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La repubblica dell’immaginazione Introduzione

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Azar Nafisi, è una scrittrice iraniana esule e ora cittadina americana, divenuta celebre sia per il seminario clandestino nel quale, durante il governo degli ayatollah, insegnava letteratura inglese ad allieve dell'università di Teheran, sia per il romanzo (tra gli altri), tradotto in trentadue lingue, 'Leggere Lolita a Teheran'. In 'La repubblica dell'immaginazione' l'autrice iraniana, americana d'adozione, narra il valore inestimabile della letteratura e delle arti quale antidoti alle minacce alla libertà individuale e dei popoli, nonché alla 'pigrizia dell'intelletto' che può minare la democrazia.

[...]Io mi oppongo all’idea che la passione e l’immaginazione siano superflue, che le discipline umanistiche non servano a niente dal punto di vista pratico o pragmatico, e che quindi debbano essere subordinate ad altre materie più «utili». Anzi: la conoscenza immaginativa è pragmatica. Ci aiuta a modellare la nostra idea del mondo e il posto che vi occupiamo; influenza la nostra capacità di scelta.[...]

«Il nostro modo di vedere la letteratura» ho aggiunto più tardi «è un riflesso dell’idea che abbiamo di noi in quanto nazione. Le opere dell’immaginazione sono i canarini nella miniera di carbone: l’unità di misura per valutare lo stato di salute della società».
Eppure sapevo che quella situazione nasceva anche dal fatto che molti dei nostri sogni si erano realizzati. Oggi l’America è molto più inclusiva rispetto a quarant’anni fa, quando studiavo alla University di Oklahoma. La tecnologia ha aperto molti panorami nuovi, ci ha connessi al resto del mondo come non avremmo mai potuto immaginare, ha creato opportunità di apprendimento e di conoscenza su vasta scala. In Iran, ha permesso agli studenti e a gente di ogni età che si oppone ai governanti teocratici e ai loro metodi oppressivi di trovare una voce che non può essere censurata, di formare una comunità di persone che condivide ideali e passioni.
Per certi versi, la crisi attuale deriva da una contraddizione intrinseca al cuore della democrazia americana, una contraddizione che Tocqueville aveva anticipato in maniera assai brillante. La brama di novità e il totale rifiuto dei vincoli e delle tradizioni conducono a grandi innovazioni – requisito necessario per l’uguaglianza e il benessere economico – ma anche al conformismo e all’indifferenza, a un materialismo che spinge a ritirarsi completamente dalla vita pubblica e civile, a disprezzare il pensiero e la riflessione. Ecco perché in questo momento di transizione è ancora più urgente porre interrogativi nuovi; definire non solo chi siamo, ma chi vogliamo essere.

Per Ramin (giovane esule iraniano negli Stati Uniti) «libertà» e «diritti fondamentali» non erano semplici parole. Lui aveva sperimentato concretamente la loro mancanza ed era stato costretto a leggere libri, ascoltare musica, ballare e tenere per mano la sua ragazza di nascosto, come un criminale. E come un criminale, quando era stato scoperto, era stato punito (da queste parti possiamo tranquillamente dire torturato). Come poteva comprendere il disinteresse verso le idee e l’immaginazione riscontrato nel paese che aveva prodotto Emily Dickinson e Ralph Ellison?
Per lui, come per milioni di altri che hanno perduto una terra e una vita venendo a cercare qui la sfuggente libertà che è stata loro negata in patria, l’immaginazione e le idee non sono accessori, bensì indispensabili per salvaguardare un’identità e per restare esseri umani con il diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Così, questi futuri o aspiranti cittadini celebrano la generosità dell’America, la possibilità di scelta e di libertà che essa regala, finendo spesso per preoccuparsi ben di più, rispetto a chi è nato qui, del rischio di dilapidare cose che di norma vengono date per scontate.

A Ramin avrei potuto dire che sotto molti aspetti le società totalitarie e le società democratiche sono specchi distorcenti che si riflettono a vicenda e predicono i rispettivi potenziali e pericoli nascosti. Nei paesi come l’Iran, l’immaginazione è minacciata da un regime che vuole controllare in toto la vita dei cittadini. Per loro, la resistenza allo Stato è un atto non solo politico, ma esistenziale. Cosa dire, invece, delle democrazie, dove questa tirannia così scoperta non esiste? Nei paesi totalitari, la brutalità e la repressione si mostrano nelle loro forme più lampanti: torture, leggi arbitrarie, esecuzioni. Per ironia della sorte, in queste società il valore dell’immaginazione – la sua minaccia allo Stato e la sua importanza per la gente – è assai ovvio: è uno dei motivi per i quali nelle società repressive le persone corrono grossi rischi per leggere. [...]

C’è una ragione, se gli Stati totalitari considerano pericolose e sovversive le cosiddette discipline umanistiche e cercano di eliminarle a ogni costo. Sanno quali sono i pericoli dell’indagine libera e autentica. La loro paura delle società democratiche e l’ostilità con cui le trattano non dipendono tanto dal potere militare quanto dalla cultura e da tutti i problemi che questa può causare. Paradossalmente, riconoscono il valore di ciò che noi scartiamo e svalutiamo sempre di più.
Nelle democrazie, le arti non minacciano lo Stato, né suscitano lo stesso senso di bisogno. Si può essere irretiti fino a una paralisi della coscienza, una pigrizia dell’intelletto. «Il vero pericolo per uno scrittore non è tanto la possibilità (non di rado piuttosto concreta) di una persecuzione da parte dello Stato, quanto la possibilità di farsi ipnotizzare dalla fisionomia dello Stato, una fisionomia che può essere mostruosa o cambiare in meglio, ma che è sempre provvisoria»: ancora Brodskij...

Da: Introduzione al libro 'La Repubblica dell'Immaginazione' di Azar Nafisi

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