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al testo proposto da Cristina Silvia Pellicone
Il poeta solitario
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O dolce usignolo che ascolto (non sai dove), in questa gran pace, cantare cantare tra il folto, là, dei sanguini e delle acace; t’ho presa — perdona, usignolo — una dolce nota, sol una, ch’io canto tra me solo solo, nella sera, al lume di luna. E pare una tremula bolla tra l’odore acuto del fieno, un molle gorgoglio di polla, un lontano fischio di treno... Chi passa, al morire del giorno, ch’ode un fischio lungo laggiù riprende nel cuore il ritorno verso quello che non è più. [p. 112 modifica] Si trova al nativo villaggio, vi ritrova quello che c’era: l’odore di mesi-di-maggio buon odor di rose e di cera. Ne ronzano le litanie, come l’api intorno una culla: ci sono due voci sì pie! di sua madre e d’una fanciulla. Poi fatto silenzio, pian piano, nella nota mia, che t’ho presa, risente squillare il lontano campanello della sua chiesa. Riprende l’antica preghiera, ch’ora ora non ha perchè; si trova con quello che c’era, ch’ora ora ora non c’è. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Chi sono? Non chiederlo. Io piango, ma di notte, perch’ho vergogna. O alato, io qui vivo nel fango. Sono un gramo rospo che sogna.
Giovanni Pascoli - Canti di Castelvecchio (1907)
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Arcangelo Galante
- 29/05/2020 08:28:00
[ leggi altri commenti di Arcangelo Galante » ]
Una proposta intensamente entusiasmante, quella presentata dall’autrice, sulla quale si dovrebbe scrivere molto. Il testo, interessante per la tematica affrontata dal Pascoli, fa parte di una importante raccolta di opere scritte, battezzate “I canti di Castelvecchio”, ispirate proprio all’omonima località, ove il poeta soggiornava. E lì, in siffatto luogo, l’anima di Giovanni Pascoli, irretita da peculiari pensieri, si interroga su questioni inerenti il mistero e l’angoscia del vivere. Il suo verseggio, semplice e diretto, riesce sempre a celebrare le emozioni scaturite da una qualsivoglia circostanza. Cosicché, le percezioni intime vengono veicolate, con immediatezza d’espressione, in una poetica che verrà definita “del fanciullino”, poiché il Pascoli si identifica nell’uomo in grado di regredire sino all’ infanzia, per essere bambino. Con tale approccio nei riguardi della realtà, il poeta farà conoscere, al mondo letterario, quegli aspetti introspettivi sgorgati dalla genuinità del proprio lato fanciullesco, accompagnati da uno spontaneo senso di stupore, tipici di un puerile animo, sempre colpito dal meravigliarsi d’ogni cosa. La metrica dell’opera letta è irregolare, tipica dello stile innovativo adoperato dal poeta e presenta l’uso di simboli, della campagna, della dimensione onirica, del timore di cosa si è nell’esistenza umana, espressioni di un inconscio desideroso di emergere con i naturali istinti posseduti. E altro ancora vi sarebbe da aggiungere, come riflessivi pareri, in merito alla pubblicazione intimamente legata al “nido” familiare. Grazie per la gradita condivisione!
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