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Daniele Santoro

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[ Intervista a cura di Roberto Maggiani ]


DOMANDA.
Come ti presenteresti a persone che non ti conoscono? Chi è Daniele Santoro?

RISPOSTA.
Sono nato a Salerno 38 anni fa e qui ho compiuto i primi passi in ambito letterario. Poi, grazie anche alla conoscenza di mia moglie e motivi di lavoro, mi sono trasferito a Roma dove da quattro anni insegno materie letterarie nei licei. Ho esordito come poeta relativamente tardi, con un libretto nel 2006, preceduto da diverse pubblicazioni di testi poetici e contributi critici su varie riviste, cartacee e in rete. Direi che sono un innamorato, prima ancora della poesia, della storia sia greca e romana sia del Novecento. Fuori da questi interessi, che pure occupano parte delle mie giornate, amo la pittura di Salvador Dalì, l’opera lirica e l’heavy metal. Adoro viaggiare e prendermi cura del mio stupendo gatto.


DOMANDA.
Come e perché hai iniziato a scrivere e in particolare poesia? Ci tratteggi la tua storia di scrittore? Gli incontri importanti, le tue pubblicazioni…

RISPOSTA.
La scoperta della poesia è avvenuta per caso, intorno ai dieci anni. Ricordo ancora il mio primo componimento. Era una giornata uggiosa e affacciato al davanzale della finestra, di improvviso, ho sentito l’esigenza di trascrivere l’emozione offertami dalla visuale del panorama; sull’onda di quel trasporto emozionale ho steso di getto i miei primi versi che, con sorpresa, ho trovati convincenti e che ancora conservo gelosamente. Di lì, poi l’interesse è progredito senza più abbandonarmi, stimolato anche dalle molte letture fatte nel corso degli anni. Solo più tardi ho però provato a inviare qualche testo a varie riviste sollecitando suggerimenti, pareri che fortunatamente non sono mancati. Tuttavia, questo lavoro in penombra (cioè prima di arrivare alla pubblicazione) è servito a maturarmi non poco, perché ho potuto avere come referenti culturali, prima di accedere alla letteratura contemporanea e ai contatti con poeti e riviste, la nostra migliore tradizione e in qualche modo ho potuto seguire le tappe, senza fermarmi ad interpretazioni già date ma coltivandone delle mie, della letteratura come documento sociologico, una memoria collettiva che si perpetua, arriva ai giorni nostri. Finora, gli incontri letterari importanti sono stati pochi, ma tutti ugualmente interessanti. Uno di questi è stato quello con Giuseppe Conte che ho conosciuto di persona in occasione del “Festival delle letterature” a Roma presso la Basilica di Massenzio, anche se già eravamo in contatto e che mi è stato, e tuttora lo è, di grande incoraggiamento. Quanto alle pubblicazioni, come dicevo (ad accezione di diverse raccolte edite in riviste e in rete) devo per ora menzionare il mio unico libro dal titolo Diario del disertore alle Termopili, una plaquette in pochi esemplari che ho destinato ad amici e poeti e che è servita a darmi un po’ più di visibilità. Mi ha fatto piacere che il libro sia piaciuto a Luciano Canfora, per esempio, e che ad esso abbia dedicato una particolare attenzione Giorgio Linguaglossa, che ha poi scelto di inserirmi nel volume di saggi La nuova poesia modernista italiana. Numerose sono state le pubblicazioni su riviste alle quali non avrei mai creduto di approdare: “Caffè Michelangiolo”, la cui collaborazione è per invito; le prestigiose riviste americane “Italian Poetry Review” e “Gradiva”, quest’ultima, sia grazie a un’illuminante recensione di Mandoliti al mio Diario sia grazie ad alcuni miei testi pubblicati in traduzione inglese; e tante importanti riviste attente al dibattito poetico quali “Sincronie”, semestrale della facoltà di lettere dell’università di Roma Tor Vergata, “Capoverso”, “La Mosca di Milano”, “Erba d’Arno”; non ultima la contentezza di sapere che alcune mie poesie di “Hiroshima”, già pubblicate in rete su “LiberInVersi”, erano state lette nel 2008, in occasione di un incontro a Rovereto “in ricordo delle bombe di Hiroshima e Nagasaki”, insieme a testi di Corso, Aragon, Baczynski, Turoldo, Quasimodo, Wiesel ed Eluard.


DOMANDA.
Sei uno scrittore, ma prima di tutto un lettore. Quali sono gli autori e i testi sui quali ti sei formato e ti formi, e che hanno influenzato e influenzano la tua scrittura?

RISPOSTA.
È difficile dare una risposta esaustiva. Direi che nasco sotto il magistero di Leopardi e Rimbaud; intendo le mie prime letture partecipate. Poi è sopraggiunta (già durante gli anni del ginnasio, grazie anche alla fornitissima biblioteca del mio istituto) la scoperta della poesia antica, rafforzata in occasione dei miei studi universitari in lettere classiche. Ho amato a lungo taluni Inni omerici e alcuni libri dell’Odissea (che ultimamente ho riadattato in poesia), l’erotismo di Properzio più di Catullo, Orazio giambico più del lirico, Lucano e taluni poeti bizantini che, in corrispondenza con gli interessi per la mistica, pure hanno contribuito a maturare il mio interesse intorno al discorso del “sacro”. Trovo insostituibile il magistero di Eschilo; imprescindibile, per un poeta di qualsivoglia “scuola”, la poesia dei lirici greci (non già però nella traduzione di Quasimodo, quanto in quella di Valgimigli se non addirittura di Romagnoli). Della nostra letteratura non posso fare a meno di Dante, che mi è continuo punto di riferimento (trovo, inoltre, che alcune pagine della Vita Nova sono insuperabili), Dei Sepolcri di Foscolo e, più vicini a noi, di Block, Kavafis, Jotzef, Dickinson e Anne Sexton, di D’annunzio alcionio e di talune Odi navali, dei Poemi conviviali di Pascoli, di Quasimodo civile, delle Occasioni di Montale, di Govoni e Turoldo. Dei prosatori: Dostojesky, e in genere la narrativa russa (Tolstoy, Gogol, Goncarov), Huysmans, Celine (Morte a credito, nell’ottima traduzione di Caproni). Tuttavia, le mie preferenze vanno ancora una volta ai classici greci e latini (Plutarco delle Vite parallele, Seneca delle Epistole morali, Cicerone oratore). Ma un particolare soggetto di studio che preferisco da qualche anno è la saggistica storica; essa mi è servita ad approfondire alcuni eventi del Novecento che hanno ispirato diversi miei testi, non ultima una mia raccolta poetica in attesa di pubblicazione. Ritengo infine irrinunciabile la lettura, per quanti, come me, sono sensibili alla ricerca storica, della Lettera allo Chauvet di Manzoni, che ritengo un documento programmatico di grande levatura. Ovviamente gli interessi letterari non sono i soli che coltivo; amo molto gli studi in genere sull’arte classica e del Rinascimento.


DOMANDA.
Che cos’è la poesia? A che cosa “serve” nei tempi moderni?

RISPOSTA.
È una domanda a cui puntualmente non so dare una risposta precisa, che non sia invece un abbozzo, una parvenza di risposta, forse perché ne esigerebbe così tante che già darne una, chiuderla in una unica formula, è in qualche modo limitarla. Mi avvalgo perciò di una definizione neutra ed etimologica (nutrendo, peraltro, un particolare interesse per le etimologie): poesia dal greco “poiesi” e, dunque, da “poièo” che sta per “invento”, “compongo”, “creo”; pertanto, poesia come creazione, seppure dal punto di vista artistico; un tentativo da parte dell’uomo di eternizzare se stesso? una “illusione”, tragica eppure grandiosa, di esorcizzare la morte, di vincerla foscolianamente attraverso qualcosa che possa sopravviverle/ci? Convincente ritengo, da tempo, la definizione del critico Angelo Marchese quando scrive che la poesia è “un’arte verbale per eccellenza, un valore espresso linguisticamente”. Perderemmo la vera essenza della poesia, se non tenessimo presente questo. Si può parlare all’infinito di poesia, definirla nei modi più disparati, eppure la poesia è sic et simpliciter operazione culturale che da sempre veicola valori fondanti e costitutivi dell’uomo; al pari di qualsiasi altra forma creativa, essa è arte (della parola) e l’arte, si sa, è una irrinunciabile attività umana, un’attività creativa che l’uomo ha “coltivato” sin dalle sue origini, sin da quando, superata la soglia della sopravvivenza, ha iniziato a interrogarsi sull’io e sul mondo, sui grandi misteri della vita e della morte, sull’arché delle cose (non è un caso infatti che i primi filosofi siano stati giustappunto poeti). Per cui se non serve alla sopravvivenza dell’uomo, essa è ciò che rende, oggi come ieri, singolare la sua esistenza, la sua humanitas, la sua capacità di emozionarsi, di sentire il mondo e di tradurne le impressioni con quanto i mezzi più congeniali della propria natura sanno offrirgli; in una sola parola, direi, che Arte (e dunque, Poesia) è la Cultura dell’Uomo, il suo Valore, seppure si tratta di “un valore espresso linguisticamente”. E della cultura non si può farne a meno, a condizione che non si voglia (o si debba coartamente) regredire allo stato pre-umano, alla soglia della sopravvivenza.


DOMANDA.
Che rapporto hai con la narrativa? Hai mai scritto in prosa (racconti o romanzi)? Se la risposta è no, un giorno pensi che lo farai?

RISPOSTA.
No, non ho mai avuto rapporti con la narrativa, ma non escludo di interessarmene in futuro; in fondo, da quando avevo dieci anni, trovo che l’attività poetica sia un’esperienza ineguagliabile, ricca di suggestioni che accompagna il mio divenire, e che la prosa credo difficilmente sia in grado di dare. Trovo infatti suggestivo della poesia quel meraviglioso apporto metrico-prosodico che le è connaturale, non esente l’energia del suo linguaggio, asservito al materiale segnico più eterogeneo, attraverso cui prendono corpo e vita, per esempio, quegli spazi bianchi altrimenti inerti, quella punteggiatura (quando non è negata) tutt’altro che relegata a ruolo di mera funzione tecnica e sintattica; non ultima poi la rappresentazione iconica del testo che “disegna” ut pictura il foglio bianco, lo dipinge, anzi gli dà luce, movimento.


DOMANDA.
Che cos’ha di caratteristico la tua poesia, rispetto a quella dei poeti tuoi contemporanei? Si dice che ogni poeta abbia le sue “ossessioni”, temi intorno ai quali scriverà per tutta la vita, quali sono le tue? Come si è evoluta la tua scrittura dalle tue prime pubblicazioni?

RISPOSTA.
Sì, mi piace il termine ossessione che adoperi; d’altronde in latino ossessione deriva da obdisidēre, “assediare”, “stare seduto presso qualcuno al punto da isolarlo dagli altri”, dunque occuparlo, impadronirsene; è così, il poeta, un po’ come ogni artista, opera in solitudine, è solitario cantore del mondo, un invasato di sentimenti, di stati d’animo, pur consapevole che il suo umano sentire lo rende partecipe di quel gran flusso creativo pregresso, universale, collettivo. Ne consegue che l’ossessione di un poeta è sempre ciò che lo distingue dagli altri; ognuno, d’altronde, ha una personale visione del mondo e dunque una singolare capacità di adattare tale “visione” al suo modo di sentire, di rapportarvisi, di trasmettere soggettivamente le sue impressioni. Trovo che la mia poesia ruoti intorno a diversi nuclei tematici: imprescindibile l’eros e l’ambito di ricerca relativo al tema del “sacro”; mio filone principale, però, è senza dubbio il discorso storico. Non pochi sono stati quanti hanno sottolineato questo aspetto della mia poesia; menziono volentieri Linguaglossa che ha parlato a proposito del mio libretto di esordio giustappunto di “una sorta di discorso sulla verità, occulta e occultata”, di “un logos sulla menzogna”. Probabilmente, la passione che nutro per la storia, mi spinge alla riflessione di cosa è realmente accaduto dietro quegli eventi che avverto più congeniali alla mia ricerca (atomica, Shoah, colonialismo, storia antica in genere), consapevole - beninteso - di non necessariamente giungere alla pura (sempre inattingibile) verità, ma quantomeno al disvelamento di menzogne costruite ad arte, per esempio, dalle logiche di potere; cosa che ho fatto con il mio Diario del disertore alle Termopili presentando, attraverso un esame più addentro le fonti storiche, una mia lettura di come credo si sia svolta verosimilmente l’“eroica” vicenda di Leonida e dei suoi Trecento. Pertanto, posso dire che la mia attuale scrittura stia perseguendo proprio questo filone di ricerca, di smascheramento, già presente nel primo libro, anche se però in chiave più ironica e, talora, più marcatamente sarcastica; è il caso di un’opera a cui sto lavorando e che si ispira ai miti e ai personaggi storici della Grecia e della Roma antica, allo scopo di offrire una chiave di lettura “altra”, alternativa a quella ufficiale, prefissata, spesso univoca e inamovibile. C’è però, in questa mia ultima raccolta, anche una componente che avevo pressoché accantonato, vale a dire la riscoperta del mito, dovuta essenzialmente alla rilettura dell’Odissea, delle Metamorfosi ovidiane e soprattutto della Biblioteca di Apollodoro, che mi ha offerto chiavi di lettura nuove, inaspettate, preferibili di gran lunga alle opere dei tanti mitologisti di professione.


DOMANDA.
La critica più bella che hai ricevuto alle tue poesie?

DOMANDA.
…e la più brutta?

RISPOSTA.
Non saprei, ho ottenuto diversi giudizi lusinghieri; sarei irriconoscente non menzionarli in parte. Senz’altro citerei alcuni attenti commenti ai miei testi apparsi su diversi blog, da “La dimora del tempo sospeso” di Marotta a “Imperfetta Ellissi” di Cerrai, a “LiberInVersi”; le pertinenti recensioni di Fresa e Lucini, Ghignoli e Piazza; la precisione di analisi filologica di Mandoliti e Venturini, gli incoraggianti Bàrberi Squarotti e Ferrari, l’ottimo Rega e Salari, l’acuto Linguaglossa fino a Giuseppe Conte che ha usato parole molto belle sia per il Diario del disertore che per altri testi sottopostigli; non ultimo un giudizio, per il quale sono molto onorato, di mons. Ravasi. Non ricordo invece di avere ricevuti giudizi negativi. Certo, non sono mancati rifiuti su riviste sulle quali avrei voluto pubblicare, non supportati - purtroppo - da una motivazione che sarebbe valsa quantomeno ad innescare una riflessione in merito, a sviluppare un’autocritica.


DOMANDA.
Come avviene il tuo processo di scrittura? In quali ore e luoghi, con quali modalità? Pubblichi ciò che scrivi di getto oppure rivedi i tuoi testi, sia nella forma che nei contenuti?

RISPOSTA.
Non c’è un’ora della giornata che preferisco né in genere un luogo privilegiato. Trovo che un ambiente di sollecitazioni culturali sia da sempre, oltre il mio studio, la biblioteca (quella nazionale centrale di Roma mi è da qualche tempo familiare). Prediligo, altresì i parchi, ovviamente nelle stagioni miti, e anche qui la capitale me ne offre di suggestivi, primo tra tutti il parco del Colle Oppio; la suggestiva visuale del Colosseo, la sua inclusione all’interno dell’antica Domus Aurea, mi offre particolari stimoli. Quanto al metodo, di solito, sottopongo le poesie, nate di getto, a un processo di lenta revisione che può durare anche mesi, con la conseguenza talora di stravolgerle del tutto; in ogni modo, trovo che proprio questa fase “revisiva” di scrittura sia quella più avvincente e appagante di tutto il processo poetico, oltre che la più impegnativa e lunga. Questo è anche il motivo che mi induce a scrivere non currenti calamo, ma a riflettere continuamente sul testo, sulla sua resa espressiva. Inoltre, preferisco non rileggere le mie poesie, una volta concluse, se non a distanza di tempo, forse per non essere tentato dal rimaneggiarle; non escludo tuttavia che questa insoddisfazione abbia un suo aspetto positivo, perché vuol dire che il nostro processo creativo è dinamico, è perennemente in progress; un po’ come se la poesia fosse una seconda pelle (credo che Merini scrivesse così in suo aforisma) e, dunque, un’attività che accompagni, scandisca le tappe del nostro percorso esistenziale. In compenso, leggo molto; lettura che è poi sempre un processo di “riscrittura”, di partecipazione e condivisione a quanto il testo vuole trasmetterci. Anche per questo amo tanto la poesia: per quell’ambiguità di fondo, per il senso sempre imprevedibile e sfuggente, per la capacità straniante che me la fa riscoprire ogni qualvolta la rileggo, essendo in fondo, barthesianamente, una “struttura aperta di segni” di cui il lettore, collaboratore attivo e partecipe, è sempre un novello interprete.


DOMANDA.
Quali difficoltà hai incontrato nel pubblicare i tuoi testi?

RISPOSTA.
Fortunatamente poche; fatte rare eccezioni, ho sempre trovato poeti che hanno saputo consigliarmi, indirizzarmi e fungermi da incoraggiamento. Devo dire anche che qualche volta ho trovato interessanti proprio le osservazioni di amici, conoscenti, di persone insomma estranee al mondo della poesia; i loro pareri sono stati pertinenti, rassicuranti e, soprattutto, non condizionati da quella deformazione deontologica che caratterizza molti miei colleghi-poeti con i quali non sempre è stato possibile instaurare un colloquio formativo, un incontro, uno scambio di opinioni, di idee.


DOMANDA.
Hai pubblicato recensioni su riviste note. Quali sono gli indicatori che utilizzi nel valutare, se così ci è permesso dire, un testo poetico o una intera raccolta? Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche di una buona poesia?

RISPOSTA.
Di solito, nell’interessarmi all’opera di un autore, deve avvenire tra me e i testi come un “cortocircuito”; i testi devono trasmettermi quell’emozione, quel quid in grado di “entusiasmarmi”, che solo può darmi la congiunzione tematica/espressiva o piuttosto viceversa. Non credo di essermi mai occupato di un libro che non mi convincesse sul piano formale né ho mai ignorato nei miei interventi - o piuttosto “possibili” letture - un’analisi delle strutture segmentali riguardanti l’opera; anzi, trovo che sia proprio questo il discriminante di un buon libro, non dimentico che il prodotto poetico (perché di prodotto si tratta dopotutto) prevede imprescindibilmente il connubio forma/significato. C’è di più; nutro un particolare interesse per l’aspetto fonetico delle parole e per come esse si relazionano in un quadro di insieme contribuendo a rendere singolare quel testo e arricchendolo non meno di quanto facciano gli espedienti metrici e retorici. Da tempo, ho fatto mia una massima di Oscar Wilde che dice pressappoco “non esistono libri belli o brutti, ma solo libri scritti bene o male”. D’altronde, abbiamo detto, che la poesia è arte verbale, è l’arte di come la parola veicola un messaggio evocativo, di come essa rende il contenuto, lo traduca, lo innervi, gli dia un “possibile” (perché sempre diversivoco, reversibile) senso; trovo in questo, la bellezza, la forza della poesia, la sua riuscita.


DOMANDA.
Molti utilizzano, per distinguere i vari poeti e la loro presunta importanza, le categorie “poeta maggiore” e “poeta minore”. Esiste realmente la distinzione tra poeti minori e poeti maggiori? Che cosa vuol dire essere poeta minore e che cosa vuol dire essere poeta maggiore?

RISPOSTA.
Credo che siano categorie ambigue, eppure necessarie, elaborate a posteriori, ad usum canonis, responsabile il criterio di distinzione più o meno riconosciuto da chi detiene lo scettro delle decisioni; esse tuttavia rispondono a quella consuetudine secondo la quale il successo di un’opera è dovuto alla sua più o meno ricettività da parte dei lettori di un’epoca e non invece al valore sociologico che essa riveste (in tal senso non avrebbe ragione di esistere una tale compartimentazione). Sta di fatto che non posso non riconoscere l’emozione, la suggestione che mi dà un canto di Leopardi piuttosto che un sonetto di Giambullari. La prima ritengo sia una poesia universalmente valida, e non già perché depositaria di un messaggio necessariamente nuovo; valida, invece, in virtù di quella combinazione perfettamente riuscita tra contenuto e forma, cementata però da un alone di ineffabile mistero che la rende unica e soprattutto distinguibile, riconoscibile dal novero di altre opere. La seconda - perché no? - magari una buona poesia ben elaborata quanto a contenuto ed espressione, ma imitabile e, pertanto, non originale. Ovviamente, bisogna tener conto, come già dicevo, anche della più o meno fortuna di pubblico e dunque di leggibilità che un’opera ha nel corso della sua storia, sia coeva che posteriore alla sua pubblicazione. Non sempre purtroppo, ieri come oggi, alcune opere hanno l’occasione, o la fortuna, di godere l’avallo di chi - grandi editori, giornalisti di quotidiani nazionali, critici di “fama”, professori di università ecc. - gestisce spazi di “comando” da permettere alla stesse una visibilità adeguata presso il grande pubblico, complice anche il gioco di potere, l’ostruzionismo delle fazioni, delle amicizie e quant’altro. E a tal proposito mi si offre l’occasione in questa sede di spezzare una lancia a favore dei tanti Gaio Cornelio Gallo, un poeta di età augustea, ritenuto da Virgilio uno dei massimi poeti del suo tempo. Ebbene, caduto in disgrazia presso Augusto (cui pure lo legava la politica), le sue opere andarono perdute; ovviamente è un esempio a caso (e quanti ce ne sono, nella letteratura di sempre!), ma aiuta a riflettere sull’etichetta di “poeta minore”. Cornelio Gallo è un poeta minore, un poeta meno conosciuto, perché soggetto ad un ostracismo da parte delle logiche di potere editoriale e culturale del tempo, perché magari ligio eticamente ai suoi ideali, non allineato al sistema, non compromesso, al contrario magari di un Petrarca che di quel Potere fu abile servitore e seppe sempre ben barcamenarsi nel mantenerlo, complice la conoscenza di pontefici e cardinali - senza per questo togliere nulla alla sua grandezza e unicità. Certo, questo è un altro aspetto della questione che richiama il sempiterno rapporto tra classe intellettuale e potere. Ben vengano, dunque, quegli studiosi - critici accademici, militanti o semplicemente appassionati recensori - che sappiano riportare alla luce opere dimenticate o quelle di autori la cui visibilità non è favorita dal mercato; opere che, prive del grato impegno di costoro, continuerebbero ingiustamente a giacere nella “selva selvaggia” della letteratura, nel sottobosco.


DOMANDA.
Perché non si legge poesia? Che cosa ne pensi? Secondo te qual è la responsabilità dei poeti (se di responsabilità si può parlare); quale quella degli editori; quale quella dei lettori e, non ultima, quella dei librai e dei mezzi di informazione?

RISPOSTA.
Non è facile liquidare la questione in poche righe; parte della risposta è già in quanto ho detto sopra. Se non si legge molta poesia (e intendo tanta quanta ne è pubblicata) un po’ è perché si è disabituati o si tende a preferire la narrativa che è di solito più diretta, più immediata, più denotativa, meno soggetta ad ambiguità per sua natura. Anche qui, premetto che è un discorso difficile da affrontare, responsabile nondimeno il nostro tempo, la velocità del nostro mondo che sembra non permetterci di fermarci a riflettere; la comprensibilità di un testo poetico necessita di strumenti idonei alla sua possibile decodifica; esige un’ttività e competenza per la quale, a volte, c’è bisogno di un apprendistato lento e faticoso, oltre che sorretto da passione. Talora, la colpa è anche dovuta al retaggio di come si apprende la poesia nelle scuole, dell’ingrato compito di quanti, docenti, si limitano alla spiegazione di un testo, magari senza nemmeno leggerlo o straziandolo (nei casi più fortunati) con analisi testuali preconfezionate, come se fosse carne da macello, insomma, senza offrire propedeuticamente quegli strumenti o codici che permettano al lettore di discernere tra poesia e non. Tuttavia, non sono del parere che la poesia oggi non si legga; il proliferare in rete dei blog e di quant’altri luoghi di discussione (Facebook, anche) risponde a un indice di gradimento tutt’altro che trascurabile. Se invece intendiamo la poesia pubblicata dalle case editrici (il discorso coinvolge sia le grandi che le medie e piccole) e del fatto che non vendano e anzi lamentano i guadagni (bisognerebbe domandarsi anche quante copie effettivamente mettono in circolazione!) non sarà forse perché tale poesia non incontra il gusto dei lettori o quegli stessi gusti che ci propinano in varie salse hanno stufato, e che magari i costi sono proibitivi per qualche andata a capo e per spazi bianchi a iosa? Con lo stesso prezzo, e anche meno, volentieri acquisterei un tascabile del Tasso o tutto il teatro di Shakespeare! Molte altre sono ovviamente le cause, mi limito a proporne alcune: il mercimonio editoriale, una vera e propria piaga letteraria, disposta a pubblicare, sempre e comunque, in cambio del dovuto (e non sempre meritato) guiderdone; la crescita esponenziale dei premi di poesia, spesso gestiti da giurie di dilettanti allo sbaraglio o da vere e proprie lobby “massoniche”; la voluta cecità o la poca professionalità dei direttori di collana; i correi, a livelli alti di formazione, docenti universitari che preferiscono anchilosarsi su triti e ritriti studi passatisti, piuttosto di investire, di mettersi in discussione, fino a rischiare la faccia, ma con consapevolezza, responsabilità e senso alto del proprio dovere, su quanto propone di vivo il pur presente dibattito culturale in atto.


DOMANDA.
A cosa stai lavorando? A quando la tua prossima raccolta di poesie o altra pubblicazione?

RISPOSTA.
Di lavori ne ho molti in cantiere, sia che si tratti di raccolte poetiche che di traduzioni o piuttosto di adattamenti in poesia da scrittori in prosa. Attualmente sto lavorando ad un libro dal titolo Triumphus feritatis (che sta in latino per “Trionfo della bestialità”); esso si ispira, in virtù della mia predilezione per gli studi classici, ad alcuni di quei personaggi ed eventi della storia antica che ho trovato più congeniali alla mia ricerca poetica, scandagliati non senza il ricorso alle fonti letterarie e storiche del tempo; vorrei che fosse il mio personale e appassionato omaggio al mondo greco e latino, ai suoi miti, ai suoi protagonisti, ai suoi cruciali eventi storici. Contemporaneamente, sto lavorando a una raccolta dedicata al capitano James Cook e ai suoi viaggi esplorativi nel Pacifico; anche qui la chiave vuole essere verosimilmente storica, in ottemperanza alla lettura dei suoi diari di bordo con l’intento di denunciare certa politica coloniale. In attesa di pubblicazione c’è invece un lavoro che mi ha impegnato per diversi anni. È un libro dall’argomento problematico, discusso, frutto di un’appassionata indagine su testi ufficiali e meno conosciuti; anticipo solo che si tratta di una mia lettura, dall’interno, vale a dire dall’ottica dei suoi protagonisti, della politica genocidiaria nazista.


DOMANDA.
Hai qualcosa da dire agli autori che pubblicano i loro testi su LaRecherche.it? Che cosa pensi, più in generale, della libera scrittura in rete e dell’editoria elettronica?

RISPOSTA.
Cito volentieri un aforisma di Garcia Lorca: “la poesia non cerca seguaci, cerca amanti”. Può apparire facile retorica, eppure credo fermamente che, se non si attinge a questo insegnamento, si perda il senso autentico dello scrivere poesia. Chiunque scriva, viva il confronto con gli altri come un’esperienza unica, straordinaria, simpatetica e non si arrocchi solipsisticamente nella sua torre d’avorio o si atteggi a maestro. La poesia non cerca precettori né ragiona in termini di scambio a far incetta di proseliti; essa abbisogna solo di appassionati, di cultori che coltivino con cura (come suggerisce l’etimo latino della parola cultura) questo dono e ne trasmettano la funzione valoriale alle generazioni presenti e future. È solo in nome di questo che la poesia si perpetua, diventa documento artistico e patrimonio umanitario. Quanto alla “scrittura in rete”, pur trovando insostituibile il fascino della rivista cartacea, non posso fare a meno di riconoscere oggigiorno il ruolo di internet. Sono dell’opinione che chi pubblica poesia sul web, debba riconoscere la possibilità che gli si offre di essere sottoposto a critiche, a commenti, siano positivi o meno; essi, infatti, sono sempre forieri di riflessioni, mettono in discussione le nostre certezze, le scuotono, aiutano a intravedere difetti che magari ci sfuggono o ci sollecitano a migliorie, insomma, contribuiscono a sviluppare un senso critico intorno alla poesia e a quanto le fa da corollario; il fatto che esista un lettore è la dimostrazione che la poesia vive, respira. Un’altra possibilità che offre l’editoria elettronica è, da una parte, la rapidità (che non necessariamente è un aspetto positivo) con cui il testo viene pubblicato, rispetto ai più pacati tempi di pubblicazione delle riviste cartacee, dall’altra, la maggiore visibilità che dà all’autore (e lo sviluppo di una più rapida coscienza autocritica), che però quando è eccessiva rischia di disperderla, inflazionarla in un vero e proprio e-presenzialism che ha il solo scopo magari di allungare la lista (manco fosse quella della spesa) delle bibliografie critiche o peggio di alimentargli la narcisistica boria di essere asceso a chissà quale vetta dell’Elicona. Mi capita spesso infatti, partecipando ai blog letterari, di incontrare pareri elogiativi non supportati da motivazioni; ritengo, invece, che la lettura dei testi debba sempre offrire spunti di dialogo, spiegazioni, consigli, anche quando il testo è “geniale” e non è raro incontrarne, anzi, proprio perché ritenuto tale, bisognerebbe spiegarne il perché. Ecco, questo credo sia il compito di chi gestisce siti letterari; filtrare quei commenti che presentino uno spazio di riflessione e non il contentino di un “bello”, “complimenti”, “bravo” e via dicendo che, oltre ad intasare la rete, non giova in primis alla poesia. Se dovessi gestire un blog in futuro, questo è quanto farei: chiederei, anzi esigerei dal commentatore perché quel testo sia stato scelto e abbia ottenuto la sua approvazione, pena la cancellazione del post; con la conseguenza, lo so, di vincolare la libertà del lettore, di privarlo di quel fattore emozionale che spesso lo coinvolge e di cui ho scritto in precedenza, ma quantomeno agendo allo scopo di costruire un discorso collettivo, un dialogo in profondità improntato alla riflessione intorno alla singolarità letteraria di quel prodotto, al “disvelamento” di quel costitutivo che lo renda in superficie emozionale, fruibile.


DOMANDA.
Vuoi aggiungere qualcosa? C’è una domanda che non ti hanno mai posto e alla quale vorresti invece dare una risposta?

RISPOSTA.
No, non direi, per adesso. Piuttosto ringrazio te, Roberto, e i redattori de LaRecherche della disponibilità offertami di esprimere, di dire la mia opinione circa questo meraviglioso parto dello spirito umano che è la poesia (già! parto, creazione: una delle mie possibile definizioni di poesia?).


*

Grazie.

 Canio Santoro - 05/11/2010 10:27:00 [ leggi altri commenti di Canio Santoro » ]

Solo oggi ho avuto il tempo di leggere questo meraviglioso articolo dove, hai potuto raccontare la tua poesia e raccontarti. Per me, che sono stato partecipe di tanti "parti dell’anima", è un privilegio averti come fratello. Con infinito amore Canio

 leopoldo attolico - 31/10/2010 11:54:00 [ leggi altri commenti di leopoldo attolico » ]

Un ’immagine a tutto tondo , dove lo spessore culturale si coniuga con una disponibilità all’Altro , al mondo ; all’attenzione più che alla curiosità , all’urgenza più che al generico interesse . Daniele deve solo armarsi di santa pazienza : conosciamo la protervia dei critici nel reiterare la prova del nove prima di dare patenti di "valore". Si tratta per Daniele di capitalizzare cultura e interiorità senza fagocitare tempi e modalità ( rima involontaria ) ma anche rima di consapevolezza e di serenità operativa . Augurando sinceramente quanto di meglio .

 Marco Furia - 31/10/2010 10:19:00 [ leggi altri commenti di Marco Furia » ]

Sì, certo, è proprio dell’uomo esprimersi (anche) per via di quel particolare linguaggio che viene chiamato poesia: scrivere versi è un’attività importante le cui radici affondano nella stessa natura umana.
Mi sembra che questo emerga, quale tema di fondo, dalle articolate e sapienti risposte di Daniele Santoro.

 Mariella Bettarini - 30/10/2010 18:30:00 [ leggi altri commenti di Mariella Bettarini » ]

Si tratta, a mio parere, di ottime riflessioni davvero, espresse con un’intelligenza (anche auto-critica) notevole, data anche la solo apparente "semplicità delle domande (per altro assai utili e puntuali).
Non mi resta che augurare per il futuro a Daniele Santoro e alla sua poesia (e magari alla sua eventuale narrativa) la medesima lucidità e "naturalezza" con cui ha interloquito in questa bella intervista.
Un sentito augurio da Marielal Bettarini

 Alessandro Ghignoli - 30/10/2010 17:19:00 [ leggi altri commenti di Alessandro Ghignoli » ]

Daniele Santoro dimostra, come sempre, un rigore e un’intelligenza critico-poetica di assoluto livello. la sua disponibilità verso la poesia /degli altri/ lo rende davvero unico. tra l’altro, non solo la sua visione sulla, nella e dalla poesia è di sicuro interesse, bensì la sua stessa scrittura poetica merita, come credo stia meritando, un attento interesse. in attesa quindi delle prossime pubblicazioni santoriane, attendo.

un abbraccio

 Antonio Spagnuolo - 30/10/2010 17:04:00 [ leggi altri commenti di Antonio Spagnuolo » ]

Purtroppo il mio impegno più che ventennale, rivolto ai giovani poeti che tentano la difficile arte della scrittura, ancora una volta viene dimenticato anche da chi ha avuto opportunità e ospitalità negli spazi a me offerti.
Daniele Santoro compare nell’Antologia "Da Napoli/verso" da me curata per le edizioni Kairòs nel 2007 , ma qui non citata, anche se in quell’anno il volume ebbe un enorme successo di critica.
E allora propongo anche l’intervista pubblicata su :
http://www.poesia2punto0.com/2010/10/11/parola-ai-poeti-antonio-spagnuolo -
Mille auguri - Antonio Spagnuolo - Napoli -

 Mario Mastrangelo - 29/10/2010 12:25:00 [ leggi altri commenti di Mario Mastrangelo » ]

Dall’intervista emerge il ritratto di un poeta determinato e promettente. Conosco Daniele da diversi anni e sono rimasto piacevolmente sorpreso dall’originalità del suo libretto incentrato sui drammi, le verità e gli inganni della storia. Apprendo dal dialogo qui presentato che intende proseguire in tale ricerca poetica.
La sua formazione classica è evidenziata pure dall’indicazione delle sue letture preferite, dei suoi progetti.
Grazie per averci dato il profilo di un poeta giovane, lontano da sregolatezze, erranze, nevrosi e follie, ma immerso in un’atmosfera di solida cultura, di libri, di scaffali, di parchi cittadini e di frequentazioni con quelli che coltivano le sue passioni, tormentati dalle sue stesse ’ossessioni’.
Bravo Daniele!

Mario Mastrangelo (Salerno)

 Stelvio Di Spigno - 29/10/2010 10:09:00 [ leggi altri commenti di Stelvio Di Spigno » ]

Conosco Daniele Santoro solo attraverso alcune sue pubblicazioni, ma come sempre accade quando si tratta di persone con una profonda coerenza culturale e spirituale, trovo confermata in queste risposte una sua qualità essenziale. Ovvero, Santoro, oltre e prima che essere un poeta, è un vero e proprio umanista, e si nutre di arti lontane e difficili per poter poi allargare le armonie della propria scrittura in versi. E’ una figura rara, quella dell’umanista-poeta. Ad essa sottende la consapevolezza che il fare poesia non è un mero sfogo e non si esaurisce nel codice dei segni, ma richiede studio, analisi, conoscenza di sé e di ciò che ci sta di fronte. E’ come se questo poeta, tenendo nella mani il presente della propria creatività, lo riallacci a un passato di storia, miti, cultura, che ne rendono più robusta e credibile la voce. Sono felice di aver trovato le sue parole sulla Recherche, perché mi ripromettevo da tempo di approfondire il discorso su di lui. Ora so quali strade battere, ho un indirizzo dove andare a cercare la sua vena più profonda.

 Franca Alaimo - 28/10/2010 23:07:00 [ leggi altri commenti di Franca Alaimo » ]

Questa intervista offre molti spunti di riflessione oltre che punti di contatto fra le idee di chi sta scrivendo e quelle espresse dall’intervistato Daniele Santoro, il quale è abbastanza giovane, certo, eppure molto seriamente impegnato e autenticamente appassionato di poesia per non cadere nella trappola della modernità a tutti i costi.... mi piace, infatti, il suggerimento trasversale offerto a chi ama e scrive poesie di studiare ed amare i classici sempre modernissimi grazie alla loro universalità senza tempo e però sempre d’ogni tempo.
L’analisi della "crisi" dei lettori di poesia è superata brillantemente attraverso una riflessione che ebbi a fare anch’io forse su questo steeo blog; poiché anche secondo me i lettori sono aumentati e tuttavia a bella posta occultati o oscurati affinché la politica editoriale possa perseguire i suoi scopi strettamenti economici. Dové la distribuzione? é l’eterna domanda che mi faccio....Chi leggono i prof. universitari, e i critici?
Inoltre condivido l’opinione di Santoro che un commento ad una poesia dovrebbe essere giustificato e non limitarsi a semplici aggettivi ed ingenue affermazioni, del tipo: mi piace, bravo! che non servono a nulla. Se si vuole crescere tutti insieme bisogna essere sinceri, propositivi, e soprattutto bisogna avere qualcosa da dire!. Purtroppo non tutti sono aperti alle critiche, le quali ovviamente non devono essere velenose, ma serene e motivate e mirare alla crescita della Poesia come Arte. Siamo infine tutti accomunati dalla stessa passione!Quanti piccoli scontri, quante permalose ripicche si sono verificati, con dispacere di tutti, all’interno anche di questa rivista! Mi ricordo che il grande Peter Russell diceva: mi lodano tutti e troppo e la cosa mi preoccupa, Vuol dire che o io sono un genio ( e non credo di esserlo) oppure che loro sono spesso bugiardi.
Una cosa sommamente va evitata, secondo me, nell’agone poetico: la voce dei luttuosi e stridenti corvi.

 Loredana Savelli - 28/10/2010 22:40:00 [ leggi altri commenti di Loredana Savelli » ]

Interessante intervista. Ho letto con particolare attenzione la risposta relativa alla definizione di poesia e alla sua funzione (in ogni tempo). Ho colto la preoccupazione circa la possibilità che la crisi culturale porti ad una regressione antropologica. Mi fa riflettere quanto l’autore dice riguardo l’atteggiamento del lettore e del commentatore: l’invito a svelare in modo più puntuale, e assumendosene la responsabilità, il quid di cui una certa poesia è portatrice. In questo modo si rende un onesto servizio alla poesia e anche a se stessi in quanto si cresce in consapevolezza.
Grazie.

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