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E fu sera, e fu mattina

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L’aereo faceva ritorno dalla sua missione, ma il suo sistema di sganciamento non aveva vuotato completamente il carico di bombe.

 

Ne erano rimaste ancora tre che non potevano essere riportate alla base. La procedura era standard: gli ordigni non utilizzati dovevano essere sganciati prima del ritorno, non importava dove. Solitamente l’equipaggio in quei casi, poiché la missione era finita, li lasciava cadere in zone senza case, o con poche abitazioni perché non facessero altre vittime inutili, come utili dovevano essere invece quelle fatte nelle città che dovevano essere colpite.

L’incursione era stata nel pomeriggio e si tornava a casa che era quasi sera, comunque ancora si vedeva bene, si poteva fare un lancio avendo una certa cura di lanciarle in una zona giusta.

Si decise per farlo vicino a un piccolo colle, fuori dalla città più vicina; ci sarebbero state solo delle abitazioni sparse, ma il rischio era minimo.

“Procedura di sganciamento. 3,2,1 libere…”

 

Il fischio si sparse nella campagna, il terribile sibilo che annunciava l’arrivo dell’ordigno a terra, poi una di seguito all’altra due forti esplosioni che riecheggiarono fra le piantagioni di ulivo fino ad arrivare alla villa posta su di una collinetta tra due fiumiciattoli.

Niente era stato colpito, solo due grosse buche nel terreno e la terra smossa dalla deflagrazione.

“Ci siamo liberati delle bombe?” Chiese il comandante dell’aereo.

“Si signore, aereo vuoto”

“Via allora, si torna alla base…”

 

L’aereo, ripresa la sua rotta originaria dalla quale si era allontanato, tornava alla base da dove sarebbe decollato il giorno seguente.

E fu sera.

 

 

Nella tarda mattinata del giorno dopo, alcuni ragazzini delle famiglie sfollate dalla città nella villa, andarono a vedere dove fossero cadute quelle bombe che avevano sentito la sera precedente. Il rumore delle bombe lo conoscevano, purtroppo, ma la curiosità di vedere la grande buca fu più forte.

Sul terreno la distanza che separava la villa dalle buche era notevole, ma non avevano molto altro da fare, quei bambini.

 

Alla fine uno di essi trovò il primo cratere. Mentre stavano per esplorarlo la loro attenzione fu attirata da un grosso involucro di metallo che si scorgeva, scuro, su un piccolo prato verde.

Corsero tutti verso quella cosa strana.

 

Il primo, il più veloce del gruppetto, blandiva un grosso legno, come spada; voleva essere il primo a colpire il mostro grigio scuro. E così fece. Dopo due colpi, mentre gli altri si erano avvicinati, il terzo provocò l’esplosione della bomba inesplosa la sera prima.

Se ne salvarono pochi, di quel gruppetto, e chi non morì, ebbe danni permanenti alla vista e agli arti.  

 

All’aeroporto, negli stessi momenti, si approntava una nuova missione.  

“Controllate di nuovo bene il sistema di sganciamento, che ieri tre bombe non sono andate!” - Disse il comandante dell’aereo – “Non voglio seminarle tra i campi!”

E fu mattina.

 Giacomo Colosio - 06/09/2015 06:28:00 [ leggi altri commenti di Giacomo Colosio » ]

Bel racconto, ben scritto e, nel minimalismo della narrazione è invece celato il grande pathos che questo argomento racchiude. E’ servito anche, come se ce ne foss bisogno, a farmi incazzare ancor più con queste nazioni "altamente democratiche" che giocano a far la guerra come e più dei bambini. Holahola.

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