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al testo di Emilia Filocamo
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Le case stanno nella nebbia. A non guardare. Spettacolo vietato la linea scosciata dei monti che precipitano al mare, cieche gatte dalla testa di coppi e terrazze, spianate di budellini bianco-ecrù. Che storia questa vessazione di agnelli con le zampine di cemento e pietra, di limoni e falle! Due spalle salgono i gradini tramortiti; anche io, come loro, mi sono spenta, una cassa nella mente ben imburrata dal morto che sorride, grigio - nera poggia la pioggia sui ciottoli, seppie travestite, acciambellatura di vermetti padroni dell'umidità, liquirizie piediformi, rotelle in congedo dallo svitato che gestisce oggi il cielo. E se urlo il nome, il nome mi si ritorce contro: ciò che si recide è reciso, non si riattacca la santa camicina imboccatrice, la pancia esplosa non riprende mai indietro il benedetto innesco. Conto pagato. E tutto ciò che mi manca è quasi sempre fra due tronchi ed un precipizio: altalena-carota all'asino baratro. Gioco micidiale del malato.
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