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al testo di paolo massimo rossi
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Improvvisa un'immagine tornò al suo ricordo: una ragazza di cui aveva
dimenticato il nome. Aveva piccole mani quadrate, il collo ben tornito, e i lobi degli orecchi adornati da pendenti che spuntavano appena sotto i capelli. Avevano passato il pomeriggio in un bar e lei gli aveva chiesto: -Mi accompagni? E lui: -Non ho l'auto. -Possiamo andare con la mia. Abitava un condominio a tre piani, in una mansarda che sapeva di caldo e di odori speziati. -Ti offro un dolce che ho preparato stamane e ti preparo un caffè, propose la ragazza. Passarono la notte in un letto in cui ognuno si era abbandonato agli sguardi e al piacere dell'altro. Poi, come spesso accade, la passione che era sbocciata in turbinio indistinto di mezze parole e di nuove carezze, aveva ritrovato la propria usuale indifferenza. Non l'aveva più rivista, e ormai erano passati più di vent'anni. Gli era rimasto il ricordo di quella ragazza, come di tante altre, a segnare certi episodi della sua vita, come anche gli eccessi che la sua mente era stata curiosa di esplorare. Erano le manifestazioni di una lussuria che, dopo essere stata vissuta, aveva finito per adagiarsi in un languore che gli riempiva il corpo e lo spirito di sentimentalismi a volte sconosciuti, a volte repentinamente ritrovati e infine dimenticati. |
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