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La Ballata della Ricciola

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La storia che ti sto per narrare,

 gentile lettore,

non è d’uopo che si narri tra gli umani

o tra chi

di almeno trentacinque gradi ha il cuore,

 ma in ogni caso te la confiderò per gentile concessione

della ricciola, ubicata sul fondale di porto San Nicola,

scogliera sola, senza portone.

Erano circa le sei meno un quarto del mattino

quel giorno la ricciola

aggiustatasi le squame ed il codino

fremeva nell’uscire da quel suo cantuccio per la grande occasione:

finalmente il gran ricciola l’aveva invitata ad uscire!

Quel pesce tanto caro sì… ma un po’ guascone!

Mentre si avviava verso le Ripe Rosse

proprio dietro al porto e alla scogliera,

le saltò il cuore in gola per colpa

del motore di un barcone che per poco con l’elica

non le tranciava il posteriore.

«I soliti assassini della domenica!» pensò

scorgendo a pelo d’acqua quel gommone

con sopra un padre, un figlio,

zio

e nipotone.

Riaggiustatasi la pinna, si avviò all’appuntamento

“Gran Bistrot Scarfariello”, tavoli d’alga

ma senza sgabello.

Passa e spassa, nuota e nuota, ma del gran ricciola

non si vedeva nemmeno che ne so, una pinna,

una squama,

una gota!

Stanca d’aspettare sotto quella ripa,

decise di smammare

per piantare in asso quel gran pesce

maleducato

e pure un po’ smargiasso.

Quando all’improvviso

 che ti vedo!

Una nuotata nota!

Il suo vecchio amante e amico

Tonnetto saltatore

Abitante di lido Mezzatorre,

scoglio rugoso, basso fondale.

«Ehi, bella Ricciola! Tu non sai cos’è accaduto!

Mentre nuotavo sulla sponda

vidi

su una barca un poco tonda,

il tuo amico Ricciolone…

Poverino! Adescato da quattro fessi su un gommone

con un amo assai tapino,

tu hai idea di che cos’era?

Era un piccolo bottone!»

«E dimmi,

Tonnarello,

dov’è che hai visto accadere tutto ‘sto fardello?»

chiese la scettica ricciola.

«Mentre tornavo da Baia Capitello, bella figliola!

Beh, io ora me ne vado, ma una cosa ti propongo:

puoi continuare ad aspettare in eterno

o venir con me. Tu lo sai,

son gentiltonno,

e non mi oppongo!».

Con la furia di un pesce spada

e la velocità di una raia,

la piccola ricciola non ascoltò neppure il tonnarello,

e dritta, con un guizzo, come un razzo,

si avviò verso Capitello.

Nuotò, nuotò, senza affogare

quando vide,

siluro in mezzo al mare,

il gommone galeotto

con attaccato ancora il traino

(o per meglio dir bottone)

adescator del ricciolotto.

In quel preciso istante

la più malsana idea come un lampo

a ciel sereno

le balenò per la mente:

addentare quel bottone,

rischiar il tutto ed il per tutto

per salvar quel ricciolone,

conosciuto sì per poco e per vociare

ma ben sicura fosse quello giusto da salvare.

Di buona lena e con gran dose di coraggio

la piccola ricciola morse preparata a quel dolore

quell’amo traditore,

tinteggiando l’acqua intorno

del suo sangue rosso colore.

«Ne abbiamo preso un altro!»

disse il figlio guardando con stupore

ciò che c’era sul fil di nylon

attaccato oltre il motore.

La ricciola malmenante

con crudezza dall’amo a forma di bottone

fu rimossa

e sbattendo le fauci rosse fu gettata

in una tinozza.

«È la prima ricciola che pigliamo!»

esclamò il vecchio zio.

Come?

Cosa?

Pensò la poveretta,

immolatasi per un’idea maledetta.

Il tonnetto nel frattempo aveva incontrato il ricciolone che,

 convinto da due parole belle e pronte

del saltatore traditore,

tornò nel suo branco di pesci stella,

credendo ingenuamente che  la sua bella

 gli avesse dato buca

per andare in giro con una sardella.

Bello, grasso e soddisfatto,

il tonnetto era convinto di aver mandato la sua ex

a sperdersi in qualche buca, in qualche porto,

in qualche anfratto,

ma mai si sarebbe aspettato di udire quanto segue

da un branco di alicette.

«Nuotate! Nuotate!

L’uomo ha preso la piccola Ricciola!»

Questa era la più grande fra tutte le disdette:

perché in fondo,

lui,

l’amava ancora.

Così il tonno

volò verso quello che era stato

il luogo del delitto

ed individuato l’aggressore,

o meglio

il gommone a motore,

pensò ad un modo di salvare il vecchio amore.

«Zio, dovevano chiamarmi “l’agugliatore”!»

«Si ma tu non fai niente! L’esca e l’amo li metto io… e che cazzo!»

In quel gran parlare,

avendo compreso il loro andazzo,

un’aguglietta viva per miracolo

dalla tinozza saltò in mare

partendo a razzo,

scontrandosi con il tonnetto che

non sapendo come effettuare il salvataggio

era quasi uscito pazzo.

«Fuggi amico, non rischiare!

Quegli umani han preso i miei fratelli,

una ricciola

ed una tracina di mare!»

«Amica Aguglia, devi dirmi dove tengono le prede!»

«In un secchio non coperto ci ammassavano…»

«Ma la ricciola era ancora viva?»

«Non lo so, troppe morti! Troppe invano!

Alcuni in mare li rigettavano.

“Son ancora troppo piccoli” dicevano…

ma sempre troppo tardi, perché ormai

la morte

avevan visto attraverso l’amo!».

Mentre pensava sul da farsi,

con l’aguglia ormai lontana,

vide a pelo d’acqua

un riflesso a babordo:

era una canna, era un’esca,

non più a traina

ma di fondo!

Pensò il tonno tra sé e sé

“Se strattono e butto a mare il pescatore,

nel frattempo

non veduto

con un colpo di coda ribalto barca,

secchio

e motore!”.

E così, quatto quatto,

lui morse quella lenza

e con rapidità la strattonò senza licenza.

Ma più scendeva

e più si accorgeva

che la stanchezza tanta era

ma il pescator giù non cadeva:

era la magica frizione

alleata della canna, nemica del pescione.

Stanco e senza forze

decise di rischiar l’estrema unzione.

Saltò

sobbalzò

morse la canna

e la spezzò… ma il pescator non si tirò.

Riuscì però nell’intento perché

dallo spavento

quell’allegra famigliola

partì a razzo con la barca

facendo cader a mare

il bottino sanguinolento.

Di tre aguglie, le due vive ripartirono

e la tracina finta morta in due minuti

si riprese.

«Ehi Ricciola, sono io, il tuo Tonnarello.

Dì qualcosa!»

Ma la ricciola non si mosse.

«Mi dispiace amico Tonno»

disse la tracina con un po’ di tosse

«Era già morta alla mia entrata.

Eravamo lì,

con lei,

in quel secchio più di sangue che di acqua:

se n’è andata dissanguata».

Non si sa il perché o il per come

ma quella notte il tonnarello,

forse per la colpa, il dispiacere, o il dolore,

si arenò a Mezzatorre

tra gli scogli e le alghe in riva al mare,

vicino un ristorante.

Una schiuma, un vociare,

ed il cuoco levatosi il grembiule

scese in acqua a controllare,

circondato dai passanti e villeggianti.

«Era vivo prima di spiaggiare!

Ho cercato a fatica di fargli riprendere il mare!»

Era morto.

Occhio spento e rivolto al cielo.

Né una lacrima, né un pensiero.

Solo stelle, buio e sangue.

Così finisce chi dopo uno scherzo finito male si accorge di amare ancora.

Amare davvero.

 Ivan Pozzoni - 07/01/2018 15:34:00 [ leggi altri commenti di Ivan Pozzoni » ]

Mi interessa molto.

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