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Maria Teresa Infante

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L’autrice qui intervistata è Maria Teresa Infante, seconda classificata al Premio letterario “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, VI edizione 2020, nella Sezione A (Poesia) con “Evasioni (in)certe

 

 

Ciao Maria Teresa, come ti presenteresti a chi non ti conosce? Qual è la tua terra di origine?

 

Intanto ringrazio la Redazione per questo approccio che mi permette di presentarmi anche se parlare di se stessi non è mai semplice. Sono nata e vivo a San Severo in provincia di Foggia, nella splendida pianura di Capitanata. Mare, campagne e sole sono uno scenario di cui non potrei fare a meno. Una vita apparentemente tranquilla per chi mi conosce poco (sposata e con due figli meravigliosi, Michele di 34 anni e Marika di 30) ma piena di risvolti tali da poterci scrivere un romanzo, cosa che in effetti ho fatto – dosando realtà e fantasia ­­– di prossima pubblicazione. Non riuscirei a concepire un’esistenza senza un libro accanto ma mai avrei pensato di scriverne a mia volta. Da bambina, rubacchiavo quotidiani al parentado e sognavo di diventare giornalista. L’eccessiva sensibilità, che considero dote e maledizione al contempo, mi ha spinta poi verso la poesia; per il giornalismo in parte il sogno si è avverato. Ho un trascorso da giocatrice di volley e allenatrice; quando le giunture hanno cominciato a cedere evidentemente sono cambiate le prospettive e ho riversato energie in altra maniera. Ho un bisogno costante di obiettivi da raggiungere e progetti da inseguire altrimenti non riuscirei ad alzarmi neanche dal letto al mattino.

 

 

Sei tra i vincitori del Premio “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, perché hai partecipato? Che valore hanno per te i premi letterari? Che ruolo hanno nella comunità culturale e artistica italiana?

 

Ritrovarmi tra i vincitori del Premio potrei definirla una sorpresa “sperata.” Credo di essermi iscritta al sito circa tre anni fa considerandolo uno spazio poetico interessante con autori di rilievo. Amo cimentarmi nei sani confronti con il giusto approccio, cioè con entusiasmo ma senza eccessive aspettative. Ho inviato poesie che ritenevo all’altezza di un contesto di prestigio e per questo non posso che sentirmi onorata del risultato.

Considero un concorso poetico una sfida solo con me stessa, ottenere un riconoscimento non è surclassare qualcuno ma aver superato un altro limite che mi ero autoimposta; se “perdo” mi impegno per fare meglio, “mi alleno” forte dei retaggi di un trascorso sportivo, in cui perdere non è mai una sconfitta ma uno dei punti di partenza. Non siamo mai migliori di nessuno, ognuno di noi ha la sua bellezza intrinseca. Vincere significa solo che in quel momento, con quelle liriche, sei riuscita a dialogare con il lettore (giuria) e a farti ascoltare.

Oggigiorno, forse più di ieri, vista la scarsa considerazione in cui è tenuto il mondo della poesia, credo che anche un riconoscimento in un Premio poetico “accreditato” possa essere un valore aggiunto, magari anche una maniera, come in questo caso, per farsi conoscere. Inoltre amo aprirmi per avere un riscontro e capire in che maniera vengono recepiti i miei scritti. D’altronde, perché no? In fondo esistono concorsi in ogni campo, anche in quello lavorativo e come qualcuno disse “gli esami non finiscono mai.” Aggiungo però che partecipo a pochi Premi, selezionando quelli che, a mio parere, si adoperano seriamente e a vantaggio della cultura.

 

 

Quali sono gli autori e i testi sui quali ti sei formato e ti formi, che hanno influenzato e influenzano la tua scrittura?

 

Sono sempre stata una lettrice famelica il che ha giocato a mio vantaggio nel non assimilare influenze specifiche. L’amore per la poesia nasce sui banchi di scuola con Leopardi (anche se lo capirò in seguito) e ad oggi sono tanti gli autori che amo nella loro diversità, potrei citare Caproni o Raboni, Pozzi o Neruda, Hikmet e Rosselli, Bukowski e Borges ma farei un torto a molti altri ancora. Non posso non citare Terzani “il viaggiatore” ma ciò che reputo sia stato “formativo” per la mia scrittura è lo studio della filosofia. Confrontarti con il libero pensiero, spinge a riflessioni di natura universale, all’accettazione del dubbio come entità indispensabile, al superamento dei limiti della non conoscenza in un continuo esercizio mentale che, successivamente avviene, tuo malgrado. Parti da Platone, Aristotele, arrivi a odiare Kant e Hegel quando devi preparare le tesine per poi capire, a distanza, quanto bene ti abbiano fatto. Ad oggi seguo il prof. U. Galimberti, P. Singer, l’attualissimo affabulatore Peter Sloterdijk oltre a un caro amico il prof. E. Marco Cipollini, le cui pubblicazioni trovo interessanti e fruibili al lettore attento. Amo spaziare, anche in questo caso.

 

 

Secondo te quale “utilità” e quale ruolo ha lo scrittore nella società attuale?

 

Se il libro esiste lo deve allo scrittore e i libri sono un dono dal valore inestimabile a vari livelli. Scrivere è semplice, il difficile è traslare il proprio pensiero al lettore, renderlo fruibile, attraente, erotico (citando U. Galimberti). Quando questo accade lo scrittore ha assolto all’importante funzione del dialogo, della comunicazione, diviene un tramite tra il sé e gli altri, e il sé diventa universalità. Ogni epoca ha avuto i suoi grandi “comunicatori” che ci hanno lasciato eredità di cui possiamo ancora godere. Una società senza libri, ergo scrittori, sarebbe sterile e già morta e la nostra società agonizzante credo possa sostenersi solo aggrappandosi alla cultura e alla conoscenza per non sprofondare ancor più nelle sabbie mobili in cui è invischiata. L’uomo deve riappropriarsi della capacità del libero pensiero e uno scrittore può essere considerato un “servitore”, può aiutare a scuotere le menti e le coscienze: uno stimolo, oltre che un tramite.

 

 

Come hai iniziato a scrivere e perché? Ci tratteggi la tua storia di scrittore, breve o lunga che sia? Gli incontri importanti, le tue eventuali pubblicazioni.

 

Non c’è un inizio, l’ho sempre fatto; carta, penna e libri erano i miei giochi preferiti. È stata un’evoluzione naturale, di pari passo con la crescita e la maturazione ma scrivere era un qualcosa da dover nascondere per pudore affinché i miei pensieri non venissero letti. La poesia è comparsa invece all’improvviso, in seguito a un momento buio, tetro, senza uscita e mi ha offerto la possibilità di comunicare in una maniera diversa, mi ha liberata dalla timidezza di fondo e dalle paure. Ecco, per me la poesia è liberazione. Riporto gli ultimi versi di una mia lirica “rinascere è una fatica immane / morire è stato semplice / come non puoi capire.”

L’accesso a un portatile è giunto in aiuto al mio disordine naturale; ho imparato così a catalogare conservare, salvare e poi con un gesto d’incoscienza la mia prima pubblicazione nel 2012 per avere tra le mani una creatura di carta che fosse solo mia. Il titolo “Quando parlerai di me” è una dedica ai miei figli. Pensavo sarebbe finita lì, invece è stato solo l’inizio. Fu come entrare in un corridoio in cui una porta ne apriva un’altra, di volta in volta, con esperienze e conoscenze diverse e stimolanti. Finalmente sapevo cosa farne di tutto il caos che avevo in testa. Avevo trovato il metodo.

Sono nate così sette sillogi poetiche, di cui una pubblicata e distribuita in Serbia (in cui sono presente in tante antologie letterarie); una raccolta di poesie per bambini “Rap di-verso”, un romanzo “Il richiamo” e cinque antologie contro la violenza di genere e in difesa dei diritti dei minori che hanno dato vita alla Collana “Ciò che Caino non sa”.

Fondamentale è stato anche l’incontro, agli esordi, con Massimo Massa (BA) grazie al suo neonato sito poetico in cui fui tra i primi iscritti. Cominciammo a consigliarci, consultarci e nacque un sincero rapporto di stima e amicizia – cosa rara tra un uomo e una donna – che perdura ancor oggi a dieci anni di distanza. Siamo diventati collaboratori fondando l’associazione culturale L’Oceano nell’Anima insieme a un’altra cara amica Barbara Agradi (PV) con all’interno la casa editrice Oceano Edizioni e il Premio accademico internazionale di letteratura contemporanea L. A. Seneca, affiancato dall’Accademia delle Arti e delle Scienze Filosofiche di Bari e ancora il giornale on line OceanoNews e l’omonima rubrica letteraria mensile.

 

 

Come avviene per te il processo creativo?

 

Le mie poesie sono un atto naturale, spontaneo. Nascono così come le riporto nei miei libri, senza costrutti artificiosi, di getto. Anche la metrica, spesso presente, è una mia caratteristica innata, dettata da una musicalità interiore. Eppure non sono frutto di improvvisazione, tutt’altro; sono la risultanza di un profondo esame su me stessa o sulle cose del mondo che sento sulla mia stessa pelle; sono la sintesi, la tesina di una “logica sentimentale” codificata in versi. Un rigetto liberatorio e catartico che dopo il compimento, soddisfa.

 

 

Quali sono gli obiettivi che ti prefiggi, se ci sono, con la tua scrittura?

 

Nessun obiettivo prefissato; scrivere mi appartiene. Sarebbe come chiedermi “Perché bevi?” “Perché ho sete.” Tutt’al più è il tentativo di comunicare, di uscire dalla solitudine di cui non ci rendiamo conto, così immersi in una moltitudine di indifferenti; un’opportunità di dialogo, di svelamento. L’atto di coraggio che mi ha salvata.

 

 

Secondo il tuo punto di vista, o anche secondo quello di altri, che cos’ha di caratteristico la tua scrittura, rispetto a quella dei tuoi contemporanei?

 

Questa è una domanda “tendenziosa” (sorrido) perché riesco a parlare in relazione solo a me stessa. Potrei dire che ogni mia poesia racchiude in sé una storia, quasi fosse una narrazione in versi con il suo prologo, il climax e l’epilogo. Non lascio mai il lettore in sospeso, so da dove parto e dove voglio arrivare, servendomi molto delle metafore perché credo che i messaggi migliori siano quelli che si lasciano percepire, supportati da emozioni e vissuti personali. Potrei aggiungere che è “onesta.” La poesia prima si vive poi si scrive.

 

 

Si dice che ogni scrittore abbia le sue “ossessioni”, temi intorno ai quali scriverà per tutta la vita, quali sono le tue? Nel corso degli anni hai notato un’evoluzione nella tua scrittura?

 

L’evoluzione è sinonimo di crescita e maturazione, sarebbe preoccupante se non avvenisse. Io stessa rimango meravigliata dai cambiamenti e dalla mutevolezza della mia scrittura, sempre diversa, mai simile a se stessa. Non so mai cosa e come scriverò domani. Più che una scrittrice mi piace definirmi per questo una “creativa”, seguo l’istinto, l’ispirazione, il miraggio che si profila dinanzi ai miei occhi. Ho sempre più progetti in corso d’opera e li porto avanti a seconda dell’umore, dello stato d’animo, delle esigenze interiori. Non tiro mai la corda, aspetto che sia il momento giusto. Ogni cosa conosce il tempo del suo accadimento. Ed è anche per questo che non credo di essere ossessionata da tematiche particolari; c’è il periodo intimistico e c’è quello in cui il sociale prende il sopravvento. Ho scritto e pubblicato molto contro la violenza di genere e verso il mondo dell’infanzia e ho sentito su di me tutto il peso di quanto riversavo sui fogli. Un lavoro durato anni che mi ha “sfiancata”, frutto anche di studi e aggiornamenti continui.

 

 

Hai partecipato al Premio Babuk nella sezione Poesia, scrivi anche in prosa? Se no, pensi che proverai?

 

Ho sempre scritto in prosa poi la poesia ha preso il sopravvento, da tiranna e la pubblicazione del mio primo romanzo è avvenuta solo successivamente, nel 2017 con “Il richiamo” che a dire il vero mi ha gratificata tanto, essendo stato apprezzatissimo. I romanzi hanno un “pubblico” più ampio, è risaputo. Ho al palo altri due romanzi, già terminati, in attesa del momento propizio per la pubblicazione. Inoltre scrivo per il giornale della mia città “Il Corriere di San Severo” con collaborazioni passate anche con “Il corriere nazionale” e “Il Corriere di Puglia e Lucania, oltre a vari blog letterari. Sono caporedattore del giornale on-line OceanoNews in cui curo anche una rubrica personale.

 

 

Quanto della tua terra di origine vive nella tua scrittura?

 

I profumi, i colori, la bellezza della mia terra sono spesso presenti insieme all’amarezza e alla malinconia di ciò che era e non sarà più. Anche il romanzo pubblicato è pura espressione della mia territorialità con una narrazione che tratta, in maniera atipica, di emigrazione, donne, amori, senso di appartenenza e antico orgoglio; scrivere per ricordare e continuare ad amarci. La mia terra ha radici profonde in me, che nulla potrà estirpare. Una terra che fa soffrire nel vederla morire in tutta la sua bellezza. Ne parlo e gli occhi mi diventano lucidi. L’ho elogiata in molte mie poesie.

 

 

Qual è il rapporto tra immaginazione e realtà? Lo scrittore si trova a cavallo di due mondi?

 

La fantasia è il mio motore ma non potrebbe prescindere dal circondario come base di partenza. Interpreto la realtà rendendola fantastica e trasformo l’immaginazione in realtà cercando di annullare i confini tra le due condizioni. Una mera descrizione diverrebbe cronaca senza l’intervento della creatività.

 

 

Chi sono i tuoi lettori? Che rapporto hai con loro?

 

Con tanti miei lettori, cioè quelli che mi seguono da anni ho instaurato dei rapporti di amicizia, solidi e duraturi nel tempo. Ho un’educazione di fondo improntata alla stima e al rispetto per l’altro, a maggior ragione per chi si prende la briga di leggermi e degnarmi della sua attenzione e credo che questo venga percepito. Se veniamo considerati scrittori lo dobbiamo solo a loro e cerco di ringraziali ogni volta che la situazione lo permette.

 

 

“Ogni lettore, quando legge, legge sé stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in sé stesso”. Che cosa pensi di questa frase di Marcel Proust, tratta da “Il tempo ritrovato”?

 

È una profonda verità soprattutto per quanto concerne la poesia; di solito piace una poesia in cui ci si compenetra, che funge da molla ad emozioni sopite o dimenticate, a ricordi narcotizzati o repressi. È per questo che considero il poeta un nobile comunicatore “d’interni.” Non a caso il titolo della mia ultima silloge è “Collisione d’interni” (Il Convivio Editore, 2019)

 

 

Quali sono gli indicatori che utilizzi nel valutare, se così ci è permesso dire, un testo? Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche di una buona scrittura? Hai mai fatto interventi critici? Hai scritto recensioni di opere di altri autori?

 

Credo di avere recensito oltre cinquanta libri tra narrativa e poesia e i criteri sono i più disparati ma essenzialmente rifuggo la banalità e l’ovvietà. Dando per scontato una buona cultura di base, “tutto è già stato detto” la differenza consiste nella specificità, nell’originalità con cui si riesce a trattare argomenti da angolazioni sempre nuove e diverse. Faccio parte della Commissione del Premio Nazionale “N. Zingarelli” che, in questi anni, mi ha permesso di allenare “l’occhio” per quanto riguarda la narrativa edita; a volte basta la lettura di poche pagine per comprendere la qualità dello stile letterario, delle abilità linguistiche, del costrutto o della validità della trama. Non è mai gradevole valutare, ancor più in un concorso di poesie in cui le emozioni sono immediate e impattanti; cerco di porre un muro che mi spinga a considerare il testo in sé, senza pensare alla mano che lo ha scritto, cioè alla persona che c’è dietro altrimenti mi sentirei in forte difficoltà, per quel senso di rispetto di cui accennavo.

 

 

In relazione alla tua scrittura, qual è la critica più bella che hai ricevuto?

 

Confesso di averne ricevute tante, anche attraverso recensioni spontanee di cui mi sono sentita onorata, ma vorrei citare un episodio atipico.

Qualche anno fa il professore preposto a relatore della mia silloge “Il Viaggio” mi disse “Se non ti conoscessi avrei pensato che questo libro sia stato scritto da un uomo.” Il professore è un teologo, filosofo, era appena rientrato da una conferenza a Roma con una platea di 300 ascoltatori e subendo un po’ la sua caratura intellettuale lo presi come un complimento chiedendogli “In che senso”. Rispose “perché le donne scrivono poesie ‘svolazzanti’” accompagnando la frase con un cenno della mano “le tue poesie oltre ad avere cuore denotano una mente fervida e attenta.” Un complimento a suo modo ma che mi ha in parte confusa essendo anch’io un appartenente al genere femminile.

 

 

C’è una critica “negativa” che ti ha spronato a fare meglio, a modificare qualcosa nella tua scrittura al fine di “migliorare”?

 

Sono il peggior critico di me stessa, mi metto sempre in discussione. Critiche negative non me ne sono giunte direttamente ma di certo ce ne saranno state e ce ne saranno ancora credo, come è ovvio che sia. Nessuno ne è immune. Invece sono stata oggetto di un paio di episodi imbarazzanti e divertenti allo stesso tempo in cui mi è stato chiesto pubblicamente “perché cavolo voi poeti scrivete cose incomprensibili e non vi fate mai comprendere da chi legge?” Mi sono offerta di spiegare, abbiamo dialogato, ci siamo confrontati e ora quelle due persone sono miei amici da anni e leggono i miei libri.

 

 

A cosa stai lavorando? C’è qualche tua pubblicazione in arrivo?

 

Credo di avere oltre 500 poesie inedite che pian piano sto cercando di selezionare per future pubblicazioni e so già che ci sarà un “abbattimento” da mattanza. Come ho già detto, sono severa con me stessa. Al momento sto limando per l’ennesima volta il mio secondo romanzo “L’Arma”. Vorrei pubblicarlo in autunno. Una narrazione che, partendo da una base autobiografica vuole evidenziare problematiche e risvolti psicologici a carico dei figli – soprattutto se molto piccoli – che subiscono il trauma dello sgretolamento famigliare in seguito alla separazione dei genitori. Un alibi forse, per parlare di una tenera quanto sofferta storia d’amore.

 

 

Quali altre passioni coltivi, oltre la scrittura?

 

Nessuna, soprattutto per mancanza di tempo. I vari campi culturali in cui sono impegnata mi assorbono completamente e non mi permettono di dedicarmi ad altro, soprattutto tenendo conto che la cura della mia famiglia ha la priorità. Scrivo quasi sempre di notte e di giorno riesco a rubacchiare un po’ di tempo per mantenere la forma fisica (leggo i libri sulla cyclette per ottimizzare il tempo). L’unico punto fermo è sempre stata la scrittura, per altri hobby sono sempre stata instabile; non ho il pollice verde, sono una frana con i colori, ho abbandonato la chitarra quando ho capito che oltre il “giro di Do” non sarei mai andata; ho smesso la collezione di francobolli quando tra i vari album non mi raccapezzavo più… Se solo potessi tornerei sul campo di volley.

 

 

Hai qualcosa da dire agli autori che pubblicano i loro testi su LaRecherche.it? Che cosa pensi, più in generale, della libera scrittura in rete e dell’editoria elettronica?

 

La scrittura in rete, con le pagine e siti poetici sono lo specchio del mutamento della società contemporanea, in cui il flusso di notizie viaggia veloce e azzera le distanze favorendo la comunicazione e la diffusione dei messaggi. Manca il famoso filtro, certo, ma questo vale per tutti e tutto, ed è sempre più difficile distinguere qualità e competenze, visto l’enorme proliferare di testi in cui ognuno promuove se stesso. Ma continuo a credere che il vero riscontro si abbia nei contesti reali, i social assolvono bene alla funzione di vetrina. A deludere è l’editoria in generale, anch’essa uniformata al potere del consumismo e alle dure leggi del mercato e del profitto. L’editore non va più alla ricerca di talenti sommersi ma del personaggio del momento o peggio ancora del personaggio con “scandalo annesso.”

Per gli acquisti, quando è possibile, cerco di rifornirmi direttamente presso il mio libraio. Credo dovremmo farlo tutti perché le librerie rischiano di scomparire, dobbiamo aiutarle a rimanere in vita. Anche quando non hanno il libro a disposizione lo ordino e arriva dopo pochi giorni.

Agli autori de “LaRecherche.it” invece vorrei fare dei complimenti sinceri, ho letto liriche di rilievo, davvero degne di attenzione.

 

 

Vuoi aggiungere qualcosa? C’è una domanda che non ti hanno mai posto e alla quale vorresti invece dare una risposta?

 

Ho davvero poco da aggiungere, siete stati molto incisivi e vi ringrazio per l’opportunità concessami ma questa intervista avviene ai tempi del Corona virus e mi verrebbe da chiedervi “come state?” sperando in una risposta positiva corale. Ecco, per essere provocatoria, è una domanda che mi viene rivolta raramente. In questo periodo lo sto chiedendo a tanti, amici, parenti, contatti virtuali: “Come stai?” A me solo tre persone hanno sentito la necessità di chiedermelo. Ho il brutto vizio di riflettere; ci lamentiamo per la mancanza di un abbraccio, una stretta di mano, del contatto umano. Eppure pare che a mancarci siano le futilità, l’happy hour, l’aperitivo e l’apericena, non il contatto umano. Il contatto umano avviene anche senza toccarsi. Siamo proiettati sempre più verso noi stessi e non verso gli altri. Oppure penso troppo in grande e la verità è più semplice, la rigetto perché fa male. L’amarezza incalza mentre tra la gente salgono le polemiche, i giudizi, le critiche e disgreghiamo piuttosto che unire. Non mi ci ritrovo.

Apro il pc, penso per non pensarci. Mi rilasso. Ritrovo il silenzio. Scrivo. Torno con la mente alle vecchie, care lettere:

“Come stai? Io bene, così spero anche di te.”

 

 

Grazie!

 

 Maria Teresa - 11/11/2020 01:43:00 [ leggi altri commenti di Maria Teresa » ]

Una delle rare volte in cui ringraziare non è doveroso ma è un atto sentito e spontaneo. L’arte nobile della poesia è così distante da ogni logica, da ogni punto d’arrivo - si parte senza conoscerne la destinazione, perché non importa il dove ma il come - che ogni volta mi si attribuisce "l’appellativo di poeta" percepisco il brivido dell’inaspettato, del dono inatteso e mi dico che quando l’emozione giunge abbiamo ancora versi da poter offrire verso quel dove sconosciuto a noi stessi. Grazie di cuore Sandro per le tue belle parole, sono un corroborante speciale per lo spirito. Onorata è dire poco

 Sandro Angelucci - 08/11/2020 17:46:00 [ leggi altri commenti di Sandro Angelucci » ]

Maria Teresa Infante scrive con l’anima e leggere le sue poesie significa leggerla dentro. Non è cosa comune in tempi come i nostri! Lei sa ascoltare la poesia, si, perché prima di scriverla bisogna mettersi in ascolto dei suoi silenzi, di quanto ci "ditta dentro" - appunto - per dirla con il Poeta.
Le faccio anche in questa sede i miei più sinceri e convinti complimenti. Non è vero che la poesia è morta e non lo sarà mai finché ci saranno interpreti come la Poetessa del Tavoliere delle Puglie.

Sandro Angelucci

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