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Nel sonno del tuo nome

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                                                               Dov’è che ti fa  male per Natale

                                                               alla corona delle tue ginocchia,

                                                               o alle preghiere? Tu lo sai.

 

Eri certa del fulmine alla vita,

se ti sei divisa il petto in lunghe ali. 

volando via dall’isola con Elba,

dai  più morbidi rifugi color rame,

a cercare luce asciutta e vento forte.

La tua dolomia ora è un giuramento, 

sulle pareti scure, che protegge

un albero nell’albero, e in silenzio

resistono gli anelli della volta

ai ripostigli  della neve sopra casa.

 

                                                          Ti sentirò arrivare da lontano,

                                                          bagnata del celeste di mio padre,

                                                          portando bende calde, affonderò

                                                          nel sonno del tuo nome,  mia silvana.

 

 

Immagine Jeanie Tomanek

 Amina Narimi - 03/12/2017 13:50:00 [ leggi altri commenti di Amina Narimi » ]

Con emozione grazie Edi

 Edi Davoli - 03/12/2017 13:35:00 [ leggi altri commenti di Edi Davoli » ]

Meravigliosa la tua arte Amina!

 Amina Narimi - 03/12/2017 09:58:00 [ leggi altri commenti di Amina Narimi » ]

Gil, mio amato fratello e amico caro,
l’emozione profonda nel leggerti mi ha tolto il fiato
e in questa lunghissima apnea sei tu che tieni per mano la mia mammetta e insieme mi riportate al respiro nell’adagio più bello
che solo una rayuela infinita fra il cielo e la terra può fare

Ti abbraccio gli occhi poetamio

N a r i m i

 Gil - 03/12/2017 01:31:00 [ leggi altri commenti di Gil » ]

Dov’è che ti fa male per Natale/alla corona delle tue ginocchia/o alle preghiere? Tu lo sai" (non so se trascrivendo ho potuto senza volerlo tradire la metrica del verso, se così mi scusi Amina, lei così grande nell’anima).
Ho voluto fermarmi a questo inciso, un incipit a "margine", come un " la" sonoro a far vibrare l’Universo, eppure il centro che scuote le fondamenta stesse di una lingua umana. Con le sue parole Amina "partorisce" una similitudine di Verità, traluce in filigrana dal volto dell’amata Silvana (credo l’amata madre, sì grande se così unica grande e bella è l’anima della figlia) il Volto del Dio umanato; perché come in quelle ginocchia doloranti non vedervi il Cristo flagellato dal suo stesso amore sicché la preghiera stessa, la preghiera supplice duole di per sé e duole ché apparentemente inascoltata; e non è anche la corona di quelle ginocchia immagine spirituale di quel l’umiltà divina coronata di spine sempre dallo stesso suo amarci? Ecco la Narimi, per i doni che le adornano il cuore, l’anima e la mente, per la sua capacità di rigenerare l’"inerte", il privo apparente di vita, respira gratitudine nel riconoscimento dell’amore materno ricevuto (ma ancorché io sbagliassi tipologia di legame affettivo, nulla ciò sottrarrebbe alla sostanza del mio dire, sempre inadeguato e inutile ma non per ciò che ho appena detto, semmai ancora prima di parlare) e in questo riconoscervi grata l’ombra di un Altro Amore.
Si resta sempre senza fiato con Amina, poiché lei non scrive versi di luce: lei sembra "partorisca" la luce; anche se la stessa luce, traversando la sua anima cristallina, si riflette in gradazioni varie di colore, rinnovando nel lettore sapere ed emozione.

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