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La Sconosciuta

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A un'ora dal destino

Se l’estro vigoroso di un artista li avesse immortalati adesso, in questo attimo indefinibile, sarebbero stati un groviglio d’ossa e sangue che avrebbe animato il marmo.
Il blocco sarebbe rinato a vita, non fosse altro che per l’intreccio di carne viva, pulsante in cui le lunghe gambe di Amanda spadroneggiavano, impadronendosi della scena. Imprigionando la trama nella tela. Dando vita alla materia che si offre a strumento per rendere eterno un momento, fuori da ogni logica del tempo, incastonato in una stanza.
La perfezione dei piedi rifiniva i talloni affondati tra i glutei rappresi nella sofferenza dell’estasi estrema, in cui morire è il prologo per l’ingresso in mondi diversi, che ci rassomigliano e non assumono forme che non ci appartengono.
Ne avrebbe delineato le unghie tra le piccole dita, limate, arrotondate, retrattili per non far male, accarezzare quando ci si lascia andare alla resa e il godimento è l’ostia da condividere.
Più in là un fascio di riccioli sparsi, sfuggito al grezzo della pietra nuda.
Nessun suono, se non il trasfondere dei respiri attraverso la fusione dei corpi opalescenti.
Poi null’altro.
Non avrebbe visto altro, perché il resto era altrove.

Erano lì… dove non c’è ritorno e il sale lambisce sponde feconde e devote.
Dove il Pensiero è signore e la carne suo umile servitore.


Tratto dal romanzo La Sconosciuta, Genesi Editrice (2022)























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