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al testo di Salvatore Solinas
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Dalla cima della torre cui mi lega Un grandissimo spirito, un poeta Col cuore colmo di gratitudine ammiravo I prati fioriti a me dintorno Con gioia le feste del villaggio Il passo lento delle stagioni Sulle chiome del bosco Le bianche vele delle ore serene Corteggiate dai canti delle tortore Dai voli azzurri degli aironi Con trepidazione la sublime L'ira delle tempeste Così simile all’ira degli dei. Attorno gioia serenità soltanto. Ma una notte La più lunga nei miei ricordi Risuonò minaccioso Il battere di martelli Il ronzare di trapani Lo strepitare di legni e di sterpaglie Divorati dal fuoco Un suono di catene Urla e lamenti. All’alba i caterpillar Spazzarono via il villaggio Le morte querce annerite Dalla notturna furia. In quello sterile grigio deserto Sorsero torri e nuove cattedrali D’acciaio e di cristallo Fosca diabolica magia. Splendevano i roghi nella notte buia Esalanti fetore d’umani arrosti E le urla dei torturati Empivano il cielo di spetri. Ben serrati gli occhi Gli orecchi tappati con la cera Dell’unica candela Sul mio giaciglio delle notti insonni Innalzo suppliche e preghiere Al Dio che non conosco Ma quelle orribili voci Penetrano nel cervello Tramutandosi in spaventosi incubi. Sono svaniti i paesaggi sereni Sparito il bosco Le nenie della sera dal villaggio. Ora ai piedi dei palazzi Sotto la nebbia o il sole Marcia in fila un popolo di schiavi Cartelle e borse in mano Vanno come inseguendo un sogno. Invano grido loro di svegliarsi Nessuno ode la mia voce Nemmeno Il tintinnio lugubre delle loro catene. L’esercito dei demoni ha posato Le scale alle pareti presto saranno in cima. I servi hanno apparecchiato La catasta di legna. Sarò io il prossimo arrostito Al notturno banchetto.
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