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al testo di Maria benedetta cerro
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Poema dell’altrove
Prologo Fummo nella dimenticanza di noi stessi eterni. Una lontananza incalcolabile definì la percezione dello spazio. L’inganno futuro non parve più inaccessibile. La Ragione e la Musa scelsero templi dalle soglie ardenti. Ne delimitarono lo spazio oracolare. Avvenne il trionfo, nonostante i divieti. Nel cerchio purissimo, nel punto glorioso, l’Io e l’Eternità dialogarono a lungo. Scena della vestizione (con voce fuori campo) Eleusi mi addestrò alla morte. Non fu necessario giungere, piuttosto liberarsi e semplicemente essere. Mi concesse la dea una vestale esperta di misteri. Dimenticare. E vedere, udire unicamente il tutto. È come sfilarsi una collana – disse – E mi tolse anelli bracciali e corpetto. Non più indefinita e inquieta la suprema dimora. Ma la veste invasata di vita, sulla pelle tessuta e cucita non fu dato strapparla. La libertà, in tutta la sua ampiezza, violava l’involucro della carne. Incollerita mi cacciò dall’Ade. E me ne andai come da una festa, sfilandomi adagio la collana. La stillante tenerezza vide la sua pietà inondare il corpo delle cose. Scena del commiato Euclès, prenditi cura di me. Dal ricordo della vita difendimi e dalla trenodia dei lamenti. Il ruvido signore ha ghermito la mia veste azzurra. Presto, prima che si spezzi il volo. Più presto, che non sorga il giorno dopo la paziente luna. Prima che sia l’ultima questa – rosa dalle cento foglie – al tuo pallore affine. PPP |
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