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Io vedo!

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Io vedo!

Maria Antonietta Pinna



“Coraggio, cominci”.
“Sono sicuro che lei non mi crederà”.
“Perché no?”.
“Semplicemente perché quello che sto per dirle è inverosimile. Quelli come lei non credono a queste cose”.
“Provi”.
“No, no, sarebbe inutile, è meglio che vada”.
“Si rimetta seduto e cominci! Nel mio mestiere ho imparato a non stupirmi di niente”.
“Io qui non ci volevo venire. Loro mi hanno obbligato”.
“Loro chi?”.
“I miei familiari, mia moglie specialmente”.
“Va bé, ormai è qui, tanto vale parlare, no?”.
“Sono sicuro che lei penserà che sono pazzo”.
“Tutti lo siamo, in fondo. Anch’io, per certi versi ...”.
“Già, altrimenti non passerebbe il suo tempo a ficcare il naso nella vita degli altri”.
“Su, cominci. Devo confessarle che sono curioso. L’ascolterò con attenzione”.
“Tutto è cominciato durante una cena. Era la vigilia di Natale. Premetto che personalmente odio le feste. Trovo ridicolo vestirsi per l’occasione, sorridere anche quando non se ne ha nessuna voglia, e cose del genere. C’era tutta la famiglia di mia moglie al completo. So che non mi sopportano. Anna mi ha sposato senza la loro approvazione. Un professore fallito, ecco cosa sono. Non sono mai riuscito a passare di ruolo. Mia suocera dice anche che ho un pessimo carattere”.
“Ed è vero?”.
“Certo che è vero! Comunque, torniamo alla cena. C’erano i miei suoceri, Andrea e Stefania, le zie e la sorella di mia moglie, Noemi. C’era anche il marito di mia cognata. È ingegnere. Edoardo, si chiama, un grassone. Guadagna bene. Stefania bacia la terra dove cammina. Pfiui, uno che se lo vedi lo sputi, per quanto è brutto!
Mia suocera ha cucinato l’agnello. A me è toccata la testa. Non la vuole nessuno, specialmente le donne. Anna dice che non riuscirebbe a mangiarla. Le fa impressione. Non capisce una madonna, la parte migliore è.
Edoardo ha sempre mangiato poco davanti ai parenti. Usa per tutto la forchetta, pure per le olive. Deve fare scena, credo. Non l’ho mai sopportato. Mi da quasi una sensazione di fastidio fisico. Quella sera avevo fame, nonostante l’ingegnere mi desse sui nervi. Decisi di mangiare con le mani. L’ho fatto apposta. Non so esattamente perché. Volevo sprofondare nel trash, nell’abisso dell’estrema disapprovazione di mia suocera. Ho affondato le dita nel cervello. Era buonissimo. Silenzio improvviso, tombale. Stefania mi ha guardato coi suoi grandi occhi celesti...
Non mi sono mai piaciuti gli occhi chiari. Li trovo cattivi, freddi. Quelli di mia suocera poi, sono assolutamente privi di calore umano, di profondità.
Anche le zie, tre scope secche che non le toccheresti neanche con la canna, mi hanno guardato con disgusto. Avevano la stessa espressione di chi, camminando per strada, ha appena calpestato la merda di un cane. Il trippone invece sprizzava gioia da tutti i pori. Mi rideva quasi in faccia.
Anna mi ha dato una gomitata che per poco non mi ha fatto andare il cervello dell’agnello di traverso. Soltanto Andrea mi ha degnato di uno sguardo di simpatia.
La conversazione riprende. Le solite cazzate! Le tre zie si lamentano del carovita. Figuriamoci! Quelle non mangiano per non cagare. E quel rotolo di coppa di Edoardo? Oh lui giura di seguire una dieta ferrea, e ride. Che cazzo c’avrà da ridere! Andrea si è fatto la dentiera nuova. Noemi va ogni mese dal parrucchiere. Anna invece, la tintura se la fa a casa. Ma chi se ne frega! Mi concentro sulla testa d’agnello. La divido in tre parti, attacco dalla mascella. Prendo la lingua con le mani e chiedo dell’acqua a Stefania. Lo faccio con la bocca piena. Voglio che si schifi. Anna diventa rossa come un peperone. Mi piace di più quando è imbarazzata. Ricordo che ero contento. Era la seconda volta che Stefania mi guardava. Avevo fatto il bis”.
“Il bis? Che vuol dire?”.
“Che avevo raggiunto il mio scopo”.
“E qual’era il suo scopo?”.
“Mia suocera, l’arpia, mi aveva guardato dritto nelle palle degli occhi, per ben due volte! Mica una, due! Capisce? Due! Evviva! Non l’aveva mai fatto in trent’anni”.
“Ah!”.
“Bene. L’arpia mi da l’acqua con un grugno da far paura. Ancora più brutta del solito era! Ah, ah! Scusi, da ridere mi viene”.
“Non si preoccupi, rida, rida pure”.
“Finisco di mangiare la lingua e attacco la zona attorno all’occhio, sempre con le mani, ovvio. E l’osso me lo rosicchio per bene. Mi lecco pure le dita, come fanno i bambini piccoli. Quelli smettono di nuovo di parlare. Capisce?”.
“Si”.
“Smettono di dire quelle megagalattiche troiate, per guardare me qui presente! Che bello! Non stavo più nella pelle! Il gioco mi piaceva. Perfino l’ingegner mastro Trippa ha smesso di ridere. Credo che Anna, poverina, abbia farfugliato qualcosa del tipo non si sente tanto bene, scusatelo. Così, dopo un po’, la conversazione è ripresa. Io però volevo farmi notare, volevo toccare il fondo. Con le mani sporche di grasso ho preso il bicchiere del vino. L’ho portato alla bocca e avido, ho bevuto, cercando di fare il massimo rumore possibile. Silenzio tombale. Stefania, ferma con la forchetta a mezz’aria mi ha guardato di nuovo, occhi negli occhi! E tre! Non mi sono mai divertito tanto in vita mia! Ho cominciato a belare. Non so perché l’ho fatto. M’è venuto spontaneo. Ho detto una buona parola a tutti. Alle zie che sono tre befane, brutte come la fame o qualcosa del genere, non mi ricordo bene. A Edoardo che è una chiavica d’uomo e che, se non avesse avuto tutti quei soldi, non l’avrebbe cagato nessuno, a Stefania che mi ha rotto i ...”.
“Si, immagino, immagino”.
“Neanche io capivo cosa mi stava succedendo. Comunque, Anna mi ha mandato qui perché dice che da quel giorno non sono più io, che sono strano. Secondo me è colpa dell’occhio”.
“Quale occhio, scusi?”.
“Quello dell’agnello, no? Le ho detto che a quella stramaledetta cena ho mangiato una testa d’agnello?”.
“Si, certo, me l’ha detto”.
“Allora, arrivo all’occhio. M’era rimasto solo quello. Lo lascio sempre per ultimo perché è la parte migliore, secondo me. Polposo, grasso al punto giusto, con un po’ di sale sopra poi ...”.
“Si, allora?”.
“Eh, allora. L’ho staccato dall’orbita e me lo sono messo in bocca. L’ho masticato lentamente. Inutile dire che ormai, dopo la scenetta del vino, mi guardavano tutti. Mai sentito tanto silenzio. Stavo bene, ero vivo sotto gli sguardi di quelle pupille, fisse su di me. Specialmente quelle di Stefania, eh, eh, fredde come il ghiaccio erano. Non poteva fare a meno di fissarmi, sembrava ipnotizzata. Ero il primo attore, quella sera. Dominavo la scena. Ad un certo punto, mentre con voluttà affondavo i denti nell’occhio ...”.
“Si?”.
“È successo qualcosa di inspiegabile. Qualcuno, non so chi, deve aver rovesciato un bicchiere pieno di vino. La tovaglia si è presto inzuppata. Per qualche minuto mi si è annebbiata la vista. Una mano mi afferra la testa, senza troppi complimenti, la tira all’indietro, con forza. Non riesco ad oppormi, mi sento debole, indifeso. Cerco disperatamente di muovermi, ma sono bloccato. Mani e piedi legati. Poi un flash, gli occhi di Stefania, chiari, freddi. Non potevo vedere che quelli. Il colore assurdo di quegli occhi, penetrante come una lama, affonda lento nel mio collo. Quello non è vino, sangue è! Sgorga dal collo ed io sono un agnello. Sono la bestia che ho mangiato, vedo col suo occhio, provo la sua agonia. Grido ma niente. Un gorgoglìo che è un belato, mi fuoriesce dalla strozza. L’hanno sentito tutti. La nebbia si è poi dissolta. E ho visto!”.
“Cosa ha visto?”.
“Quando mi sono ripreso non avevo niente sul collo. Stavano ancora tutti lì, compresa Stefania. Anna si è scusata con tutti e mi ha trascinato via. La macchina l’ha guidata lei fino a casa, io non avrei potuto ...”.
“Forse ha bevuto troppo vino”.
“No, non ero ubriaco e quello che è successo dopo lo dimostra”.
“Che è successo?”.
“Ho consigliato a mia suocera di non guidare la macchina”.
“Perché?”.
“Perché sapevo che le sarebbe successo qualcosa di orribile”.
“Come faceva a saperlo?”.
“Io l’ho visto. Stefania non mi ha creduto. Ha avuto un brutto incidente. Hanno dovuto asportarle un occhio. Capisce?”.
“Cosa devo capire?”.
“Io lo sapevo prima! Ho un dono!”.
“Ma no, è un caso, non deve sentirsi in colpa”.
“Io in colpa? Guardi che lei non ha capito! Sono finalmente felice! Io, uno che lavora si è no quattro mesi in un anno, senza prospettive, senza soldi, senza raccomandazioni, senza amici, senza un cazzo, io, intellettuale fallito, ho un potere. Mia moglie non lo capisce! Dice che sto male! Che non sono più io, che vaneggio, che son tutte cazzate. Ma io ora so”.
“Cosa sa?”.
“Tutto. Io vedo. Ogni mattina mi sveglio, apro la finestra e grido ci sono anch’io! Si, dottore, sono vivo, sono in linea col mondo. Nessuno mi potrà più fermare. Lo sa che tengo lezioni all’università su quello che mi è successo? Sono stato invitato anche ad un convegno. Alcuni studiosi di parapsicologia mi hanno già contattato. Un famoso giornalista vuole perfino scrivere un libro su di me!”.
“Io non credo che ...”.
“All’inizio anch’io pensavo ad una semplice coincidenza, poi ho capito”.
“Come?”.
“Con questo”.
“Cos’è?”.
“L’articolo di un giornale. È del 27 dicembre. Legga, dottore, legga”.
“L’ingegner Edoardo Di Fraia è stato trovato cadavere nella sua villa in campagna. Legata mani e piedi, la vittima è stata sgozzata come un agnello... Impressionante davvero”.
“Capisce adesso?.
“No”.
“Allora è tonto! Anche questo ho visto quella sera a cena! Sono l’uomo più felice della terra. Da quando ho mangiato quell’occhio, io vedo”.
“Vuol dire che ha visto come è morto suo cognato?”.
“Si”.
“Prima?”.
“Si, prima”.
“E sa anche chi l’ha ucciso?”.
“Si”.
“E chi?”.
“La sua idiozia l’ha ucciso! Io l’avevo avvertito! Ma lui mi ha riso in faccia!”.
“Ah”.
“Si, l’ho detto che rideva troppo! Non mi ha creduto! Peggio per lui!”.
“Uhm, certo il suo è un caso complicato”.
“Lei non mi crede”.
“Le prescrivo delle gocce”.
“Cosa?”.
“La faranno stare più tranquillo”.
“Se la prenda lei, quella merda”.
“Non faccia così, cerchi di collaborare”.
“Lei vuole scherzare?”.
“No, voglio soltanto aiutarla. Ne prenda trenta gocce la mattina e trenta la sera”.
“Lo sapevo che non mi avrebbe creduto”.
“Ma io le credo”.
“Davvero?”.
“Si. Sono convinto che lei è in buona fede, soltanto che la mente a volte ...”.
“La mia mente non ha niente che non va! Perché si rifiuta di capire?”.
“Io la capisco”.
“No, lei è come mia moglie. Prima non contavo niente! Adesso che ho dimostrato di esserci anch’io in questo zozzo mondo, vi preoccupate, pensate che sono pazzo, che mi devo curare ...”.
“Cerchi di calmarsi”.
“Sono calmo”.
“Ci vediamo domani, sempre alla stessa ora”.
“Non credo”.
“Perché, non verrà?”.
“Io? Lei piuttosto!”.
“Io cosa?”.
“Lei non viene. Questo è poco ma sicuro”.
“Ma cosa dice!”.
“Io vedo!”.
“Cosa vede?”.
“Non glielo dico, così impara! Certo, mi dispiace per lei, così giovane”.
“Le dispiace?”.
“Addio”.
“Perché addio?”.
“Eh, chissà!”.
“La smetta!”.
“Smettere cosa? Ho detto soltanto che domani lei non verrà”.
“Perché?”.
“Non glielo dico, tanto lei non mi crede”.
“Me lo dica!”.
“No, perché dovrei?”.
“Così, sono curioso”.
“Pazienza!”.
“Bè, me lo può dire, magari mi convinco che ha ragione”.
“No, no. Se mi crede bene, se no, au revoir”.
“Va bene, le credo. Dica”.
“Eh no! Troppo bello così. Prima mi prende per il culo poi ...”.
“Senta, sto cominciando a perdere la pazienza. Sono il suo psicanalista o no?”.
“Mbé?”.
“Deve avere fiducia in me”.
“Eh, fiducia, sembra facile. Lei non mi crede, glielo leggo negli occhi. I suoi studi le impediscono di credere. Però, c’è un angolo remoto della sua mente che si domanda, e se fosse vero? La verità è che lei ha paura!”.
“Paura? E di che cosa?”.
“Di morire, ovvio! Oppure che le succeda qualcosa”.
“Andiamo!”.
“Eh, si, lei mi insegna, caro dottore che l’istinto di conservazione è molto forte nell’uomo. Chissà perché poi! In fondo la vita è come la scala di un pollaio, corta e piena di mer...”.
“Allora me lo dice?”.
“No, Però rifletta. Se glielo dico, magari si salva”.
“Salvarmi da cosa?”.
“Chissà! Potrei forse evitarle un incidente ... Lei lo sa che non ho alcuna malattia organica?”.
“Certo, lo so”.
“Lo sa che se non dicessi di avere un dono, nessuno potrebbe dire che non sono normale”.
“Certo!”.
“Lo sa che non sono pericoloso, che non ho mai fatto male a nessuno in tutta la mia vita, tranne forse a me stesso?”.
“Si, sua moglie me l’ha detto”.
“Lo sa che non ho mai sbagliato le mie previsioni?”.
“Sua moglie dice che è un caso”.
“Può darsi di si e può darsi di no! Chi lo sa? Anna vuol farmi interdire, non è così?”.
“Io non lo so”.
“Non menta! Lo capisco dalla direzione del suo sguardo! Qualche trucchetto lo conosco pure io”.
“E va bene. Si, vuole farla interdire”.
“Ha bisogno della dichiarazione di un medico per poterlo fare”.
“Si”.
“Ha bisogno che uno strizzacervelli le dica che sono completamente sbroccato”.
“Si, più o meno”.
“Vuole ancora sapere perché domani lei non verrà?”.
“Si, mi piacerebbe”.
“Scriva allora che sono assolutamente sano di mente e perfettamente capace di intendere e di volere”.
“Ma”.
“Niente ma”.
“Non sono ancora arrivato ad una diagnosi precisa”.
“Hanno rilevato anomalie nel mio elettroencefalogramma?”.
“No. Il suo tracciato è perfetto”.
“E allora?”.
“Non ha una lesione organica ma ...”.
“Ma cosa? Va bè, ho capito, arrivederci”.
“No, aspetti, me lo dica”.
“Scriva”.
“Va bene, scrivo, scrivo”.
“Ha scritto?”.
“Si”.
“Ha firmato?”.
“Si”.
“Bene. Ah, ah”.
“Perchè ride?”.
“Così. Grazie del certificato”.
“Si, prego. Allora?”.
“Le ho detto prima che mi dispiace per lei?”.
“Si”.
“Così giovane”.
“Che vuol dire?”.
“Eh, che vuol dire. Così giovane, e già rincoglionito! Domani lei non verrà perché è domenica e la domenica lo studio rimane chiuso. Io vedo!”.













 massimo - 26/03/2010 15:50:00 [ leggi altri commenti di massimo » ]

un uomo racconta ad uno psichiatra la sua

inverosimile storia. l’uomo è un insegnante

precario a disagio per il

suo fallimento umano e professionale nei confronti

della moglie e dei parenti di lei, soprattutto il

marito della cognata, un ingegnere grasso ma di

successo che pare raccogliere con suo profondo

fastidio tutte le simpatie della suocera. a

spingerlo ad andare dallo psichiatra è stata la

moglie, preoccupata del suo stato mentale in seguito

ad un incidente occorso durante una cena di natale

coi parenti. è lo stesso marito a raccontare allo

psichiatra come si svolsero quei fatti incredibili.

durante la cena l’uomo aveva manifestato l’impulso a

comportarsi in modo rozzo e villano con l’intento di

scandalizzare la platea dei presenti. aveva

cominciato a mangiare l’agnello avidamente con le

mani finendo con l’insultare apertamente gli astanti

impegnati a suo dire in conversazioni stupide e

sciocche, spiegando allo psichiatra che ciò gli

aveva procurato un immenso piacere. poi era accaduto

che durante la masticazione dell’occhio dell’agnello

(la sua parte preferita) aveva sperimentato una

specie di allucinazione nella quale aveva percepito

se stesso nelle vesti di agnello sacrificale e la

odiata suocera in quelle di carnefice. ripresosi

dall’allucinazione si era reso conto di possedere

la capacità di prevedere eventi drammatici

riguardanti le persone che lo circondavano. ciò é

a suo dire conseguenza dell’occhio d’agnello che

aveva ingerito, che gli aveva conferito il potere

soprannaturale di vedere il futuro. alla fine della

cena aveva avvertito la madre di sua moglie di non

guidare, ma nonostante questo lei aveva preso la

macchina e aveva avuto un incidente riportandone

l’asportazione dell’occhio. successivamente aveva

messo in guardia il marito della cognata ingegnere

ma questo sprezzante aveva ignorato i suoi avvertimenti

finendo per morire sgozzato come un agnello nella

sua abitazione.

lo psichiatra ascolta le farneticazioni dell’uomo e

cerca di convincerlo ad assumere delle gocce

calmanti ma egli non ne vuole sapere, afferma di non

essersi mai sentito così felice e "vivo" come da

quando possiede questo "dono", e che se l’intento della moglie era

di ottenere una perizia di infermità mentale per

farlo interdire, il medico sappia che anche sul

suo conto è in grado di fare previsioni e che

soltanto se accondiscenderà ad attestare per iscritto la sua

sanità mentale gli rivelerà il motivo per cui il giorno seguente

non verrà all’appuntamento che egli ha testé concordato col

paziente, lasciando immaginare la possibilità di un incidente

a cui il medico andrà fatalmente incontro.

lo psichiatra è dapprima riluttante a cedere alla

richiesta del folle, ma un naturale istinto

superstizioso lo spinge a farsi rivelare il motivo per cui il giorno

seguente non si sarebbe recato allo studio, alché con maligno

sarcasmo l’uomo gli fa notare che il giorno seguente sarebbe stato

domenica, giorno in cui ovviamente non si lavora.


il racconto è scritto in uno stile semplice e

scorrevole come dialogo tra lo psichiatra e il

paziente ma è praticamente un monologo di

quest’ultimo. il personaggio principale ricorda

vagamente il personaggio dostoevskiano del

sottosuolo, soprattutto nel compiacimento per la

propria delirante abiezione in un contesto di rito

collettivo: la cena. la descrizione dei personaggi

di contorno non è priva di cliché (suocera con occhi

azzurri freddi e cattivi, ingegnere di successo ma

grasso, donne tutte intente alla propria

capigliatura), ma tuttavia funzionale allo scopo.

lo sviluppo della storia prende una piega

paranormale in linea sia con il dostoevskij del

sosia che con il più moderno stephen king (vedi la

zona morta) e potrebbe (anche considerato

l’interesse provato dallo psichiatra per la

previsione della sua sorte da parte del

paziente folle, tale da portarlo a falsificare la

perizia commissionatagli dalla moglie), far pensare ad un

risvolto "giallo" della vicenda, ma la conclusione della storia con

una barzelletta riporta l’intero racconto alla dimensione che le

compete, quella cioè più disimpegnata della farsa.

 Loredana Savelli - 10/01/2010 08:42:00 [ leggi altri commenti di Loredana Savelli » ]

Molto interessante. La follia smaschera tutti.

 Maria Antonietta Pinna - 04/01/2010 01:28:00 [ leggi altri commenti di Maria Antonietta Pinna » ]

Rispondo a Maria Musik. Quando lo scrittore posa la tastiera, non è responsabile di quello che pensano gli altri. Il racconto è nato così, se il lettore pensa che le concessioni a "sa limba" possano essere frutto involontario, è libero di pensarlo, nessuno glielo impedisce...

 Maria Musik - 02/01/2010 08:00:00 [ leggi altri commenti di Maria Musik » ]

Benvenuta: bell’ingresso. Il racconto è ben costruito, degno delle migliori saghe "parenti serpenti". Il finale arguto e divertente.
Solo una domanda: ho avuto l’impressione che le frasi in cui mantieni la costruzione classica del dialetto sardo (verbo alla fine, alla latina) non siano una disattenzione nella rilettura ma volutamente lasciate lì, quasi ad attestare una sorta d’identità, una contestualizzazione indiretta. Se è così, perchè limitarsi a questo escamotage che può essere scambiato per una involontaria contaminazione?

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