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“La regia di Scalfari sulle vicende politiche della sinistra non aiuta certo la ricerca di convergenze”: così, un “fedelissimo” di Enrico Berlinguer come Luciano Barca, commenta la pubblicazione dell’intervista del segretario del PCI su “Repubblica” del 2 agosto 1978.
Del resto la politica condotta da Berlinguer dal momento in cui abbandonando la maggioranza di “solidarietà nazionale” ripropone la “diversità” comunista, non in nome del leninismo ma della “questione morale” In questo periodo cresce il contrasto tra Napolitano e Berlinguer.
Quando nel gennaio 1984 Giorgio Napolitano si trovò nuovamente in contrasto con Enrico Berlinguer, Giorgio Ruffolo scrisse su “Repubblica” un articolo intitolato “Il caso Napolitano”. Di che si trattava? Giorgio Napolitano era già entrato in polemica con Berlinguer nell’estate 1981 dopo l’intervista del segretario del PCI del 28 luglio sulla “questione morale”. Come capogruppo comunista alla Camera, tra la fine del 1983 e l’inizio del 1984, Giorgio Napolitano aveva nuovamente suscitato il dissenso del segretario del PCI in relazione al modo di contrastare alla Camera l’azione del governo guidato dal segretario Socialista.
Napolitano anziché boicottare il dibattito sulla finanziaria e provocare l’esercizio provvisorio aveva con l’appoggio di Nilde Jotti presidente comunista della Camera, concordato il calendario dei lavori ottenendo in cambio maggiori risorse per gli enti locali e un incremento del fondo investimenti. Berlinguer lo avrebbe definito un “increscioso episodio”. Contro Napolitano erano allora insorti Renato Zangheri e Alfredo Reichlin della segreteria nazionale. Napolitano reagì spiegando le sue ragioni in un articolo sull’”Unità” del 4 gennaio intitolato “Il ruolo dei comunisti oggi in Parlamento”. In esso Napolitano aveva polemicamente giustificato un “confronto non settario che può portare risultati positivi”.
Giorgio Ruffolo era intervenuto il 18 gennaio come esponente della sinistra socialista a sostegno della posizione assunta dal capogruppo comunista alla Camera.
Il contrasto tra l’arroccamento di Berlinguer e la tessitura di rapporti di Napolitano rispecchia una dialettica di “lungo corso” in seno al PCI.
In Berlinguer, vi è il primato della tradizione “centrista”. Nel comitato centrale del novembre 1979 Berlinguer volle puntualizzare in polemica con la “destra” di Giorgio Amendola con questa argomentazione: non so cosa sarebbe avvenuto, da trentacinque anni a questa parte, se il nostro partito non avesse avuto sempre a dirigerlo un “centro” Essere il centro affermava Berlinguer non significa essere equidistanti, significa, di volta in volta, combattere contro quegli scarti, quelle incoerenze rispetto alla linea del partito, che si manifestano, e che si rivelano, ora in un senso ora in un’altro. Ai lettori il giudizio.
Giorgio Napolitano, cresciuto nella realtà campana come segretario di federazione, consigliere comunale e parlamentare secondo due direttrici: rapporti unitari con gli altri partiti e analisi della situazione economica. Con tutti i suoi limiti, contraddizioni ed errori la storia di Napolitano nel PCI suscitano rispetto e simpatia per due ragioni: il livello culturale e l’indiscutibile coerenza politica.
La traversata da Botteghe Oscure al Quirinale (Rizzoli, 425 pagine, 18 euro) di Paolo Franchi da leggere per comprendere le dinamiche.
La questione di fondo per mio conto, da Socialista, non è quella di aver avuto sufficiente coraggio oppure no, ma riguarda le ragioni per cui le posizioni “riformiste-miglioriste” nel PCI non sono state popolari.
Il traguardo di dichiarare il PCI parte integrante della sinistra europea fu raggiunto nel Congresso di Firenze del 1986 grazie ad un’azione di vertice.
Berlinguer morì l’11 giugno 1984. L’intervento che in quell’assise riscosse la più grande ovazione fu quello di Pietro Ingrao. La “sinistra europea” nell’interpretazione di Ingrao erano “i movimenti” (pacifisti, ecologisti e femministi, ecc,) e non i partiti dell’Internazionale socialista. Così come sempre in quel periodo della segreteria Natta Giorgio Napolitano riuscì ad introdurre nella Direzione del PCI – per la prima volta il tema del debito pubblico. Non senza registrare crisi di rigetto.
Mi chiedo: come mai nel popolo di tradizione comunista e poi di identità postcomunista l’alternativa “escatologica” di Berlinguer ha scaldato gli animi e ha trascinato consensi mentre l’alternativa “politica” è risultata sostanzialmente minoritaria ed “impopolare”.
Si dovrebbe guardare con occhio più attento alla mancanza di coraggio che vi è stata nella sinistra italiana nei confronti di posizioni irrealistiche ed estremiste. Non è una questione di casi personali. Nella storia del comunismo e del postcomunismo bisogna anche tener presente la “mancanza di coraggio” come ricordava Giorgio Amendola: non solo della classe politica, ma pure della cosiddetta società civile di sinistra.

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