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al testo di Alessandro Amoresano
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La storia che ti sto per narrare, gentile lettore, non è d’uopo che si narri tra gli umani o tra chi di almeno trentacinque gradi ha il cuore, ma in ogni caso te la confiderò per gentile concessione della ricciola, ubicata sul fondale di porto San Nicola, scogliera sola, senza portone. Erano circa le sei meno un quarto del mattino quel giorno la ricciola aggiustatasi le squame ed il codino fremeva nell’uscire da quel suo cantuccio per la grande occasione: finalmente il gran ricciola l’aveva invitata ad uscire! Quel pesce tanto caro sì… ma un po’ guascone! Mentre si avviava verso le Ripe Rosse proprio dietro al porto e alla scogliera, le saltò il cuore in gola per colpa del motore di un barcone che per poco con l’elica non le tranciava il posteriore. «I soliti assassini della domenica!» pensò scorgendo a pelo d’acqua quel gommone con sopra un padre, un figlio, zio e nipotone. Riaggiustatasi la pinna, si avviò all’appuntamento “Gran Bistrot Scarfariello”, tavoli d’alga ma senza sgabello. Passa e spassa, nuota e nuota, ma del gran ricciola non si vedeva nemmeno che ne so, una pinna, una squama, una gota! Stanca d’aspettare sotto quella ripa, decise di smammare per piantare in asso quel gran pesce maleducato e pure un po’ smargiasso. Quando all’improvviso che ti vedo! Una nuotata nota! Il suo vecchio amante e amico Tonnetto saltatore Abitante di lido Mezzatorre, scoglio rugoso, basso fondale. «Ehi, bella Ricciola! Tu non sai cos’è accaduto! Mentre nuotavo sulla sponda vidi su una barca un poco tonda, il tuo amico Ricciolone… Poverino! Adescato da quattro fessi su un gommone con un amo assai tapino, tu hai idea di che cos’era? Era un piccolo bottone!» «E dimmi, Tonnarello, dov’è che hai visto accadere tutto ‘sto fardello?» chiese la scettica ricciola. «Mentre tornavo da Baia Capitello, bella figliola! Beh, io ora me ne vado, ma una cosa ti propongo: puoi continuare ad aspettare in eterno o venir con me. Tu lo sai, son gentiltonno, e non mi oppongo!». Con la furia di un pesce spada e la velocità di una raia, la piccola ricciola non ascoltò neppure il tonnarello, e dritta, con un guizzo, come un razzo, si avviò verso Capitello. Nuotò, nuotò, senza affogare quando vide, siluro in mezzo al mare, il gommone galeotto con attaccato ancora il traino (o per meglio dir bottone) adescator del ricciolotto. In quel preciso istante la più malsana idea come un lampo a ciel sereno le balenò per la mente: addentare quel bottone, rischiar il tutto ed il per tutto per salvar quel ricciolone, conosciuto sì per poco e per vociare ma ben sicura fosse quello giusto da salvare. Di buona lena e con gran dose di coraggio la piccola ricciola morse preparata a quel dolore quell’amo traditore, tinteggiando l’acqua intorno del suo sangue rosso colore. «Ne abbiamo preso un altro!» disse il figlio guardando con stupore ciò che c’era sul fil di nylon attaccato oltre il motore. La ricciola malmenante con crudezza dall’amo a forma di bottone fu rimossa e sbattendo le fauci rosse fu gettata in una tinozza. «È la prima ricciola che pigliamo!» esclamò il vecchio zio. Come? Cosa? Pensò la poveretta, immolatasi per un’idea maledetta. Il tonnetto nel frattempo aveva incontrato il ricciolone che, convinto da due parole belle e pronte del saltatore traditore, tornò nel suo branco di pesci stella, credendo ingenuamente che la sua bella gli avesse dato buca per andare in giro con una sardella. Bello, grasso e soddisfatto, il tonnetto era convinto di aver mandato la sua ex a sperdersi in qualche buca, in qualche porto, in qualche anfratto, ma mai si sarebbe aspettato di udire quanto segue da un branco di alicette. «Nuotate! Nuotate! L’uomo ha preso la piccola Ricciola!» Questa era la più grande fra tutte le disdette: perché in fondo, lui, l’amava ancora. Così il tonno volò verso quello che era stato il luogo del delitto ed individuato l’aggressore, o meglio il gommone a motore, pensò ad un modo di salvare il vecchio amore. «Zio, dovevano chiamarmi “l’agugliatore”!» «Si ma tu non fai niente! L’esca e l’amo li metto io… e che cazzo!» In quel gran parlare, avendo compreso il loro andazzo, un’aguglietta viva per miracolo dalla tinozza saltò in mare partendo a razzo, scontrandosi con il tonnetto che non sapendo come effettuare il salvataggio era quasi uscito pazzo. «Fuggi amico, non rischiare! Quegli umani han preso i miei fratelli, una ricciola ed una tracina di mare!» «Amica Aguglia, devi dirmi dove tengono le prede!» «In un secchio non coperto ci ammassavano…» «Ma la ricciola era ancora viva?» «Non lo so, troppe morti! Troppe invano! Alcuni in mare li rigettavano. “Son ancora troppo piccoli” dicevano… ma sempre troppo tardi, perché ormai la morte avevan visto attraverso l’amo!». Mentre pensava sul da farsi, con l’aguglia ormai lontana, vide a pelo d’acqua un riflesso a babordo: era una canna, era un’esca, non più a traina ma di fondo! Pensò il tonno tra sé e sé “Se strattono e butto a mare il pescatore, nel frattempo non veduto con un colpo di coda ribalto barca, secchio e motore!”. E così, quatto quatto, lui morse quella lenza e con rapidità la strattonò senza licenza. Ma più scendeva e più si accorgeva che la stanchezza tanta era ma il pescator giù non cadeva: era la magica frizione alleata della canna, nemica del pescione. Stanco e senza forze decise di rischiar l’estrema unzione. Saltò sobbalzò morse la canna e la spezzò… ma il pescator non si tirò. Riuscì però nell’intento perché dallo spavento quell’allegra famigliola partì a razzo con la barca facendo cader a mare il bottino sanguinolento. Di tre aguglie, le due vive ripartirono e la tracina finta morta in due minuti si riprese. «Ehi Ricciola, sono io, il tuo Tonnarello. Dì qualcosa!» Ma la ricciola non si mosse. «Mi dispiace amico Tonno» disse la tracina con un po’ di tosse «Era già morta alla mia entrata. Eravamo lì, con lei, in quel secchio più di sangue che di acqua: se n’è andata dissanguata». Non si sa il perché o il per come ma quella notte il tonnarello, forse per la colpa, il dispiacere, o il dolore, si arenò a Mezzatorre tra gli scogli e le alghe in riva al mare, vicino un ristorante. Una schiuma, un vociare, ed il cuoco levatosi il grembiule scese in acqua a controllare, circondato dai passanti e villeggianti. «Era vivo prima di spiaggiare! Ho cercato a fatica di fargli riprendere il mare!» Era morto. Occhio spento e rivolto al cielo. Né una lacrima, né un pensiero. Solo stelle, buio e sangue. Così finisce chi dopo uno scherzo finito male si accorge di amare ancora. Amare davvero. |
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