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al testo di Amina Narimi
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Dicono che l’uomo solo vuol sentirsi dire le cose, apparenti e finite. sulla verità non ha mai compimento il nostro cammino, per vedere sempre di più nella gioia.
-Così, nel cielo, rimane uno spazio, e nascosto di vero, infinitamente si allontana dal passo che ad esso ci avvicina-
Mi hai lasciato una manciata di kippà, come nelle mani a un ubriaco che ha perduto le chiavi di casa, perché non mi ostini a cercare nei pochi centimetri d’asfalto illuminati a pena da un lampione
Dove è troppo buio forse non è un posto lontano la brina che si posa dove tendere le mani verso il basso, con l’assidua cura del muschio.
-Realtà minime e profondissime ci portano là, dove si ferma la sapienza, capaci di rivelare al cuore, ai sensi, luoghi negletti della conoscenza.-
Se poni le mani tra i muschi, quiescenti, senza alimenti e radici, se sfiori la speranza, cogliendo la ricchezza, per ogni colonia, la lentezza del dolore condiviso spartisce il suo segreto fino a noi, intravedendo il sacro, e come accade, in poche ore di pioggia, tutto questo
con l’impronta modesta dell’acqua, chinata verso il tempo delle origini, nel proprio splendore capillare, nel trasporto che avviene c’è un colore brillante di gioia che appare indistinta, se guardi, nell’onda ininterrotta di smeraldo
così vicina, così piano, una mano, se vibra insieme, all’altra si fa luce, nel silenzio contratto della terra, scambiando segni, di comunione.
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