Misure del timore, edito dall’editore Kairós di Napoli, è una raccolta antologica, un percorso agile ma spazioso che riassume un quarto di secolo di produzione poetica di Antonio Spagnuolo, anch’esso meritoriamente napoletano. Significativamente, i brani antologizzati partono da una data precisa, il 1985, anno di pubblicazione di Candida, il libro che fa da spartiacque nella produzione poetica del nostro poeta. Certamente: perché la storia precedente dell’autore portava il marchio compromissorio e conformista della poesia di ricerca della quale Napoli è stata, più che capitale, portabandiera, dagli anni ’70 del Novecento fino all’esplosione del fenomeno del Gruppo ’93: in pratica per circa trent’anni. Spagnuolo non ha potuto sottrarsi a questo scotto territoriale, e lo ha pagato con una serie di libri, di ricerche, di sperimentazioni che nascondevano la sua autentica voce, personale e peculiare. In poesia, come in ogni altra arte, se a trent’anni bisogna essere talentuosi, qualche decennio dopo è vitale sapersi rinnovare, cambiare pelle, diventare autonomi rispetto al contesto culturale. È la grande sfida che viene lanciata a ogni poeta, letterato, artista: rinforzare la propria voce con gli anni o saper cambiare strada, se quella praticata non è più fruttuosa e non corrisponde più alle esigenze spirituali dello scrittore. Ed è proprio questa sfida che Antonio Spagnuolo ha saputo vincere, dimostrando di possedere una vocazione verso la vicenda del poetico molto più forte e viva di molti suoi compagni di strada che hanno continuato stancamente a produrre libri e libri sempre con gli stessi moduli stereotipati da velleità avanguardiste. Misure del timore ci fornisce una mappa di questo cambiamento. In venticinque anni, Spagnuolo ha pubblicato qualcosa di nuovo, meritandosi un consenso critico che non ha mai lesinato lodi e riconoscimenti. La novità del suo dettato può riassumersi in due punti, o meglio snodi, fondamentali: l’adesione dello stile, ripianato e purificato dai trascorsi cerebralismi, al proprio mondo sentimentale. Affetti, tentazioni, timori, riserve e moti dell’animo hanno preso il posto delle istanze ideologiche dei libri precedenti. La versificazione si è fatta scorrevole eppure ricca di pause e forte di una trama contrappuntistica incalzante e costruttiva. Il piano esistenziale, corporeo e palpabile, ha trovato uno sbocco nell’onirico e nell’erotico, con soluzioni divinanti pregne di simboli e accertamenti veritativi. Il «disastro del senso» ha trovato una redenzione pervicace nella «abituale variazione di ogni testo», come recita il testo 12 di Rapinando alfabeti, senza rinunciare a un lessico specialistico e scientifico, frutto evidente della formazione di Spagnuolo, che di professione ha fatto il medico per quarant’anni. Le urgenze del corpo e delle sue deformazioni diventano così paradigma delle metamorfosi storiche, del fuggire del tempo – tema, questo, di gran momento e molto frequentato dall’autore – della lontananza dell’amore e della solitudine esistenziale che chiede, in ogni poesia, una possibilità di salvezza e una richiesta di aiuto a una figura sempre e solo adombrata, che si identifica con il femminile nella sua accezione più alta e meno corruttibile. Altro punto fondamentale è il rafforzamento, avvenuto nelle raccolte più recenti (per intenderci, da Fugacità del tempo, del 2007, alla omonima Misure del timore, parzialmente inedita), del dato negativo, che registra una visione ancestrale del mondo e del vissuto sotto forma di frattura, o meglio, di fratture progressive, che scandiscono ossessivamente il progredire del testo. Il terrore, in queste ultime pagine, sconvolge l’abbandono amoroso e le possibilità di rinascita che formavano la cifra essenziale delle precedenti raccolte scritte dopo la suddetta “svolta del creaturale”. In questi ultimi lavori, Spagnuolo sembra dirci che arrivati a un certo punto della vita, non si può più rimandare l’appuntamento con la verità delle cose, non si può (e non si deve, se si vuole essere, più che onesti, veri) fingere che il senso del tutto sia un lieto fine, per quanto amaro e disarmante. Ecco: il percorso che si attua in Misure del timore (inteso, qui, come titolo dell’antologia) va dalla iniziazione del poeta a una fitta e responsabile educazione sentimentale al perturbamento finale, alla sconfitta del singolo nei confronti della realtà, delle leggi naturali, delle dissonanze dell’Essere. Questo è il punto, e qui bisogna stare. Spagnuolo non ha mai smesso di maturare, ovvero di ascoltare il richiamo doloroso di ciò che vive accanto a ognuno, fino a farlo proprio, diventandone l’interprete sommesso e saggio che, a dispetto della saggezza conseguita, non fornisce scappatoie consolatorie, ma registra tutto lo scardinamento che sussiste in questo forsennato nastro di Krapp che è il mondo. Nessuno può scappare, ed è meglio allearsi, leopardianamente, a resistere sotto i colpi del tempo, della morte, della solitudine e della fine dei sogni, e in sostanza, della vita. Il grido di dolore che chiama alla condivisione e al soccorso, bilanciano, in questo percorso selettivo (come selettiva deve essere, per forza, ogni antologia), la persistenza di un mondo affettivo che, seppure carico di dubbi, nelle prime raccolte (Candida, del 1985; Dietro il restauro, del 1993; Attese, del 1994, per citare solo i titoli più significativi), sostenevano la mano dell’uomo nella sua età di passaggio, quello che dalla giovinezza porta all’età adulta. I sogni, che si trasfondono nei ricordi, quelli di un’età nella quale era ancora possibile sognare, non vengono rinnegati col passare degli anni e delle pubblicazioni, né posti su un piano di “minorità”. Quando era il loro tempo, era il tempo di scriverne. L’ultimo Spagnuolo, invece, sa che oggi è il tempo dell’allarme totale, del pericolo che grava sull’uomo, di Krónos che rema contro. Questo percorso è la totale misura di questa antologia, che gli amici e gli estimatori di questo poeta prolifico ma concentrato aspettavano da anni. Il singolo, i suoi errori, la sua umanità, nella quale siamo chiamati a riconoscerci, sono la strada percorsa da un poeta rinnovato, mai consenziente perché lucidissimo, ma umano e nella sua parabola cosciente e perturbante, come lo sono le poesie che da sempre scavano nella terra e nell’animo un solco deciso a lasciare traccia di sé nelle più abissali profondità di quell’enorme dramma che è l’esistenza umana. Per questo si può attribuire a Misure del timore – Antologia poetica dei volumi 1985-2010 il valore di un lungo scandaglio conoscitivo, un’avventura nel sapere che si svela sempre di più, incitando il lettore a emularne il tracciato, a diventare sempre più se stessi, accettando la propria identità, contro ogni ipotesi di dispersione che fomenta i nostri tempi tanto tormentati quanto gravati dal «feticcio dell’inutilità», per dirla con Montale. Questo libro intende orientarci, darci il conforto, l’unico possibile, che una direzione, nell’esistenza, sia ancora rintracciabile, seppure attraverso cadute e mancanze che non possono essere aggirate. Eppure, la voce che parla, non è quella di un poeta che, per età ed esperienza, potrebbe facilmente ergersi a maestro e costruire un monumento a se stesso. È la voce religiosa e rigogliosa di un uomo vigile, che sottomette la sua presenza alla sua arte, incontrando l’altro e sussurrandogli che vale pena provare tutto il dolore e tutto il benessere della poesia, perché, proprio grazie alla sua voce, siamo tutti un po’ meno soli.
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Giuseppe Vetromile
- 29/06/2011 22:24:00
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Ho avuto da poco il libro e sto cominciando a leggerlo. Ma non si tratta, per me, di un mondo nuovo e inaspettato, perchè conosco Antonio Spagnuolo da anni, anzi, devo dire che è stato proprio lui in un certo senso a guidare i miei primi passi in poesia, con la sua autorevolezza, competenza e sincerità in questo campo. Un grande e preciso riferimento, insomma. Certamente, la sua poesia, anche in questa recente antologia che raccoglie i suoi versi più rappresentativi, sorprende sempre e sempre travolge e coinvolge il lettore, per la sua alta liricità e per il suo contenuto fortemente legato ai temi dellamore e del senso profondo dellessere. Mi congratulo quindi con Antonio, ma anche con Stelvio Di Spigno, acuto studioso della poesia contemporanea, che ha saputo valutare e sintetizzare al meglio tutto il complesso dettato poetico del nostro caro amico Antonio Spagnuolo. Giuseppe Vetromile
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Franca Alaimo
- 29/06/2011 14:49:00
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Unanalisi molto accurata e partecipe è questa che Di Spigno conduce sulla scrittura che Antonio Spagnuolo ha prodotto dopo lattraversamento dellavventura sperimentale, che ,però - ed è innegabile - ha lasciato una traccia visibile anche nel corpo della sua più recente produzione poetica. Il problema, infatti, non è quello di abbandonare uno stile, ma di rinnovarlo e riadattarlo alle esigenze etico-estetiche sempre nuove di un uomo che avanza nella vita in modo aperto e interrogante. Il rinnovamento della poesia di Spanuolo costituisce il tema di questo intervento del noto critico Di Spigno; e la sua argomentazione è così incisiva, da avere la mia piena condivisione, e non senza fondamento, avendo io di Spagnuolo e della sua poesia una conoscenza più che trentennale, dai tempi in cui operavo, a Palermo, nella rivista "Linvolucro" dellestroso e umorale ed inimitabile Pietro Terminelli. I temi della poesia di Spagnuolo sono quelli di sempre; solo che nei testi più recenti sono trattati in modo diverso, perché diversa è la percezione del poeta del tempo "rimasto": la memoria incalza, la presenza della donna testimonia una fede nella grazia dellamore che adesso chiede vibrazioni profonde di riconoscimento e gratitudine, la poesia diventa dono e gesto carico di significato comunicativo e anche di speranza; lattesa della morte terrore tutto umano e misura del passato, di comprensione di sè, avvicinamento e scrutamento deciso dellanima e della sua non terrena dimensione. Anche tutto questo viene fuori dal discorso sapiente del critico. Antonio è un poeta vero perché il vero poeta ha il dovere di cambiare il suo dire in relazione al suo stare nel tempo del mondo che cambia e si costruisce senza sosta in modo diverso; solo così la poesia non muore prima del corpo del poeta, anzi, lo sopravanza e prepara il futuro. Per concludere, dono volentieri su questa pagina la mia testimonianza di stima e di affetto allamico Antonio e un grazie al critico Stelvio Di Spigno che è uno dei pochi che intenda ancora il mestiere di critico come ascolto della parola altrui e servizio di verità.
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Roberto Maggiani
- 28/06/2011 16:39:00
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Grazie a Stelvio per questa bella e importante recensione al nuovo libro di Spagnuolo che abbiamo avuto anche la fortuna di proporre in eBook nella nostra collana. Devo dire che lopera di Spagnuolo ben è messa in luce dalle parole di Stelvio che ne delinea i tratti fondanti con la sua usuale e ben nota passione di poeta e lettore.
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Stelvio Di Spigno
- 28/06/2011 10:50:00
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Ringrazio Roberto Maggiani e gli amici de "La Recherche" per aver pubblicato questo mio contributo sullantologia di Antonio Spagnuolo, al quale vanno i miei auguri e i miei complimenti, nella speranza che il suo nuovo libro, che racchiude un quarto di secolo di poesia, abbia la fortuna che merita. Un caro saluto a tutti.
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