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Daria a Giulio. Un amore che non muore

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Daria a Giulio. Un amore che non muore..

Oh Giulio, dalle urticanti maniere, dalle sontuose baruffe,gran ballerino,gran fumatore, gran pensatore,stravagante viaggiatore, genio di suo,col quale ho iniziato la mia vita di coppia,d’amore, studiando,viaggiando!,tempi felici.
Felici? dunque fu in un’altra vita.
Udivo sulle prime ore del giorno i rumori della vita di mare,echi di partenze,richiami, disposizioni sintetiche,ordini vibrati, marinari e…il vento che ci girava intorno indolente,il cielo alto,cose perdute,lontane. Non morte.Ci passavamo di corsa, di gran carriera…
Ero alla ricerca idillica, bucolica (ingenua) della serenità, mai conseguita con te, irrequieto compagno,infelice e zingaro. Tu eri invece alla ricerca di te stesso e della tua coerenza di pensatore, sempre in discussione, bellum omnium contra omnes,indagante la vicenda dell'uomo che poggia sulla sua concreta umanità, irriducibile spirito critico, …un bisogno di trovare piani di discorso e metodi più positivi, più intersoggettivi, di poter fare della filosofia un onesto mestiere e non un modo per urlare le proprie passioni o, peggio, sfogare una specie di personale libido loquendi…dicevi.
Un amore difficile il nostro, dolcissimo e feroce….Un mondo problematico e sconosciuto, …il tuo modo di esprimerti,corrosivo e paradossale,la tua intelligenza,che m’incantò a lungo…..Fitte di felicità, al ricordo.
Sono stata in tanti luoghi nei primi tempi di matrimonio…che nemmeno me ne ricordo: monti e vallate del Nord. …Io dicevo:- Vorrei coltivare la terra. Fermiamoci qui.-
Tu …gridavi:- Alzati. Il mare è bagnato e la sabbia sabbiosa- E ricominciavamo a scappare.
Viaggiare, andare, cercare, scappare di nuovo,la marca della tua vasta inquietudine. L’altro aspetto della libertà. Ma anche i momenti salienti della nostra crisi.
Incomprensioni e consonanze impreviste,stupefacenti. Una felicità momentanea, una tregua, solo momenti silenziosi di pace,di luce tremante, difficili come “una spina che duole”
Fossi restato qui con me fino alla squillante perfezione d’autunno…, saremmo ancora qui a guardare il sole tutto grondante del lago. Ma avevi cominciato ad annoiarti.
-Troppa acqua, dicevi, niente bar: sigarette italiane svampite.-
Ancora acqua e luce sui paesaggi immemori,incantati, quasi miracolosi,ma paesaggio illusorio a rappresentare un rapporto d’amore- il nostro- mai banale, difficile come la vita di un fiore senza stelo che galleggia sull’acqua.
L’acqua nasconde e ombre, i fiori abbandonati a quella improvvisata culla galleggiano quasi come fosse una danza solitaria. La mia poesia- unica via di scampo alla disperazione- è diventata meditazione e lucida sofferenza.
Il nostro discorso non riprende,inghiotte silenzio e parole,il nostro discorso,che non s’avvia….
Quante sere sono state mute,così! Quante sere – con amara pietà mi ripeto –furono vere così ed ora sono solo ricordo che si abbella, che si fa quiete.
Che cosa è successo ai nostri sogni? Alla nostra vita? Ora viviamo una qui uno là e ci scagliamo lettere con fredda premeditazione, gelida cortesia.
Ah, vecchio Don Giovanni, tenero e stanco, ghermitore quasi senza impegno di soffici colombe!, lodatore delle altre ... Non tornerò con te. È finita la guerra in un aristocratico silenzio. Non voglio essere complice.
Ho pregato e ripregato la mia saggia ironia di salvarmi. Sono troppo civile per urlare. La decenza delle belle maniere!...Così la mia mente illuminista si scontra spesso con le irrazionali pretese dell’involontario muscolo che mi batte stancamente in petto.
M'alzo e m'avvio, calzo alle dita fredde guanti casuali e intanto–addio- dico, addio con le sole labbra. Non ritornerò con te per lo strazio veloce delle recriminazioni,ai tuoi sì avari,ai modi sbrigativi,mai adulanti, alla tua eterna inquietudine. Perciò ti scrivo….di quassù.
Ti scrivo tutto quello che ancora mi è rimasto:l’infinita stanchezza le curiosità inesplorate.
Sono una donna vecchia, ma non fatta più saggia. Dopo tanto odio ti ricordo infine con animo fraterno. E ti perdono: mi hai fatto certo del bene.
Il coltello dell’abbandono è crudele, come la sorte di un albero strappato dalla sua terra.
Io dolevo in ogni radice. Ero colei che infine si diserta dopo infinita guerra.
Ora non mi occorre più nulla. Davvero. Il tempo mi è stato amico.Che pace!
Eppure non sei felice. Perciò ti dico: a casa hai sempre un luogo,i tuoi libri,i tuoi dischi E la stanza più grande di tutta la mia casa.
Ma non credo che tornerai. Questo non me lo aspetto. Di tutte le mie cause perse tu, caro, sempre sei stato la causa più persa di tutte.

Non sono triste. Milano con le sue nebbie ovattate e consolanti mi conforta.
La casa è quella di sempre,le piante, il filodendro,salgono a stella su per la parete tra libri e quadri. Fuchs ronfa sul cuscino, silenzioso. Vive il suo lutto domestico.
Col cuore in festa vedo alzarsi un sole bianco e ricciuto come un crisantemo dalle nebbie del corso. Da dietro le nebbie autunnali e se ne va la tenera notte di sghembo
Sono in pace con la stagione E non mi aspetto nulla. Ho chiuso,con le parole-tra tanti eloquentissimi vuoti contenitori- e gridi d’amicizia eterna.
Irti e sottili all’aria albina della luna stanno i marmorei santi del duomo; fitti e bianchi su per guglie e vette dentro le ali strettamente involti -di esili pietre. Stanno, in ascolto!
In punta di piedi,ciascuno dal suo pinnacolo pronto,quei pallidi santi del duomo,in ascolto.

Vivo in questa città, mi è facile farmi una cadenza a tutte le cose qua attorno,alberi, case, rumori…
Le patisco a volte,ma più spesso ne sono beata.
Siedo ed ascolto, sono tanti e così lievi messaggi di cose che mi attorniano perpetuamente.E vivo, se non il mio, quel loro ritmo d’arnia. Il decanto del vissuto.
Me ne vado in giro come un cirro silenzioso. Mi piace stare alto sui tetti a galleggiare guardando.
Mi sento il palloncino fuggito dal suo grappolo: una cosa. Una dispari, felice di bere alla brocca della sua solitudine.

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