giorno respirammo Un fetore putrido e greve. Il Comune le caricò su carri Ai roghi eretti in periferia. Per molti giorni Densi fumi appestarono l’aria. Da allora le strade furono pulite. Eravamo pronti a ricevere i turisti I capi di stato, i ministri, ma noi tutti Avemmo l’impressione Di vivere in una città morta. Larve noi stessi di un diafano nitore Abitammo gli antichi campanili, I nidi deserti attorno alle campane, I cornicioni dei palazzi. Posammo sui fili della luce, Volammo nel cielo delle strade, Ma quello che fu a tutti evidente Fu l’impressionante silenzio. Eravamo incapaci di cantare |
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