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al testo di Ferdinando Giordano
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a Pietro Roversi(*) un poeta all'estero
Si potrebbe pensare che mi sia organizzato. Generalmente da umano. Segnalo la parola umano quale finestra in grata. Dal prato prendo dieci passi nella stanza 4x3 e solo due minuti ogni ora, ma il tempo non vola.
Platone è meglio del Prozac richiede lenti e lente lente ripetizioni. Leggo ciò che serve in primavera ai semi indipendenti ma la gemma ansima quando occorrebbe verve. Ansima sul basilico, presa dai suoi nervi.
Toccherà ai semi occuparsi di fare meglio: da sempre è questa la speranza dei tronchi - che fa battere il legno e lo tiene sveglio - prima che il fulmine li stronchi. o l’occhio del ciclone li abbranchi.
Toglie il respiro il numero enorme dei morti inguardabili, infiammabili da soli. Chi saprà mai in noi quale parte informe immunizza da quel fuoco? Non è deducibile né dal dolore né dal conto indicibile
dei corpi. Lasciamo alla cenere la dignità di ritorno. Adesso mi resta tempo per viaggiare nei siti che fanno rumore. So nascondermi di giorno, invoco la sonorità della strada e il suo rito quotidiano. Che ansia! Anche il mito
infetta! Da uomo immobile mi muovo in un goffo qi gong. C’è abbastanza metodo in questa pratica di rinnovo? Ansia da resurrezione, penso. O demenza delle pratiche officinali per l’emergenza.
Eppure, sulle ossa nude della nazione, la polpa sono i santi che si espongono. Avranno ceri e la medaglia di uno stentato giorno di memoria. Io sento la colpa. Questa salvezza - che m’invaghisce - è la loro taglia. Ma ognuno come può affronta la battaglia:
chi con la bocca coperta vuol mordere il leone, chi, conoscendo la secca, sta manovrando il timone.
(*)Lecturer @NatSciUoL and Research Fellow @LeicStructBio. Rescuing secretion of glycoproteins in rare disease. Ma, soprattutto, Poeta di straordinaria sensibilità. |
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