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14 - Celebrazione e idillio

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“Si erano persi una frase importante, con cui Walter aveva concluso il brindisi...”

(Un’osteria ai piedi delle Prealpi vicentine, 29/09/1979)

 

 

La trattoria poco sotto un colle e a metà strada fra due paesi era gremita come sempre il sabato sera, quando si avvicinava l’autunno e la prossimità dei monti rendeva fresco il clima anzitempo che altrove.

 

Avventori di ogni tipo la frequentavano, e quella sera una delle stanze era occupata da una compagnia straboccante di voci e bestemmie, canti vibranti fra il goliardico e il rivoluzionario, rutti, risate, rumore di stoviglie e tutto quanto poteva caratterizzare una brigata di extraparlamentari sulla trentina e il cui tasso alcolico era già abbastanza elevato al momento dell’arrivo.

 

Walter era il perno della situazione, l’anfitrione e il festeggiato per i suoi trentaquattro anni, verboso come da tempo non s’era visto. I suoi “cazzo, compagni” contrappuntavano qualsiasi suo discorso, fosse il far fretta a un cameriere o il commentare qualsiasi fatto, personale o politico.

 

Una nobile gara di bevute caratterizzava quel pasto a base di robuste portate contadine, gara nella quale erano testa a testa impegnati Danilo, Marò e quattro compagni che venivano da altri gruppi. Nessuno poteva fare a meno di notare come, da quando Violetta se n’era andata, Walter fosse tornato a essere quello di sempre, simpatico e accattivante, in bilico tra sfottò e inconcludenza, tra una furbizia di corte vedute e una superficialità che lo portava a sdrammatizzare ogni cosa. E che, da quando aveva trovato quel nuovo lavoro, aveva anche qualche soldo in più nelle tasche di cui non faceva mistero, soprattutto a favore dei suoi compagni: ai quali così non mancava mai un bicchiere pieno, quando si trovavano insieme.

 

Gigi cercava il modo di restare almeno un po’ con Edna, monopolizzata però dalle compagne del suo gruppo, che facevano crocchio a sé. Anche pensare alla scusa di un ballo, era inutile: cantare si cantava, ma due chitarre non valevano molto come orchestra da ballo e quindi avrebbe dovuto inventarsi dell’altro.

 

Che cosa lo attirava in lei? Si rispondeva, e rispondeva a qualcuno che aveva mangiato la foglia, che, visto che sembrava starci, una bella scopata ci sarebbe potuta sempre scappar fuori, e non sarebbe stato un peccato: si era accorto che alcuni dei compagni più anziani non la disprezzavano fisicamente e ricordava una sera a casa di Guglielmo, quando sia lui che la moglie avevano sostenuto che era l’unica ad essere un po’ equilibrata, in quel pollaio di erinni che era il Rosa Luxemburg.

 

Poteva bastare o c’era qualcos’altro? Ma Edna, cosa provava? Al tavolo vicino, uno degli ospiti in crisi etilica spazzolava via le stoviglie, per sfidare un Danilo altrettanto inciuccato a braccio di ferro. Ma i suoi pensieri non si interruppero. Se era così emancipata, così femminista, pensava Gigi, di certo non mirava a una relazione duratura, la minaccia più seria che una donna potesse portare a un uomo. Di sicuro, dunque, anche lei voleva solo darsi a un po’ di bel tempo.

 

Edna sarebbe voluta restare per tutto il resto della serata con Gigi, se quelle tre compagne, con le quali condivideva un po’ troppo di tutto, l’avessero voluta mollare almeno per mezzo secondo. Chi se ne fregava se non c’era musica per ballare? Se quei due compagni con le chitarre un po’ scordate non valevano certo un’orchestrina, non si poteva uscirsene fuori e ballare in silenzio nel cortile vicino agli alberi, inventandosi la musica nella testa?

 

Sapeva che cosa la attirava in lui. Era, in fondo, ingenuo: e perciò ancora buono e sincero, con gli ideali puliti per cui a volte veniva pure canzonato da qualcuno nel gruppo. Ed era magro, lucido nei movimenti come lei pensava dovesse essere il suo uomo.

 

Questo per lei bastava. Ma Gigi? Urla belluine, che segnavano il culmine dei brindisi dedicati a Walter, la distrassero da questi pensieri, e distrassero pure Gigi. Si ritrovarono accanto, nel vociare degli altri compagni, fra i tappi di prosecco che saltavano. Si guardarono negli occhi e uscirono assieme.

 

La mezzanotte era da poco passata e il buio entrava nel suo culmine: era già parecchio fresco, e questa era una buona scusa per stare vicini. Gigi ebbe la felice intuizione di stare zitto. Lei non disse molto e insieme raggiunsero uno dei sentieri che si dipartivano dalla piazzola dietro l’osteria e trovarono intimità ai piedi di un albero.

 

Si erano persi una frase importante con cui Walter aveva concluso il brindisi, e alla quale non tutti, a causa del baccano e dell’alcool tracannato, avevano dato il giusto peso: “Compagni, la prossima settimana ricominciamo a trovarci: è ora che questo gruppo organizzi qualcosa di serio e che mostriamo chi siamo, cazzo!”

 

 

 

(tratto dal romanzo breve "I pesci nel barile",

Vicenza Ed. Saecula 2013)

 Angelo Ricotta - 17/04/2016 21:20:00 [ leggi altri commenti di Angelo Ricotta » ]

Eh sì, i vecchi tempi prima della catastrofe! Anch’io all’epoca mi aggiravo d’estate sulle montagne del Trentino con amici e amiche. Una sera, in un rifugio del CAI, dopo cena ci eravamo messi a cantare. Avevamo due chitarre, la mia e quella di un ragazzo incontrato sul posto. Più in là c’era un’altra tavolata di soli ragazzi, credo fossero dei boyscout guidati da un prete. Appena ci sentirono cantare Guccini e De André anche loro attaccarono certi cori da parrocchia a squarciagola. Tracannando genepì fino alla nausea continuammo la tenzone canora fino a quando il gestore del rifugio non ci spense le luci.

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