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specchio del cielo / fiore del tuono

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specchio del cielo | fiore del tuono

 

a Fausta Genziana Le Piane

 

Ho incontrato nella mia via una donna che porta il nome di un fiore.

Genziana, specchio del cielo, dai petali di pelle che virano dall’azzurro al viola, approdando all’oro bizantino della genziana maggiore. Riflettendosi nel cielo celeste, Genziana germoglia e dimora nel silenzio, lirismo che pervade la sua operosità creaturale, iniziatica, vissuta nell’ardire e nell’ardore. La chiamerò anche fiore del tuono. Stellaria holostea, velluto che nei tempi romiti delle campagne contadine indicava l’ira di Giove…

Ma i bambini non temevano nulla. Raccoglievano i fiori con un gesto di fanciullo splendore | e speravano. Quei bimbi nello strappo, evocavano fiamme argentee, guizzi tuonanti, presagivano pannelli di pioggia e tempesta.

Petali purpurei della nostra vecchia Europa dei Lychnis, dal greco “lýchnos” che significa lampada.

Lucerna dalle palpebre australi che ha ispirato il simbolo del Cristo illuminatore delle anime.

 

Fausta Genziana non ama apparire. Sceglie la natura boschiva e campestre, respirando altitudini, guglie, sacralità dei luoghi. Per sua discrezione, tenera introversione, siamo costretti a cercarla nei suoi anfratti misterici. E quanto è più grande il mistero, più dovremo evocarne la sua rivelazione. Eccola lì, Fausta Genziana Maggiore, teneramente protetta da grandi foglie.

Da bianche candide infiorescenze.

Le sue radici sono saldamente incantate nell’humus profondo di Madre Terra. E intanto mi chiedo se siamo vicini al divino quadrato. Cielo e terra, tutta la terra nel cielo che riserva ulteriori capovolgimenti e rivoluzioni. Quella, ad esempio, della gentiana cruciata, forte emblema del Cristo sofferente, il Cristo della Passione e della Croce.

 

L’arte di Fausta è legata al suo fiore, ma non è cristologica. Porta la Luce, deità pagane, l’amore per i celti, l’arte indonesiana nel cuore. Priva di intellettualismo, lontana si fa ogni trama concettuale per significare /giustificare opere, invece, di “creativi” contemporanei che in metri di tela | nella quasi assenza del colore | integrano la loro inquietudine in cesellature teoretiche spesso fastidiose.

L’arte è dinamica musicale, contrappunto, ampia generosità variante dall’allegretto al dramma di certe partiture che si fanno fuga, sempre impossibili da raggiungere.

Forse sta qui il segreto. Lasciare che la corsa sia incessantemente prolifica nel suo non-raggiungimento: porte che si spalancano allo stupore e alla gioia.

La pietra scolpita, le statue votive, l’acclamazione di un’arte immaginifica che ci riporti a gustare il ritmo originario del Tempo, l’assenza, il vuoto, l’incognita.

 

Conosce l’equilibrio, la pietra

 

È ribelle

il dio di Bretagna

e lancia raffiche di pioggia sulla terra.

Il tempo affetta la roccia

fu tempo di granito rosso

poi del lichene

fino all’erica viola.

 

FGenzianaLP

Fausta Genziana Le Piane è tutto questo.

Nei collages, nella pittura, nella fotografia, nell’uso di materiali come legno, giornali, matite, acrilici, pennarelli, porporine, stencil, stoffe, spartiti, lana, gomme colorate, sabbie, acquarelli, découpage, carta vellutata, crea un mondo tutto suo: marcatamente suo.

 

 

«La parola “artista” mi dà fastidio. Esistono solo i grandissimi artigiani. Solo avendo nelle mani il pieno mestiere si può, a volte, affrontare il sogno. L’espressione non uscirà mai dalle mani incolte. Un grande poeta non potrà mai esistere se non conosce il mestiere della parola […] Non si possono vincere le difficoltà della materia senza il mestiere che è disciplina, pazienza, umiltà, conoscenza…»

 

Giacomo Manzù

 

 

I doni donati di Genziana sono una laude, un traslato indelebile che riporta alle Arts and Crafts di fine Ottocento. Mi rammentano, quei doni, i dada e le loro stravaganze; ma anche la spiritualità del più ludico Paul Klee, quello dei teatrini, dei burattini, dei giocattoli in legno costruiti per il figlio Felix.

In realtà, i doni donati, sono piccoli miracoli di manifattura, tessitura manuale favolistica, simbolica, domestica, ricca di valori (temi sulla pace, sull’amore…), concreta come concreto si faceva il sistema produttivo della factory di William Morris.

“Fare” si apparenta al tuono del gesto, atto creatore e conclusivo di un’opera. La sua è finitezza che non finisce, né definisce del tutto il gesto medesimo: diviene prolungamento dell’opera successiva, segnata dalla premonizione inconscia.

La sfericità, inizio e fine, fine e inizio, rappresenta l’artista. Tra tutte le forme sfera e cerchio sono il veicolo per raggiungere “altitudini del Sé | quaggiù”.

Ecco il Simbolo. L’eccellenza del simbolo.

 

E, infine, Genziana, tuono e specchio del cielo, concludo con queste mie parole.

La chiave di violino trovai nel canto, nel cuore di un albero | il setticlavio.

Trovai una farfalla che muoveva le foglie delle sue ali, volando di pace in pace | e mi disse che nella libertà si cresce. Nell’amore che nulla chiede, ma gentile si rivela.

Mi tolsi i vestiti ch’ero già nuda, intesi il deserto e la rosa. Ancora mi abbeverai di fede | la verità nel silenzio. E in quel ventre di polvere ebbi la forza di cantare.

Dove regna il nulla s’impone la Grazia. Dove crediamo la parola, la voce perduta | noi sappiamo.

Sappiamo guardare?

No. Sappiamo sentire.

 

 

Nina Maroccolo

ottobre 2014

 

 

 

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