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al testo di Daniele Cavicchia
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dalla sezione IL GUSCIO DELLE COSE
IV
Ognuno passa come può oppure passa come altro decide ma un albero resta un albero e un ricordo un ricordo come poi sia possibile incontrare le cose mentre accadono è mistero dei misteri del fato se si preferisce o del dio se si crede.
Ma che tu possa essere albero è da discutere oppure poco importa – pensi – e segui il vento e le stagioni e aspetti che un’ascia o una sega ti tagli alla radice e il tuo urlo sarà confuso nel silenzio del creato e lei che forse ascolta lo scambierà con un rantolo già udito.
dalla sezione L'APPENA NATA
II
Chi genera decide un nome spera in un suono che non mente attende una voce che dal futuro dica che nulla è perso e nulla resta immobile se il cristallo che ci separa d’un tratto rivela uno spiraglio ed eccoci a pregare perché il santo diventi nostra tranquillità e speranza mentre la cellula impazzita continua la sua corsa ubbidisce a sé e alla sua pazzia elude le domande e svolta al crocevia fino a rendersi invisibile. Si resta prigionieri della materia e l’infinito si propone come finito dove tutto avrà conclusione. Anche i petali perderanno colore e profumo anche le parole spariranno dalle pagine. E ogni discorso sarà compiuto nella cenere che resta.
dalla sezione COSÌ SIA
II
Ma c’è un’altra storia che reclama la propria voce l’incertezza del precario questo essere e non essere – il tempo – l’avversario prediletto che non accusa e non assolve scorre senza pause incurante delle attese invisibile ruota e ti illude che possa restare prigioniero di un libro o di labbra carnose che sfiora senza peccato o di lei già azzurra e trasparente nella sua trasparenza un tutto nel nulla pieno che non capti se non con pronomi e avverbi io tu noi loro in quel tempo in questo tempo oggi domani ieri qui siamo noi il tempo con i ricordi datati e nell’ora della memoria in un bosco che non è bosco vedrai l’albero verde e poi secco poi ancora vestito di foglie e di nuovo spoglio e poi e poi dovresti avvicinarti e chiedere delle radici in questo tempo che non è il suo e che abita. E così sia se quello che si prova ha un altro significato una ferita tanto sottile da scorrere nelle vene ascoltare ad ogni respiro la voce del dolore che chiama e tu per gelosia o per rispetto o per pudore non condividi tu in questa sospensione dove tutto accade per riaccadere.
C’erano voci e rami nudi c’erano lacrime e c’eri tu in quella foresta spoglia come assenza che sussurrava dov’ero io quando tu eri questo lei diceva carezzando l’albero come litania o estrema preghiera rassegnata quasi alla cadenza delle parole che nel tempo perdono significato nel tempo che non è questo ma l’altro che misura eppure ti ho visto andare via o ero io che andavo e adesso sono qui per te o sei tu a esserci e io a non vederti.
[ da Il guscio delle cose, Daniele Cavicchia, Passigli Poesia ]
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