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al testo di Maria benedetta cerro
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IL RITO DELLE FUGHE
Poi dalla congiura degli opposti guarì il poeta. Vide - senza fremito - avanzare nello specchio del tempo il passo ancora lieve. Ma l’occhio tradiva il languore. Con dignità - malgrado le ferite - fissava l’istante da attraversare. Prive di senso le ragioni ma realizzò la morte nel supplizio del respiro che più non sapeva d’infinito. Non trasalire - mia estranea - Non diversa è la spina del canto. Ciò che pensi da tempo in me si versa. Strali sono le parole ed hanno la mia inermità ferito a morte. Irreprensibile è la consuetudine - ecco il giorno mi divora - Non ancora è tempo: dormono le viole con le piccole bocche ancora chiuse. Non stringere troppo le ciglia lascia un piccolo varco se l’anima volesse un poco uscire. Perché “Io me ne vado come l’ombra quando s’allunga”. Ospiti mai stanchi delle insonni attese - prodighi di segreti tradimenti - non mi portaste fra le braccia oltre le soglie dei conviti. Non diceste parole che avrei gradito udire né tratteneste a lungo la mano nel saluto. Con tale indifferenza mi lasciaste andare. Eppure vi aspetto - non vi stupite - Ancora. Dove vuoi che vada? Prima che ti dica “andiamo” mi chiedi dove andrò. Sulle torri regali attenderò la Musa. Avrò monili e vesti di nobile fattura. A lei la mano già nel vuoto pendula e amica. A lei sola perdono le fughe immemori. Unica - lei - erede del ritorno. Se non fossi del tempo la ritrosa gemma potrei nelle tue ubiquità stabilire tragitti moltiplicare mutamenti che tanto inquietano il rito delle fughe. Ma cosa insegui? La tua smodata febbre vede più grande il rischio d’assoluto. Quale destinazione aveva il tuo sorriso caduto in questo presagio di spavento. Ho pregato - non so se abbastanza - perché potesse l’Eternità degnarsi di volgere a me la sua pudica luce. Tre volte ogni sera ho contato le perle dei misteri. Io non saprò per quali vie mi giungerà la vostra voce ma so dove l’aspetto. Ogni impaurito palpito ne annuncia l’evento. E venne mentre i gigli dalle schiuse braccia guardavano la pioggia risalire agli occhi. Parole - mi disse - inadatte e scialbe. Io sognavo follemente che al vedermi sorgessero dai rovi repentine rose. Quale dispetto hai creduto di farmi? Io di te mi rallegro. Non guardarmi attraverso il tuo precario slancio. Non è marginale la conquista. Da quale parte stai? Dovrei guardare dov’è sorta questa luna smisurata. Ma non è questo che intendi. Non il luogo né la temporalità danno il senso alla sfida. Dunque l’altitudine sovrasta il volo ed è indefinibile la vertigine. Sto dov’è lecito chiedersi che sia il viola mortifero di un viso dopo il pianto. |
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